Monthly Archives: Agosto 2015
Megabus sbarca in Italia: lo abbiamo provato per voi
Esiste una nuova frontiera per i viaggi low-cost ed è l’autobus a prezzi stracciati, una soluzione adatta per chi non ha fretta o per chi non vuole spendere troppo per viaggiare. Ne abbiamo provato uno su una tratta di media percorrenza (Torino – Firenze) e questo è il resoconto del nostro viaggio con Megabus.Il sitoLa nostra esperienza con Megabus inizia ovviamente sul sito, dove si possono prenotare i biglietti. La schermata di selezione di arrivo e partenza ci fa subito capire che le linee a nostra disposizione sono moltissime. Megabus opera infatti in tutta Europa e, se siete disposti a fare viaggi lunghissimi, potreste anche andare a Londra o a Parigi dall’Italia. Dopo aver selezionato la città di partenza (Torino) e quella di arrivo (Firenze), abbiamo scelto i giorni di arrivo e partenza: si apre così una schermata con la selezione delle corse disponibili in quelle giornate. Abbiamo verificato gli orari di diverse linee di Megabus e sono tutte generalmente comode, tranne forse proprio quelli della tratta Torino – Firenze che vede un autobus in partenza alle 4:00 del mattino e uno alle 16:00 (un po’ più comodo).I prezziI prezzi sul sito sono davvero economici: prenotando con larghissimo anticipo si trovano gli iper pubblicizzati biglietti ad un 1€ sponsorizzati dagli inquietanti omini stampati sui lati dei bus. Anche normalmente però i prezzi di Megabus sono decisamente contenuti ed è possibile viaggiare a 7€ a tratta da Torino verso il capoluogo toscano: una cifra irrisoria, anche in confronto ad altre compagnie simili di trasporto su bus. Inizia il viaggioAlle 3:30 eravamo alla stazione degli autobus di Torino, situata nelle vicinanze di Torino Porta Susa e verso le 3:50 sono iniziate le procedure di carico dei bagagli sul veicolo di Megabus. Le valigie vengono perlopiù ammassate a caso all’interno dei bagagliaio, senza cura né per le valigie, né tantomeno per l’ordine di arrivo dei passeggeri. Mentre osserviamo l’operazione sappiamo già che questa operazione creerà non pochi problemi all’arrivo, ma sono le 4 del mattino e nessuna ha voglia di discutere. L’autobus Il viaggio di andata lo abbiamo fatto nei posti al piano inferiore (gli autobus sono a due piani) sul lato destro, l’unico (a quanto pare) dotato delle prese della corrente elettrica per ricaricare smartphone, pc e tablet. In mezzo alle due prese è disponibile anche un attacco USB per ricaricare i dispositivi senza il trasformatore. A bordo è disponibile inoltre il wi-fi, libero e senza alcun tipo di restrizione o iscrizione per l’accesso. Il risultato principale è che dopo pochi minuti su Megabus alcuni ragazzi stanno già guardando il nuovo Mission Impossible: Rogue Nation in streaming, impedendo a tutti gli altri di usufruire degnamente della connessione. Improvvisamente le restrizioni di Italo alla connessione non sembrano più tanto folli. I posti sui bus di Megabus sono spaziosi, ma i sedili non particolarmente comodi. Come spesso accade sui mezzi di trasporto, l’aria condizionata è impostata sul livello "glaciazione" e una felpa a bordo è d’obbligo. Un elemento apparentemente inutile, ma di fondamentale importanza in viaggi così lunghi è la presenza di una retina sul retro del sedile: sui bus di Megabus che abbiamo preso non c’era nessuna retina, quindi o si tiene tutto in tasca o ogni volta ci si deve alzare per prendere lo zaino nella cappelliera. Il bagno, che con ogni probabilità visiterete almeno una volta, non è (ovviamente) spazioso, ma è molto pulito e ha un aspetto davvero hi-tec. Le luci notturne interne sono blu e riescono ad illuminare sufficientemente per sentirsi al sicuro, senza dare fastidio a chi dorme. Le luci normali invece, che vengono accese ad esempio quando il bus si ferma per delle soste, illuminano a giorno. Soste eterneProprio le fermate sono uno dei problemi principali riscontrati su Megabus: sia nelle stazioni in città dove i passeggeri salgono e scendono, che nelle aree di sosta il bus si ferma troppo a