Le Mans ‘66 – La grande sfida, la storia vera della sfida Ford-Ferrari
In concomitanza con l’uscita nei cinema del film “Le Mans ‘66 – La grande sfida” abbiamo deciso di analizzare nel dettaglio la storia vera della 24 Ore di Le Mans 1966 e del duello Ford–Ferrari.
Scopriamo insieme l’evoluzione di questa rivalità, lo sviluppo della Ford GT40 e il primo successo nella corsa endurance più famosa del mondo di una Casa non europea. Attenzione, però: quello che leggerete saranno spoiler.
24 Ore di Le Mans 1966 – La storia
La storia raccontata nel film “Le Mans ‘66 – La grande sfida” non inizia nel 1966 ma tre anni prima quando la Ford offre 12 milioni di dollari a Enzo Ferrari per acquistare tutta la Casa di Maranello (capace, fino a quel momento, di conquistare sette 24 Ore di Le Mans, nove dei primi undici Mondiali sportprototipi e sei titoli iridati in F1).
Enzo Ferrari vuole vendere ma al tempo stesso rimanere al comando del reparto corse e avere la massima libertà di azione: quando scopre che nel contratto qualsiasi sforamento al budget annuale di 450 milioni di lire dev’essere approvato dalla Casa statunitense fa saltare l’accordo.
Henry Ford II – figlio di Edsel, nipote di Henry Ford nonché amministratore delegato del brand dell’Ovale Blu – decide due giorni dopo il “gran rifiuto” del Drake di fare tutto quanto in suo potere per sconfiggere il Cavallino in pista.
Nasce la GT40
Per realizzare l’auto che dovrà sconfiggere la Ferrari Henry Ford II contatta i più importanti costruttori di vetture da corsa (Eric Broadley della Lola, Colin Chapman della Lotus e John Cooper) e sceglie il primo, che impiega pochi mesi ad allestire i prototipi.
L’1 aprile 1964 appoggia per la prima volta le ruote su un circuito la Ford GT40: la sportiva “yankee”, chiamata così per via dell’altezza di 40 pollici (solo 1,02 metri) e dotata di un motore 5.0 V8, viene affidata al francese Jo Schlesser e al britannico Roy Salvadori, i quali notano seri problemi di affidabilità e di stabilità nei rettilinei. Due mesi più tardi tre esemplari spinti dallo stesso propulsore 4.2 V8 della Lotus capace di vincere l’anno prima la 500 Miglia di Indianapolis con Jim Clark vengono schierati alla 24 Ore di Le Mans ma nessuno di questi riesce a tagliare il traguardo.
Shelby e la Mk II
Dopo le delusioni del 1964 Carroll Shelby (ex pilota – vincitore a Le Mans nel 1959 – e noto anche per aver realizzato la mitica AC Cobra) viene chiamato dalla Ford per gestire il progetto GT40 e sviluppa un’evoluzione della sportiva americana – la Mk II – caratterizzata da numerosi miglioramenti tecnici e da un possente motore 7.0 V8.
La rinnovata coupé di Dearborn si rivela subito l’auto da battere nelle corse di durata e si aggiudica la prima gara del Mondiale Sportprototipi – la 2000 km di Daytona – con il britannico Ken Miles (driver che ha contribuito allo sviluppo del veicolo) e lo statunitense Lloyd Ruby.
Alla 24 Ore di Le Mans 1965 Ford tira fuori l’artiglieria pesante con sei esemplari schierati (due Mk II gestire direttamente dall’Ovale Blu, due con un 5.3 V8 e due con un 4.7 V8) e ottiene la pole position con lo statunitense Phil Hill e il neozelandese Chris Amon ma anche in questa occasione nessuna vettura riesce a transitare sotto la bandiera a scacchi.
Il 1966
La Ford GT40 inizia alla grande il Mondiale Sportprototipi 1966 con due successi di Miles e Ruby alla 24 Ore di Daytona (con una Mk II) e alla 12 Ore di Sebring con una X-1, una specie di variante scoperta della supercar di Detroit.
La 24 Ore di Le Mans 1966
Ford si presenta al via della 24 Ore di Le Mans 1966 con otto esemplari di GT40 Mk II – tutti colorati con tinte presenti nella gamma Mustang – dotati di un motore 7.0 V8 da 482 CV.
