Monthly Archives: Novembre 2015
Austin-Healey Sprite Mark II 950 (1961): piccola, sportiva e spider
La Austin-Healey Sprite è una spider perfetta per chi vuole un’auto d’epoca economica da gestire. La Mark II 950 del 1961 è un’evoluzione della mitica prima serie – la “frogeye” – ma essendo meno richiesta ha quotazioni più accessibili: si trova abbastanza facilmente negli USA a poco più di 15.000 euro.Austin-Healey Sprite Mark II 950 (1961): le caratteristiche principaliLa seconda generazione della Austin-Healey Sprite – nota come Mark II – vede la luce nel 1961: rispetto all’antenata ha un design più equilibrato (ma anche meno originale) identico a quello della MG Midget, uguale anche nei contenuti (compreso il telaio a longheroni).Prodotta fino al 1962 (anno nel quale la cilindrata del propulsore sale a quota 1.1), è una sportiva agile nelle curve e divertente da guidare – merito della trazione posteriore – non molto affidabile e con freni a tamburo poco incisivi. Ha una cugina “italiana” – la Innocenti 950 Spider – simile nella meccanica e diversa nello stile.Austin-Healey Sprite Mark II 950 (1961): la tecnicaIl motore della Austin-Healey Sprite Mark II è un 950 a quattro cilindri con valvole in testa e doppio carburatore in grado di generare una potenza di 46 CV e una coppia di 72 Nm. Il propulsore, il cambio, le sospensioni e i freni sono gli stessi della piccola Austin A40.Austin-Healey Sprite Mark II 950 (1961): le quotazioniLe quotazioni della Austin-Healey Sprite Mark II 950 – realizzata dal 1961 al 1962 in oltre 20.000 esemplari – recitano 13.000 euro ma in realtà è impossibile spendere meno di 15.000 euro per portarsi a casa la baby spider britannica. Più rara della “cugina” MG Midget (ma appunto per questa ragione con una tenuta del valore più elevata), si trova con facilità negli USA.
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Porsche 550: l’ammazzagrandi
La Porsche 550 – nota per essere stata l’ultima auto guidata da James Dean – è stata una protagonista del motorsport negli anni ’50, una sportiva non molto potente che grazie al peso contenuto è stata capace di battere vetture con molti più cavalli e di conquistare addirittura la Targa Florio del 1956. Scopriamo insieme la sua storia.Porsche 550: la storiaLa Porsche 550, disponibile coupé o spider, monta un telaio tubolare, sospensioni a quattro ruote indipendenti e quattro freni a tamburo. Caratterizzata da una tenuta di strada eccellente e da un’aerodinamica curata, ospita sotto il cofano un motore 1.5 a quattro cilindri (posizionato centralmente) in grado di raggiungere potenze fino a 135 CV e di far toccare alla sportiva di Zuffenhausen i 220 km/h.Leggerissima, affidabile e utilizzabile senza problemi anche sulle strade normali, debutta in gara il 31 maggio 1953 sul circuito del Nürburgring e ottiene subito la prima vittoria di classe con il pilota teutonico Helmut Glöckler. Due settimane più tardi arriva una doppietta di classe alla 24 Ore di Le Mans con successo del duo composto dal tedesco Richard von Frankenberg e dal belga Paul Frère, quindicesimi assoluti.Le maggiori soddisfazioni per la Porsche 550 nel 1954 arrivano grazie al tedesco Hans Herrmann: arriva terzo alla Carrera Panamericana e durante la Mille Miglia sfrutta l’altezza ridotta della vettura per attraversare un passaggio a livello chiuso. Nello stesso anno il duo belga formato da Johnny Claes e Pierre Stasse vince a Le Mans nella classe 1500 e taglia il traguardo in 12° posizione.Le Mans e James DeanIl miglior piazzamento assoluto nella celebre corsa endurance francese risale al 1955 con il quarto posto dei due teutonici von Frankenberg e Helmut Polensky. Il 30 settembre di quell’anno la sportiva “made in Germany” recita un ruolo da protagonista nella storia del cinema quando il suo proprietario più celebre, l’attore americano James Dean, perde la vita in un incidente mentre la sta guidando sulle strade della California.La 550A e la Targa FlorioNel 1956 la Porsche presenta la 550A, evoluzione della 550 contraddistinta da un telaio più leggero e più rigido. Questo modello regala alla sportiva di Zuffenhausen l’unica vittoria assoluta importante: il trionfo alla Targa Florio del 10 giugno con il nostro Umberto Maglioli. Il 29 luglio arriva invece il quinto posto a Le Mans con von Frankenberg e il tedesco Wolfgang von Trips. L’ultimo risultato rilevante della vettura sulla Sarthe risale al 1957 con un 8° posto dello statunitense Ed Hugus e dell’olandese Carel Godin de Beaufort.