lungo (soprattutto in confronto ad altre compagnie che sembrano più rapide ed organizzate), rendendo in alcuni momenti il viaggio quasi eterno. La jungla delle valigieUna volta giunti a destinazione ci sono stati pro e contro da valutare. Uno dei punti a favore di Megabus (e in generale dei viaggi con questi mezzi) è che solitamente lasciano in città, vicino alle stazioni ferroviarie, rendendo quindi comodo il raggiungimento delle principali mete turistiche. Ma il ritiro delle valigie è stato un vero e proprio incubo. Innanzitutto non c’era nessuno a controllare che ognuno riprendesse la propria valigia e inoltre per mettere le mani sui nostri bagagli ci siamo dovuti avventurare dentro l’enorme bagagliaio del bus, scaricando quelli accatastati sopra i nostri e distribuendoli agli altri passeggeri. Semplicemente una situazione di anarchia.Ci è stato comunque riferito che su altre tratte di Megabus alla partenza viene affidato ai passeggeri un tagliando corrispondente al proprio bagaglio. Sulla tratta di ritorno (Bologna – Torino) era presente l’autista nelle fasi di carico e scarico, quindi è possibile che quanto visto a Firenze fosse un caso. Il personale sui bus comunque (che è in parte italiano e in parte inglese) è sempre cordiale, disponibile e alla guida hanno sempre mantenuto un comportamento consono e rispettoso del codice della strada. Dal 2003 in giro per il mondoIl servizio di Megabus è nato in Inghilterra nel 2003 e ha poi varcato i confini britannici per arrivare fino al Nord America, dove sono disponibili ben 30 tratte tra Stati Uniti e Canada. In Europa potete trovare Megabus in Irlanda, Francia, Germania, Olanda, Belgio, Lussemburgo e in Spagna. In Italia la flotta è composta da 23 pullman e il servizio collega al momento 13 città, in prevalenza nel centro-nord (trascurando in parte il sud). La città in cui opera Megabus sono Roma, Milano, Firenze, Venezia, Napoli, Torino, Bologna, Verona, Padova, Siena, Genova, La Spezia e Pisa.
Nuova Honda Accord
La Honda Accord statunitense si aggiorna. La Berlina media giapponese per eccellenza – concorrente diretta negli Stati Uniti della Toyota Camry e Chevrolet Cruze per il titolo di auto più venduta – non sta godendo del successo di una volta (soprattutto a causa della spietata concorrenza delle crossover) e, per questo, la Casa nipponica ha deciso di anticipare di diversi mesi il suo profondo restyling.La presentazione della nuova Honda Accord 2015 è avvenuta nella Silicon Valley visto che le novità di quest’auto si concentrano quasi tutte nel reparto tecnologico, ora molto avanzato.Le novità esteticheEsteriormente la nuova Accord e Acord Coupé inaugurano nuovi gruppi ottici a LED anteriori e posteriori – derivati dalle Acura premium, come la RLX.Anche il paraurti anteriore e il cofano sono stati riveduti e corretti stilisticamente per dare un’immagine meno “noiosa” rispetto al passato. I cerchi da 19 pollici chiudono il quadro delle novità estetiche dando alla Accord un aspetto nel complesso più dinamico.Fabbricata in Ohio, la nuova Honda Accord inaugura soprattutto tecnologie di sicurezza attiva che si apprestano ad entrare in questo segmento.Un pacchetto chiamato Honda Sensing include tra le altre cose la frenata automatica, il sistema di mantenimento della corsia, l’avviso del punto morto e il cruise control adattivo.Le luci abbaglianti automatiche rappresentano un’altra novità dell’equipaggiamento della nuova Honda Accord, insieme alla telecamera per la retromarcia e alla radio HD di serie per tutta la gamma.Stessa gamma motoriDove non troviamo novità è invece nella gamma motori: rimangono in listino il 2.4 da quattro cilindri e un 3,5 litri da sei cilindri entrambi con tecnologia i-VTEC abbinati a cambio manuale o automatico.Più tecnologia di bordoLa principale novità della Honda Accord 2015 riguarda la compatibilità del sistema di infotainment con l’Apple Car Play e Android Auto. Grazie a questi sistemi per poter connettere lo smartphone e gestire direttamente le applicazioni dallo schermo da 7,7 pollici ad alta risoluzione.
