Michele Pirro, l’intervista: “Sogno un posto fisso sulla rossa”

Michele PirroMichele Pirro

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Michele Pirro, 32 anni, non vede l’ora di disputare la prima gara della stagione sulla Desmosedici del team ufficiale Ducati, la stessa di Andrea Dovizioso e Jorge Lorenzo, di cui è tester: il debutto al Mugello era saltato per colpa dell’high-side spaventoso che l’aveva messo fuori gioco durante le prove.

Se il pilota pugliese delle Fiamme Oro è l’uomo da battere nel Campionato italiano di velocità (Civ) Superbike (è campione in carica e guida la classifica), quando gareggia come wild card nella MotoGp dà del filo da torcere a tutti: nel 2017 si è sempre piazzato tra i primi dieci (quinto proprio sul circuito romagnolo).

Sono passati 10 mesi dalla tua ultima partecipazione alla classe regina: come ti sei preparato per tornare sul prototipo?

“Il Civ è l’allenamento migliore, perché l’esperienza del weekend di gara è identica: c’è grande tensione, l’adrenalina sale a mille e anche la voglia di dare il massimo”.

Da outsider, però, non sentirai la pressione.

“No, anche perché sono nato per correre; a me pesano di più gli allenamenti”.

Nella Superbike italiana, invece, sei il numero uno: che effetto fa?

“Di sicuro ho tutta l’attenzione addosso, però non mi disturba. Mi guardo poco intorno, preferisco confrontarmi con me stesso e non mi accontento facilmente: so quanto sia difficile vincere e quanto sia ancora più difficile riconfermarsi. La sfida di quest’anno è proprio questa”.

Barni Racing, la tua squadra nel Civ, è presente anche nella WorldSBK: se il team manager Marco Barnabò ti proponesse il passaggio?

“Firmerei subito! A patto di avere a disposizione una moto competitiva: so che potrei giocarmi i podi con i top rider e vorrei sfruttare il mio potenziale. Però c’è un problema: sono un pilota ufficiale Ducati, quindi le decisioni spettano a Borgo Panigale”.

Per un posto nel box rosso della MotoGp saresti pronto?

“Certo, mi sento al massimo della forma. Peccato che non riesca a dimostrarlo: mi piacerebbe avere l’occasione di disputare tutte le tappe del calendario per vedere come me la cavo. Poi, magari, non renderei come immagino, ma almeno ci avrei provato.

Sarebbe il terzo e ultimo passo della carriera. Sognavo di diventare pilota professionista, poi di vincere gare e campionati: ho realizzato entrambi gli obiettivi, manca il traguardo finale”.

Com’è nata la tua passione per le due ruote?

“L’ho ereditata da mio padre, che da sempre ama le moto da turismo. A 13 anni l’ho convinto a portarmi in pista e, da quel momento, non ho pensato ad altro. Al punto che ho perso 25 kg in sette mesi: non avevo mai praticato sport e, in più, approfittavo del negozio di alimentari dei miei genitori”.

Se ti fosse mancato il talento, cosa avresti fatto?

“Probabilmente avrei continuato l’attività di famiglia, che i miei possiedono ancora. Da ragazzino davo una mano: in motorino o con l’Ape Car, mi occupavo delle consegne a domicilio. Altrimenti ci sarebbero state altre due opzioni”.

Quali?

“Se nasci a San Giovanni Rotondo, luogo di devozione di Padre Pio, hai due alternative: diventare sacerdote oppure lavorare all’ospedale, la Casa Sollievo della Sofferenza creata proprio da Padre Pio”.

Una preghiera a san Pio la dici, quando abbassi la visiera?

“No, però spero che abbia un occhio di riguardo nei miei confronti, considerate la mia provenienza e la breve carriera da chierichetto. Del resto, tutti i ragazzini della mia città diventano chierichetti. Ero un po’ più ribelle rispetto alla media, però”.

Racconta.

“Io e un mio amico eravamo molto vivaci. Senza fare niente di esagerato, ma abbastanza per essere rimandati alla Prima Comunione. Più precisamente: non idonei a ricevere il sacramento. Mia nonna, devotissima a Padre Pio, ha perso 10 anni di vita”.

E tu come l’hai presa?

“Male, anche perché non me l’aspettavo, non eravamo bambini cattivi. Non ti dico la vergogna l’anno successivo: nella foto di gruppo sono 10 cm più alto di tutti. L’episodio mi insegnato una lezione che mi è servita molto in sella”.

Perché?

“Ho imparato che bisogna rispettare le regole. La disciplina già da piccoli è indispensabile in qualsiasi ambito, sport e giochi compresi. Figurati sul lavoro; che tu sieda a una scrivania o sfrecci a 300 km orari”.

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