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Yamaha e la F1: non solo MotoGP
Dici Yamaha e pensi subito alla MotoGP, a Valentino Rossi e a Jorge Lorenzo. Eppure la Casa giapponese si è cimentata anche con le auto – come dimostra la concept Sports Ride mostrata oggi al Salone di Tokyo – e con le F1. Tra il 1989 e il 1997 i motori del marchio nipponico sono stati montati da diverse monoposto del Circus con alterni risultati: scopriamo insieme la storia di queste stagioni.Yamaha e la F1: la storiaIl primo motore Yamaha destinato alla F1 è un 3.5 V8 – chiamato OX88 – derivato dal DFV Ford Cosworth e caratterizzato dalla presenza di cinque valvole per cilindro e da una potenza in linea con quella offerta dai propulsori della concorrenza (600 CV).1989Il propulsore della Casa giapponese viene montato dalla scuderia tedesca Zakspeed nel Mondiale F1 1989: l’unità si rivela poco affidabile e solo in due occasioni il pilota teutonico Bernd Schneider riesce a superare lo scoglio delle qualifiche (ma è costretto al ritiro in entrambi i GP per problemi tecnici). Nel 1990 la Yamaha si prende un anno di pausa.1991La Yamaha torna in F1 nel 1991 con l’OX99: un 3.5 V12 da 660 CV montato dalle monoposto del team britannico Brabham. Il 25 agosto al GP del Belgio (prima corsa disputata da un certo Michael Schumacher) arriva il primo punto grazie al sesto posto del pilota inglese Mark Blundell mentre in Giappone il connazionale Martin Brundle arriva quinto nel GP che regala ad Ayrton Senna il terzo e ultimo titolo iridato.1992Nel 1992 il V12 della Casa nipponica viene montato dalla Jordan: l’unico punto stagionale per la squadra irlandese arriva grazie al sesto posto ottenuto dal nostro Stefano Modena nell’ultimo GP in Australia.1993Il 1993 è un anno deludente per i motori F1 Yamaha: inizia il lungo rapporto con la Tyrrell ma con il propulsore 3.5 V10 OX10A da 690 CV le monoposto “british” non riescono ad ottenere neanche un punto iridato.1994Grandissima annata per i propulsori nipponici: l’OX10B – evoluzione dell’OX10A con 700 CV – consente alla Tyrrell di terminare in 7° posizione il Mondiale. Merito soprattutto del terzo posto di Blundell in Spagna: primo podio per il marchio del Sol Levante, ultimo per la scuderia inglese.1995La Tyrrell motorizzata Yamaha ottiene piazzamenti onorevoli nella seconda metà della stagione grazie al finlandese Mika Salo: due quinti posti in Italia e in Australia e una sesta piazza in Giappone. Il motore è un 3.0 V10 da 680 CV denominato OX10C.1996Nel 1996 vede la luce l’ultimo motore del brand nipponico destinato alla F1: l’OX11A non è altro che un’evoluzione dell’OX10C con 690 CV. È sempre Salo a brillare con la Tyrrell, ma questa volta nella prima metà del Mondiale: due quinti posti in Brasile e a Monte Carlo e un sesto posto in Australia.1997Il motore Yamaha viene affidato all’ambiziosa scuderia britannica Arrows, che tornata nel Circus dopo un’assenza di sette anni decide di ingaggiare come prima guida nientepopodimeno che il campione del mondo in carica: Damon Hill. Il driver inglese, a causa delle scarse prestazioni del propulsore nipponico, conquista i primi punti solo al nono GP – in Gran Bretagna (6°) – ma riesce a salire addirittura sul podio (3°) in Ungheria. Gli ultimi punti per i motori Yamaha in F1 arrivano grazie al brasiliano Pedro Diniz, quinto nel GP del Lussemburgo sul circuito del Nürburgring.