Volkswagen Porsche 914 1.8 (1973): tra Wolfsburg e Stoccarda
La Volkswagen Porsche 914 1.8 è l’ultima evoluzione della spider (in realtà sarebbe una targa visto che monta un roll-bar fisso) frutto della collaborazione tra le due Case tedesche. Questa sportiva, mai del tutto apprezzata dagli appassionati del brand di Stoccarda a causa di numerose componenti meccaniche condivise con Wolfsburg, sta però beneficiando di una forte rivalutazione e ora ci vogliono 10.000 euro per acquistarla.Volkswagen Porsche 914 1.8 (1973): le caratteristiche principaliLa Volkswagen Porsche 914 1.8 vede la luce nel 1973, un anno dopo l’abbandono del progetto da parte del marchio di Wolfsburg: esteticamente presenta le stesse leggere modifiche (paraurti neri opachi anziché cromati) introdotte nel 1972 dalla più potente 2.0.Il motore montato in posizione posteriore-centrale contribuisce a migliorare il piacere di guida (merito anche del peso contenuto, inferiore ai 1.000 kg, e di uno sterzo molto diretto) e la praticità (due bagagliai: uno anteriore e uno posteriore nel quale è possibile riporre il tetto) ma scalda un po’ troppo l’abitacolo, spazioso per due adulti e ben rifinito.Tra gli altri difetti della Volkswagen Porsche 914 1.8 segnaliamo la leva del cambio che tende spesso ad impuntarsi quando si guida in modo allegro. Prima dell’acquisto consigliamo di dare un’occhiata alla carrozzeria (spesso attaccata dalla ruggine) e allo stato di salute delle parti meccaniche, visto che i ricambi – facili da trovare – sono piuttosto costosi.Volkswagen Porsche 914 1.8 (1973): la tecnicaIl motore è un 1.8 boxer a quattro cilindri da 85 CV abbinato ad un cambio manuale a cinque marce: questa unità, la stessa adottata dalla Volkswagen 412, offre prestazioni tutt’altro che vivaci (178 km/h di velocità massima e 12 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri) ma regala una buona spinta già ai bassi regimi ed è, oltretutto, molto affidabile.Volkswagen Porsche 914 1.8 (1973): le quotazioniLa Volkswagen Porsche 914 1.8 del 1973 ha venduto più della 2.0 ma in Italia è impossibile da trovare (da noi la maggioranza dei clienti preferì puntare al massimo): più semplice trovare esemplari ben tenuti all’estero (in Germania e nei paesi anglosassoni) a circa 10.000 euro. Le versioni a sei cilindri prodotte dal 1969 al 1972 sono però le uniche che sono destinate ad avere un futuro come auto d’epoca.