Tre vetture sono gestite dal team Shelby (una guidata da un equipaggio neozelandese composto da Bruce McLaren e Amon, una con Miles e un altro neozelandese – Denny Hulme (inserito al posto di Ruby, coinvolto in un incidente aereo poche settimane prima) – e una tutta statunitense con Dan Gurney e Jerry Grant), tre dalla scuderia Holman & Moody (una “all-american” con Ronnie Bucknum e Dick Hutcherson, una con l’americano Mario Andretti e il belga Lucien Bianchi e una con lo statunitense Mark Donohue e l’australiano Paul Hawkins) e altre due del team inglese Alan Mann: una guidata dal britannico Graham Hill e dall’australiano Brian Muir (chiamato al posto dell’americano Dick Thompson, squalificato per aver abbandonato la scena di un grave incidente durante le qualifiche) e l’altra dall’inglese John Whitmore e dall’australiano Frank Gardner.
La Ferrari, imbattuta alla 24 Ore di Le Mans dal 1960, risponde con la 330 P3 – dotata di un motore 4.0 V12 a iniezione da 426 CV – ma la situazione a Maranello non è delle migliori: John Surtees, accusato ingiustamente dal direttore sportivo Eugenio Dragoni di spionaggio industriale, dichiara pubblicamente che il responsabile delle corse del Cavallino farebbe di tutto per veder vincere in F1 un pilota italiano. Enzo Ferrari non può fare altro che cacciare il pilota inglese e mettere al suo posto Ludovico Scarfiotti.
Tre gli esemplari schierati: due gestiti dalla Ferrari (uno con Lorenzo Bandini e il francese Jean Guichet, l’altro con Scarfiotti e il britannico Mike Parkes) e una Spyder del team americano NART guidata dallo statunitense Richie Ginther e dal messicano Pedro Rodríguez.
Nelle qualifiche la Ford domina piazzando quattro GT40 nelle prime quattro posizioni: pole position per Gurney/Grant davanti a Miles/Hulme, Whitmore/Gardner e McLaren/Amon.
Henry Ford II dà il via alla gara che inizia subito in salita per Miles, costretto ad andare ai box al primo giro per chiudere la portiera dopo un contatto con Whitmore. Dopo la prima ora tre GT40 (Gurney, Hill e Bucknum) sono al comando mentre dopo quattro ore di corsa la vettura di Miles/Hulme prende la testa davanti a quella di Gurney e alla Ferrari di Rodríguez.
Alla sesta ora inizia a piovere e la Ferrari di Ginther conquista la vetta davanti alle Ford di Miles e Gurney ma durante la notte le P3 cominciano ad avere problemi di surriscaldamento e quella di Scarfiotti/Parkes abbandona la corsa in seguito a un incidente, seguita all’11° ora dalla Spyder.
A metà gara le Ford GT40 stanno dominando la 24 Ore di Le Mans 1966 con quattro Mk II nelle prime quattro posizioni e con altri tre esemplari in quinta, sesta e ottava piazza. Dal muretto chiedono di andare più piano per preservare i motori ma Miles e Gurney continuano a tirare come degli ossessi.
Alla 17° ora si ritira l’ultima Ferrari 330 P3 (quella di Bandini/Guichet) mentre 60 minuti dopo la Ford di Gurney/Grant abbandona per un problema al radiatore mentre si trova al primo posto in classifica.
In casa Ford si comincia a parlare di ordini di scuderia e viene deciso di assegnare la vittoria alla vettura che si trova al comando all’ultimo pit-stop. L’auto di Miles/Hulme è la prescelta ma McLaren e Henry Ford II propongono di fare un arrivo in parata con le tre GT40 in modo da scattare una foto che simboleggi la superiorità dell’Ovale Blu in terra di Francia.
All’ultima curva passa per primo Miles e si fa raggiungere da McLaren, seguito dalla terza Ford GT40 staccata però di 12 giri. Ken Miles arriva primo per pochi centimetri ma la vittoria viene assegnata a Bruce McLaren e a Chris Amon in quanto – partiti quarti anziché secondi – hanno percorso più strada nell’arco di 24 ore.
Ken Miles – deluso dall’esito finale della corsa, anche per via di tutto il lavoro svolto in fase di sviluppo – continua a lavorare per la Ford e scompare due mesi più tardi – il 17 agosto 1966 sul circuito di Riverside, in California – mentre sta testando l’erede della GT40 Mk II. La Casa dell’Ovale Blu conquisterà la 24 Ore di Le Mans anche nei successivi tre anni chiudendo con quattro trionfi consecutivi, la Ferrari – dopo la cocente sconfitta del 1966 – non vincerà mai più la gara di durata più famosa del mondo.
“Le Mans ’66 – La grande sfida”: i protagonisti
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