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Alfa Romeo: riapre il Museo Fratelli Cozzi a Legnano
Il Museo Fratelli Cozzi di Legnano dedicato all’Alfa Romeo ha riaperto al pubblico lo scorso weekend in occasione del 60 anni di attività della storica concessionaria lombarda e 600 persone hanno potuto ammirare questo luogo magico che racchiude la storia del Biscione.Per soddisfare gli alfisti esclusi dal “vernissage” sarà possibile visitare questa esposizione permanente sabato 7 novembre 2015, sabato 21 novembre 2015 e, in futuro, ogni secondo sabato del mese. Basta prenotarsi (posti ad esaurimento) sul sito www.fratellicozzi.it.Il Museo Fratelli Cozzi – situato a Legnano (Milano) in Viale Toselli 46 nei sotterranei dellla concessionaria attiva dal 1955 che oggi si occupa di Alfa Romeo e BMW – ha una collezione che comprende oltre 50 vetture (tra i nuovi arrivi segnaliamo la 6C 2500, la GTA 1300 e la 4C), documenti originali, libri, disegni, filmati, insegne, trofei, fotografie e oggetti.
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Giannini 1300/1500 (1963): tuning d’epoca alla romana
Negli anni Sessanta la Giannini (fondata nel 1963) era la risposta romana all’Abarth: specializzata nel “tuning” di vetture Fiat, si occupò anche della preparazione delle berline 1300 e 1500 presentate due anni prima dalla Casa torinese rendendole più vivaci e più piacevoli da guidare. Oggi sono introvabili e le loro quotazioni sono inferiori a 6.000 euro.Giannini 1300/1500 (1963): le caratteristiche principaliÈ il 1963 quando Giannini decide di lavorare sulle Fiat 1300 e 1500 – berline dal design americaneggiante non troppo originale impreziosito dalla presenza dei doppi fari – mostrate per la prima volta al pubblico nel 1961. Sono più briose dei modelli realizzati dal marchio piemontese ma le finiture restano poco curate (si notano numerose imprecisioni negli assemblaggi dei pannelli della carrozzeria).La 1300 S si distingue esteticamente da quella “normale” per le coppe ruota ridisegnate e per gli stemmi Giannini sulla calandra, sui parafanghi e sulla coda mentre la 1500 GL poteva vantare, a differenza della versione “tradizionale”, la coppa dell’olio in alluminio (anziché in lamiera) maggiorata. Nel listino degli optional di entrambe erano presenti diversi accessori interessanti come il cruscotto a cinque strumenti, le modifiche al retrotreno per abbassare l’assetto e la leva del cambio sul pavimento anziché al volante.Nel 1964, in occasione del lancio della Fiat 1500 C (che può vantare un motore più potente, il passo più lungo e il servofreno) il cruscotto a cinque strumenti entra a far parte della dotazione di serie.Giannini 1300/1500 (1963): la tecnicaLa Giannini 1300 S è molto diversa tecnicamente dalla Fiat 1300: più potente (84 CV invece di 60) grazie a modifiche alla testata, all’asse a camme, al carburatore, al filtro dell’aria, allo scarico e al rapporto al ponte, può raggiungere una velocità massima di 150 km/h (contro i 140 del modello originale).Ancora più cattiva la Giannini 1500 GL: 95 CV invece di 72, 165 km/h di velocità massima e un listino optional che comprende – tra le altre cose – il cambio a cinque marce con comando a cloche, gli interni in pelle, i pistoni speciali ad alta compressione e la vernice metallizzata.Giannini 1300/1500 (1963): le quotazioniGiannini – come Abarth – è più famoso per le personalizzazioni su base Fiat 500 e 600: il cliente tipo delle 1300 e delle 1500 – più in là con gli anni – raramente si rivolgeva all’atelier romano per preparare un’auto destinata alle famiglie. Questo spiega la rarità delle 1300 S e 1500 GL e le quotazioni basse: 5.500 euro.