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Giovanni Battista Ceirano, grazie a lui nacque la Fiat
Giovanni Battista Ceirano non è un personaggio molto conosciuto: eppure senza di lui la Fiat non sarebbe mai nata. Scopriamo insieme la storia di questo imprenditore piemontese.Giovanni Battista Ceirano, la biografiaGiovanni Battista Ceirano nasce l’1 ottobre 1860 a Cuneo: figlio di un orologiaio e appassionato di meccanica, si trasferisce nel 1880 a Torino per fare pratica presso alcune officine del capoluogo pienontese.Mettersi in proprioNel 1888 crea una società specializzata della vendita e nella riparazione di velocipedi e sei anni più tardi inizia a produrli con il marchio Welleyes. Nello stesso periodo deposita il brevetto di una ruota per auto più facile da smontare rispetto a quelle allora in commercio.La prima automobileIl 1898 è l’anno in cui Giovanni Battista Ceirano decide di puntare sulla realizzazione di automobili e fonda l’azienda Accomandita Ceirano, nella quale lavorano – tra gli altri – un certo Vincenzo Lancia (fondatore dell’omonima Casa automobilistica) e Felice Nazzaro, vincitore di due edizioni della Targa Florio (1907 e 1913).La prima vettura Ceirano – la Welleyes (dotata di un motore bicilindrico da 663 cc) – piace ma mancano i soldi e gli spazi per produrla in piccola serie.Nasce la FiatAlcuni soci dell’Accomandita Ceirano, alla ricerca di fondi per proseguire l’attività, contattano aristocratici e industriali torinesi: l’11 luglio 1899 nasce la Fiat e Giovanni Battista viene liquidato con 30.000 lire e nominato agente generale per le vendite in Italia del neonato marchio piemontese.Addio alla FiatNel 1901 Giovanni Battista lascia la Fiat e fonda insieme ai fratelli Ernesto, Giovanni e Matteo la Fratelli Ceirano. Due anni più tardi – in seguito ad una discussione in famiglia – crea in coppia con Giovanni la G.G. Ceirano ma il rapporto tra i due cessa però già nel 1904, anno di nascita della Star (Società Torinese Automobili Rapid).Gli ultimi anniGiovanni Battista Ceirano lascia la Star, l’ultima azienda da lui fondata, già nel 1905 per problemi di salute, si ritira nella sua casa di Bordighera e scompare a Torino il 24 settembre 1912.
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Mitsubishi Eclipse, la storia della sportiva giapponese
La Mitsubishi Eclipse è una sportiva giapponese che per qualche anno (dal 1992 al 1998) è stata venduta anche in Italia. Scopriamo insieme la storia di questo modello, prodotto in quattro generazioni per oltre un ventennio.Mitsubishi Eclipse prima generazione (1989)La prima generazione della Mitsubishi Eclipse vede la luce nel 1989: disponibile solo coupé a trazione anteriore o integrale viene commercializzata negli USA – in seguito all’accordo del marchio del Sol Levante con Chrysler – anche con i nomi Eagle Talon e Plymouth Laser.Nel 1992 (anno del restyling: i fari a scomparsa vengono rimpiazzati da gruppi ottici più tradizionali) sbarca nel nostro Paese: solo 2WD e con un motore 2.0 da 150 CV.Mitsubishi Eclipse seconda generazione (1995)La Mitsubishi Eclipse seconda generazione – svelata nel 1995 e venduta anche come Eagle Talon – ha un design più originale e tondeggiante rispetto all’antenata ed è sempre disponibile a trazione anteriore o integrale.Nel 1996 arriva la versione cabriolet (mai commercializzata in Italia: nel nostro Paese viene venduta solo la coupé a due ruote motrici dotata di un motore 2.0 da 145 CV) mentre l’anno seguente, in concomitanza con il lancio nel Bel Paese della variante “Targa”, arriva un lifting che porta un frontale più aggressivo.Mitsubishi Eclipse terza generazione (2000)La terza generazione della Mitsubishi Eclipse, mostrata nel 2000, punta soprattutto al mercato nordamericano: realizzata sullo stesso pianale delle versioni coupé di Chrysler Sebring e Dodge Stratus, monta sospensioni più morbide che portano un incremento del comfort ed è disponibile esclusivamente a trazione anteriore.La gamma motori al lancio è composta da due unità: un 2.4 da 150 CV e un 3.0 V6 da 204 CV (potenza aumentata a 218 CV nel 2002).Mitsubishi Eclipse quarta generazione (2005)La Mitsubishi Eclipse quarta generazione del 2005 non ha più rapporti con la Chrysler e questo spiega la piattaforma condivisa con la berlina Galant. Il design, particolarmente riuscito, è caratterizzato da un frontale aggressivo mentre la gamma motori è composta da due unità: un 2.4 da 165 CV e un 3.8 V6 da 266 CV.Nel 2007 viene presentata la versione cabriolet, nel 2009 arriva un primo restyling (contraddistinto da una mascherina più sobria) e nel 2011 è la volta di un secondo lifting: assetto ribassato per migliorare il piacere di guida e una calandra “single frame” ispirata a quelle Audi.
