Tom Sykes, l’intervista: “Quando penso a quel mezzo punto…”
Credits: Dario Aio
Piazzarsi secondo in un campionato del mondo è una brutta delusione, ma perdere il titolo per mezzo punto brucia ancora di più. Lo sa bene Tom Sykes: nel 2012 conclude la stagione della WorldSBK con 357,5 punti, contro i 358 di Max Biaggi, che si aggiudica il suo secondo titolo tra le derivate di serie.
“Se ci penso ancora? Ovvio. Non dico che sia il mio incubo, ma provo sempre una certa frustrazione. Soprattutto quando mi tornano in mente due episodi…”
Lo dice il pilota inglese del Kawasaki Racing Team, 32 anni ad agosto, campione del mondo WorldSBK nel 2013.
Tom Sykes nel 2013, anno in cui vinse il campionato WorldSBK
Quali sarebbero gli episodi?
“Il round assurdo di Monza, per cominciare. Prima viene annullata gara1 per diluvio, poi viene interrotta gara2, di nuovo a causa della pioggia. Salgo sul gradino più alto del podio, ma non abbiamo coperto due terzi dei giri previsti. Risultato: la direzione decide di assegnare la metà del punteggio. Il famoso mezzo punto arriva da lì”.
E il secondo?
“Ad Aragon, in gara1 all’ultimo giro sono terzo, ma Ayrton Badovini mi atterra e perdo altri punti preziosi”.
Anche nel 2014 il Mondiale ti sfugge per pochissimo.
“Vero. Entro nel circuito di Sepang da leader della classifica. Peccato che in gara1 Loris Baz, allora mio compagno di squadra, mi metta fuori gioco al primo giro.
Zero punti che pesano come un macigno a fine stagione: Sylvain Guintoli vince il titolo con 6 punti in più”.
Senza questi intoppi, in bacheca avresti tre campionati invece di uno.
“Considerazione che ogni tanto mi passa per la testa; però la soddisfazione e la gioia di aver vinto un Mondiale superano il rammarico per i due mancati. Perché conquistare un titolo non è un gioco da ragazzi, la maggior parte dei piloti non ce l’ha nel palmarès”.
Quindi sei soddisfatto dei tuoi risultati.
“Ci mancherebbe; questo, però, non significa che mi accontenti. Voglio vincere ancora, gare e Mondiali. Non solo nella WorldSBK: la mia grande ambizione è passare alla MotoGP”.
Rischieresti il certo per l’incerto? Sulla Kawasaki ZX-10RR sei tra i top rider.
“Sì, per vari motivi: credo che le caratteristiche dei prototipi e lo sviluppo delle factory si adattino meglio alle mie capacità. Tra le derivate mi diverto, ma mi sembra di non sfruttare al massimo il mio potenziale; mi sento un po’ sacrificato, insomma. Ovviamente mi trasferirei soltanto se mi offrissero una moto molto competitiva, altrimenti resto qui, dove godo di una situazione invidiabile”.
Hai già provato una MotoGP?
“No, cioè sì, ma non conta: ho girato 5 giri”.
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Prima hai parlato dei momenti difficili del 2012 e del 2014: un ricordo del 2013, anno del trionfo?
“In quella stagione accade una serie di circostanze rocambolesche, roba da scriverci un libro. Inizio non al massimo della forma, con costole e polso fratturati nei test prestagionali a Phillip Island. A Mosca sono costretto al ritiro perché la moto prende fuoco; a Portimão cado nel giro di ricognizione, quindi parto dalla corsia dei box, invece che dalla prima casella, e mi ritiro dopo qualche giro per problemi tecnici.
Nonostante le disavventure, ottengo 3 doppiette, 9 primi posti e 18 podi, 8 pole position e 13 giri veloci; il mio titolo regala alla Kawasaki il secondo campionato WorldSBK della storia, a 20 anni esatti da quello di Scott Russell.
Il 2013 è un anno indimenticabile anche per un altro evento: a meno di un mese da Jerez, ultima gara del campionato, nasce Millie, la mia prima figlia. Non avrei potuto desiderare di meglio per festeggiare la vittoria”.
Nel 2015 diventi di nuovo papà di una bambina, Mia.
“Altra gioia immensa. Non importa, se il tempo per riposarsi è crollato al minimo storico: mai una volta che le piccole dormano nello stesso momento. Io e mia moglie Ami siamo di corvée senza sosta”.
Le tue figlie ti somigliano?
“Fiscamente no, per fortuna: hanno ereditato la bellezza dalla mamma. Da me hanno preso l’allegria. Sono molto simpatiche: fanno scherzi, ridono sempre, hanno un senso dell’umorismo fantastico”.
Essere padre ha cambiato il tuo approccio in pista?
“No, quando monto in sella, penso solo alla prestazione. Nel resto del tempo, le piccole hanno priorità assoluta. Prima che nascesse Mia, Amie e Millie venivano con me a tutte le tappe, anche in Australia.
Con due figlie, gli spostamenti sono diventati più complicati ma, nei round europei, capita che mi seguano tutte e tre. A Millie piace molto l’ambiente: mentre spiego ad Ami come procedono i lavori nel box, lei dice la sua. Forte, no? Del resto, è cresciuta a pane e moto”.
Se un giorno ti dicesse che vuole seguire le tue orme?
“Le darei tutto il sostegno possibile e la guiderei: sarebbe stupido non approfittare della mia esperienza”.
2013: Sykes festeggia la sua vittoria
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