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Auto e Moto d’Epoca 2015 a Padova: date, Case presenti, orari e prezzi
Auto e Moto d’Epoca 2015, 32° edizione dell’evento più importante d’Italia dedicato alle “storiche”, si terrà – come sempre – a Padova dal 22 al 25 ottobre. La manifestazione veneta è al primo posto in Europa per numero di veicoli esposti: nel 2014 furono 1.600 su una superficie di 90.000 mq e quest’anno si raggiungerà addirittura quota 4.000.Di seguito troverete la guida completa ad Auto e Moto d’Epoca 2015: le date, gli orari, i prezzi dei biglietti e le Case presenti.Auto e Moto d’Epoca 2015 Padova: le Case presentiSono ben 17 le Case automobilistiche presenti ufficialmente a Padova per Auto e Moto d’Epoca 2015: Abarth (che mosterà la 695 biposto, la 750 Record Bertone e la Monoposto Record). Alfa Romeo (la Giulia Quadrifoglio Verde e diverse vetture provenienti dal Museo Storico del Biscione come le Giulia TI Super, SS, TZ2 e Sprint GTA e la concept Montreal Expo), Bentley (Bentayga), BMW (che porterà tutte le evoluzioni della serie 3), Citroën (2CV Soleil e C4 Cactus), DS (la DS5 insieme ai modelli del passato), Infiniti (Q30), Jaguar (F-Pace), Land Rover (Defender e Range Rover), Maserati, McLaren (570S), Mercedes (classe S Cabrio), Pagani (Zonda S e F Roadster), Peugeot (con le auto che hanno fatto la storia dei rally raid: 504, 205 e 405), Porsche (con la versione speciale “30 anni Porsche Italia” della 911 Targa 4S), Tesla (Model S) e Volvo (XC90).Auto e Moto d’Epoca 2015 Padova: il programma, gli orari e i prezzi dei biglietti
Giovedì 22 ottobre 2015 09:00-18:00Biglietto: 37 euro
Venerdì 23 ottobre 2015 09:00-19:00
Sabato 24 ottobre 2015 09:00-19:00Domenica 25 ottobre 2015 09:00-19:00
Biglietto intero: 20 euro
Biglietto ridotto: 16 euiro (ragazzi da 13 a 17 anni e persone con invalidità inferiore all’80%)
Abbonamento 2 giorni (venerdì/sabato o sabato/domenica): 36 euro
Abbonamento 3 giorni (venerdì/sabato/domenica): 51 euroOmaggio: bambini fino a 12 anni, persone con invalidità superiore all’80% con accompagnatoreAuto e Moto d’Epoca 2015 Padova: come arrivareIn auto
Autostrada Bologna-Padova (A13): uscire a Padova Sud e seguire le indicazioni per la fieraAutostrada Venezia-Milano (A4): uscire a Padova Ovest o a Padova Est e seguire le indicazioni per la fieraIn trenoLa fiera è a soli 2 minuti a piedi dalla stazione ferroviaria di Padova.
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DeLorean DMC-12 (1981): ritorno al futuro
Senza il film “Ritorno al futuro” la DeLorean DMC-12 sarebbe stata una sportiva come tante, una coupé dal design seducente ma con prestazioni tutt’altro che vivaci. Quest’auto ha avuto una carriera molto breve (prodotta dal 1981 al 1983) ed è entrata nel mito – esclusivamente grazie al cinema – due anni dopo essere andata in pensione: oggi si riesce a trovare con facilità ma le sue quotazioni sono spropositate. Trovare qualcuno disposto a disfarsi di un esemplare sano a meno di 40.000 euro è impossibile.DeLorean DMC-12 (1981): le caratteristiche principaliIl progetto della DMC-12 prende vita nel 1973 quando lo statunitense John DeLorean (uno dei più importanti manager automobilistici della storia) abbandona il posto da vicepresidente della sezione auto e veicoli commerciali della General Motors per mettersi in proprio. Nel 1975 il neonato marchio DeLorean svela una concept – la DSV (DeLorean Safety Vehicle) – disegnata da Giorgetto Giugiaro e tre anni più tardi (grazie a fondi del governo britannico) viene aperto uno stabilimento in Irlanda del Nord per produrre la vettura in serie. I primi esemplari escono dalla catena di montaggio solo nel 1981.La sportiva “yankee” seduce il pubblico – merito del pianale derivato da quello della Lotus Esprit, del design, delle porte ad ali di gabbiano e della carrozzeria in acciaio inossidabile non verniciata (salvo tre esemplari placcati in oro 24 carati) – ma non lo conquista: colpa del prezzo elevato e delle prestazioni non all’altezza. I deludenti risultati di vendita portano al declino dell’azienda: per salvarla John accetta nel 1982 di trafficare cocaina, viene arrestato ma assolto due anni più tardi in quanto incastrato da un informatore dell’FBI in cambio di uno sconto di pena.DeLorean DMC-12 (1981): la tecnicaLa DeLorean DMC-12 avrebbe avuto tutte le carte in regola per affermarsi come sportiva (motore posteriore, trazione posteriore e una “base” rinomata firmata Lotus) se solo avesse avuto un propulsore all’altezza. Sotto il cofano si trova infatti un 2.8 V6 Peugeot Renault Volvo da soli 150 CV (132 per il mercato nordamericano) che rende difficile scattare da 0 a 100 km/h in meno di 10 secondi.DeLorean DMC-12 (1981): le quotazioniLa DeLorean DMC-12 è una coupé molto sopravvalutata: le sue quotazioni recitano 35.000 euro (con la stessa cifra si acquistano sportive degli anni ’80 più blasonate e più divertenti da guidare) e il suo ruolo da protagonista nel film “Ritorno al futuro” ha creato una serie di appassionati disposti a spendere cifre notevoli per possederla. Il risultato? In Europa bisogna sborsare oltre 40.000 euro per trovare qualcuno interessato a disfarsene.
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Jackie Stewart: il miglior pilota britannico di sempre
Jackie Stewart è indubbiamente il più forte pilota britannico di sempre: per il momento è l’unico driver del Regno Unito ad aver conquistato tre Mondiali F1 (1969, 1971, 1973), un primato che verrà molto probabilmente raggiunto quest’anno da Lewis Hamilton (che però è stato una sola volta – anziché due – vicecampione iridato). Scopriamo insieme la storia dello “scozzese volante”, uno dei driver che più si è battuto per migliorare la sicurezza nel Circus.Jackie Stewart: la storiaJackie Stewart nasce l’11 giugno 1939 a Milton (Regno Unito). Figlio di un rivenditore di automobili, fratello minore di Jimmy (che nel 1953 prende parte al GP di Gran Bretagna di F1) e appassionato di motori fin da ragazzo, abbandona presto gli studi (è dislessico ma lo scoprirà solo in tarda età) e inizia a lavorare in officina cimentandosi con successo in uno sport molto lontano dal mondo delle corse: il tiro a volo.Le prime gareAll’inizio degli anni ’60 inizia a farsi notare nell’ambiente del motorsport: nel 1963 conquista il primo successo in una gara Sport sul circuito di Oulton Park con una Cooper e nel 1964 domina il campionato britannico di F3 al debutto (sette GP vinti su dieci) surclassando il connazionale John Taylor.Il debutto in F1Jackie Stewart debutta nel Mondiale F1 nel 1965 con la BRM e sorprende tutti: va a punti nella prima gara (6° in Sudafrica), sale sul podio nel secondo GP (3° a Monte Carlo) e vince in Italia terminando l’anno in terza posizione (ma dietro al compagno di squadra, il britannico Graham Hill).Il 1966 è un anno caratterizzato dalla scarsa affidabilità della monoposto inglese: Jackie continua ad essere più lento di Hill e porta a casa un’altra vittoria a Monte Carlo (unico podio stagionale). In compenso mostra le sue doti alla 500 Miglia di Indianapolis: in testa fino a dieci giri dalla fine, si ritrova in sesta posizione a causa di un problema meccanico ma viene nominato comunque “rookie of the year” nonostante la presenza sul gradino più alto del podio di un altro debuttante (Hill).Nel 1967 Jackie Stewart termina solo due gare (2° in Belgio e in Francia) ma si rivela più rapido del nuovo coéquipier: il connazionale Mike Spence.La MatraCon il trasferimento alla Matra nel 1968 la carriera di Stewart prende una piega diversa: inizia male la stagione (salta due GP – Spagna e Monte Carlo – a causa di un infortunio rimediato in F2) ma diventa vicecampione del mondo (risultando più veloce del compagno di scuderia, il transalpino Johnny Servoz-Gavin) grazie a tre vittorie (Olanda, Germania e USA).Il primo Mondiale F1 per Jackie Stewart arriva nel 1969: più veloce del collega francese Jean-Pierre Beltoise (e nelle ultime gare anche di Servoz-Gavin), domina la stagione salendo in ben sei occasioni sul gradino più alto del podio (Sudafrica, Spagna, Olanda, Francia, Gran Bretagna e Italia).La parentesi MarchNel 1970 si consuma il divorzio tra Stewart e la Matra quando la Chrysler (nuova proprietaria del team francese) intende usare motori V12. Ken Tyrrell (responsabile del team transalpino) acquista dei telai March, monta i tradizionali propulsori V8 Ford Cosworth e convince Jackie a correre per lui: lo “scozzese volante” porta a casa una vittoria in Spagna e risulta più convincente dei due compagni francesi (Servoz-Gavin e François Cevert).L’epopea TyrrellNel GP del Canada del 1970 inizia l’avventura di Tyrrell come costruttore a tutti gli effetti e Jackie Stewart è presente come unico pilota della 001 (la prima monoposto della storia della scuderia inglese). Le ultime tre gare stagionali sono caratterizzate da ottime prestazioni in qualifica ma anche da numerosi problemi di affidabilità.La situazione migliora nel 1971: il secondo titolo iridato di Stewart (sempre più rapido di Cevert e, nell’ultima corsa stagionale, dello statunitense Peter Revson) arriva grazie a sei vittorie (Spagna, Monte Carlo, Francia, Gran Bretagna, Germania e Canada). Nello stesso anno Jackie si cimenta anche nel campionato Can-Am trionfando in due occasioni (Mont-Tremblant e Mid-Ohio).L’anno seguente Jackie Stewart termina al secondo posto nel Mondiale con quattro vittorie (Argentina, Francia, Canada e USA) risultando più rapido di Cevert e – in due occasioni – anche del pilota francese Patrick Depailler.Stewart disputa il suo ultimo Mondiale F1 nel 1973 e lo vince: cinque vittorie (Sudafrica, Belgio, Monte Carlo, Olanda e Gran Bretagna) e prestazioni migliori di Cevert e – nel finale di stagione – del neozelandese Chris Amon. Non prende parte all’ultima gara dell’anno – negli USA, in quello che sarebbe stato il 100° GP della sua carriera – per rispetto nei confronti di Cevert, morto durante le qualifiche.Dopo la F1Negli anni Settanta e Ottanta Jackie Stewart si divide tra numerose attività: commentatore TV e uomo immagine per diverse aziende (tra cui la Ford). Nel 1997 fonda la scuderia Stewart, che due anni più tardi riesce ad ottenere una vittoria grazie al britannico Johnny Herbert nel GP d’Europa sul circuito del Nürburgring.Jackie nel 2000 vende il team alla Ford, che lo trasforma in Jaguar e che a sua volta lo rivende nel 2005 ad una certa Red Bull.
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Diatto 20A Torpedo (1924): scoperta d’epoca
La Diatto 20A Torpedo del 1924 non è altro che la variante scoperta della Berlina già analizzata lo scorso anno: una sportiva d’epoca introvabile (se non nei musei) e con quotazioni che superano abbondantemente i 30.000 euro.Diatto 20A Torpedo (1924): le caratteristiche principaliLa Diatto 20A Torpedo viene svelata nel 1924 ma è un’evoluzione della 20 mostrata a Milano due anni prima caratterizzata da dimensioni più ingombranti (passo più lungo di 10 cm, carreggiate allargate e peso aumentato) e da una minore agilità nelle curve.Contraddistinta da un impianto frenante poco potente, raggiunge una velocità massima di 95 km/h e offre una buona risposta ai bassi regimi: eccellente l’affidabilità.Diatto 20A Torpedo (1924): la tecnicaIl motore della Diatto 20A Torpedo del 1924 è lo stesso della Berlina: un 2.0 con potenze comprese tra 40 e 48 CV abbinato ad un cambio manuale a quattro marce. I quattro cilindri sono fusi in un unico blocco di ghisa con testa riportata che alloggia nella parte superiore i tre supporti dell’albero a camme (che comanda attraverso bilancieri le valvole intercambiabili).Diatto 20A Torpedo (1924): le quotazioniLe quotazioni della Diatto 20A Torpedo del 1924 (auto prodotta fino al 1927) recitano 35.000 euro: trovarla è impossibile, l’unico modo per vederla è recarsi in qualche museo…
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Citroën C4 Cactus: guida all’acquisto
La Citroën C4 Cactus è senza dubbio l’auto più originale attualmente in listino: realizzata sullo stesso pianale (allungato) della piccola C3 ma classificabile nel segmento delle compatte, ha uno stile che strizza l’occhio al mondo delle SUV e presenta diverse soluzioni interessanti che non si trovano nemmeno sulle monovolume. Gli ingegneri della Casa francese, ad esempio, sono riusciti a ricavare un vano portaoggetti immenso (8,5 litri) spostando l’alloggiamento dell’airbag passeggero vicino alla parte alta del parabrezza.In questa guida all’acquisto dedicata alla “segmento C” del Double Chevron vi mostreremo nel dettaglio tutte le versioni presenti in listino: prezzi, motori, accessori, prestazioni, pregi, difetti e chi più ne ha più ne metta.Citroën C4 Cactus: guida all’acquistoLa Citroën C4 Cactus è una compatta che se la cava alla grande anche in città: merito delle dimensioni esterne tutt’altro che ingombranti (4,16 metri di lunghezza) e degli utili Airbump, capsule d’aria inglobate in un morbido strato di TPU (poliuretano termoplastico) che proteggono il veicolo dai piccoli urti quotidiani.Esistono però concorrenti più spaziose: i passeggeri posteriori hanno tanti centimetri a disposizione nella zona della testa ma pochi per le gambe, in tre sul divano si sta stretti e il bagagliaio – penalizzato dall’impossibilità di abbattere separatamente gli schienali – potrebbe essere più capiente.La Citroën C4 Cactus è stata progettata per essere più leggera possibile in modo da ridurre i consumi e i costi d’esercizio: questo, però, ha portato all’adozione di alcune soluzioni che incidono negativamente sulla qualità percepita come i finestrini posteriori con apertura a compasso.Gli allestimenti della Citroën C4 CactusGli allestimenti della Citroën C4 Cactus sono tre: Live, Feel e Shine.La versione d’accesso Live, contraddistinta da prezzi molto contenuti e disponibile esclusivamente con i motori PureTech 75 CV e BlueHDi S&S, offre gli airbag frontali, laterali e a tendina, gli Airbump neri, gli alzacristalli elettrici anteriori, l’assistente per le partenze in salita, gli attacchi Isofix, l’autoradio, la chiusura centralizzata, i controlli di stabilità e trazione, il cruise control, il nero opaco usato per le calotte degli specchietti retrovisori esterni e per alcuni dettagli della carrozzeria, i retrovisori regolabili elettricamente, i tergicristalli Magic Wash (spazzole con ugelli lavavetro integrati), il touch pad da 7” e il volante regolabile in altezza.La Citroën C4 Cactus Feel, a nostro avviso la versione più adatta, prevede un sovrapprezzo di soli 1.500 euro rispetto alla Live a parità di propulsore ma è decisamente più ricca: barre sul tetto, Bluetooth, calotte retrovisori esterni e dettagli carrozzeria in Glossy Black, climatizzatore manuale, maniglie in tinta con la carrozzeria, sedile del guidatore regolabile in altezza, sedili anteriori con appoggiagomito integrato nello schienale (per le versioni dotate di cambio automatico) e volante in pelle bicolore con inserti cromati.La completissima variante Shine – non disponibile con il propulsore PureTech 75 – costa 1.750 euro più della Feel a parità di motore e aggiunge l’accensione automatica dei fari, i cerchi in lega da 16”, il climatizzatore automatico, i fendinebbia con funzione cornering, il navigatore, i retrovisori elettrici riscaldabili, i sensori di parcheggio posteriori, il tergicristallo automatico con sensore pioggia e i vetri posteriori oscurati.Citroën C4 Cactus: tutti i modelli in listinoDi seguito troverete tutte le caratteristiche delle versioni della Citroën C4 Cactus. La gamma motori della compatta francese è composta da quattro unità: tre 1.2 a benzina PureTech da 75, 82 e 110 CV e un 1.6 turbodiesel BlueHDi da 99 CV.Citroën C4 Cactus PureTech 75 (da 14.950 euro)La Citroën C4 Cactus PureTech 75 (prezzi fino a 16.450 euro) è adatta a chi vuole risparmiare il più possibile: grazie a questo propulsore la “segmento C” transalpina raggiunge una velocità massima di 171 km/h, accelera da 0 a 100 chilometri orari in 12,9 secondi e dichiara consumi pari a 21,7 km/l.Citroën C4 Cactus PureTech 82 (da 16.700 euro)La Citroën C4 Cactus PureTech 82 (prezzi fino a 19.300 euro) offre gli stessi consumi (convincenti) e le stesse prestazioni (poco pimpanti) della variante da 75 CV ma, a differenza della “cugina minore”, può essere acquistata insieme al cambio automatico.Il propulsore a tre cilindri è leggermente rumoroso a freddo, non ha molti cavalli e potrebbe essere più grintoso ai bassi regimi: esistono unità della concorrenza dalla cilindrata più contenuta (che comporta una polizza RC Auto leggermente più economica) che regalano potenze simili.Citroën C4 Cactus PureTech 110 (da 18.200 euro)La Citroën C4 Cactus PureTech 110 (prezzi fino a 19.950 euro) è secondo noi la versione da acquistare: agile nelle curve come le varianti meno potenti, può però vantare prestazioni davvero interessanti (9,3 secondi sullo “0-100”).Citroën C4 Cactus BlueHDI (da 18.250 euro)Anche a bordo della Citroën C4 Cactus BlueHDi (prezzi fino a 22.100 euro) ci si può divertire: merito della leggerezza del corpo vettura che consente di ottenere tanta vivacità (“0-100” in 10,6 secondi) in cambio di pochissimo gasolio (la versione S&S dichiara 24,4 km/l nel ciclo urbano). Purtroppo non è guidabile dai neopatentati: solo la PureTech 75 può essere condotta da chi ha ottenuto da meno di un anno la licenza di guida.Citroën C4 Cactus: gli optionalLa dotazione di serie della Citroën C4 Cactus Live andrebbe a nostro avviso integrata con due optional fondamentali: il climatizzatore (900 euro) e la vernice metalizzata (600 euro). Quest’ultimo accessorio andrebbe acquistato anche sulle varianti Feel – a cui aggiungeremmo i cerchi in lega da 16” (350 euro) e i fendinebbia (200 euro) – e Shine. Per rendere la versione più lussuosa ancora più elegante consigliamo gli interni in pelle/tessuto (900 euro) e il tetto panoramico (650 euro).
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