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Volkswagen Polo Original, per il mercato tedesco a 19.950 euro
Volkswagen celebra i suoi 40 anni lanciando sul mercato tedesco l’edizione speciale della cinque porte Original. Volkswagen Polo OriginalLa Volkswagen Polo Original si distingue per i retrovisori esterni in tinta con la carrozzeria, i fari posteriori scuri, il logo “Original” su battitacchi e parafango anteriore.Completano il quadro luci a LED, cerchi in lega da 16 pollici e griglia radiatore nero lucido. Alcuni modelli saranno disponibili nella esclusiva colorazione arancio miele metallizzato. All’interno della vettura troviamo il volante multifunzione e pomello cambio e freno a mano in pelle con cuciture a contrasto. Non mancano rivestimenti sedili e pedaliera sportiva.Non manca il clima automatico, l’impianto audio con connettività Bluetooth, e i sistemi di sicurezza Front Assist con City Emergency Braking con telecamera posteriore. Prezzi da 19.950 euroVolkswagen Polo Original è disponibile in abbinamento a sei motori con prezzi a partire da 19.950 euro, con un vantaggio cliente di 1.119 euro rispetto a un modello base dotato dello stesso equipaggiamento.
Masten Gregory, un nerd a Le Mans
Masten Gregory non è stato solo uno dei piloti più riconoscibili della storia della F1 (merito dei grandi occhiali da nerd che indossava quasi sempre) ma è stato anche uno dei protagonisti dell’ultima vittoria Ferrari alla 24 Ore di Le Mans (nell’edizione del 1965). Scopriamo insieme la sua storia.Masten Gregory, la storiaMasten Gregory nasce il 29 febbraio 1932 a Kansas City (USA): ultimo di tre figli di un facoltoso uomo d’affari, perde il padre a soli tre anni. A 21 anni decide di usare i soldi dell’eredità per correre: acquista una Allard, prende parte alla 12 Ore di Sebring e al volante di una Jaguar C-Type ottiene il primo risultato rilevante sul circuito di Bergstrom in una gara valida per il campionato statunitense SCCA (3°) e sale sul gradino più alto del podio per la prima volta in carriera a San Francisco.I primi anniNel 1954 termina in quarta posizione la 12 Ore di Reims insieme al nostro Clemente Biondetti su una Ferrari 375 MM e con la stessa vettura conquista il primo successo all’estero trionfando sul circuito britannico di Aintree. Nel biennio 1955-1956 scarseggiano invece i risultati.La svolta e il debutto in F1La svolta per Masten Gregory arriva il 20 gennaio 1957 quando – al volante di una Ferrari 290 MM guidata insieme ai nostri Eugenio Castellotti e Luigi Musso – si aggiudica la 1.000 km di Buenos Aires.Questo successo apre a Gregory le porte della F1 e più precisamente quelle della Scuderia Centro Sud, che gli affida una Maserati: debutta a Monte Carlo salendo subito sul podio (3°: meglio del compagno di squadra, il francese André Simon), arriva 8° in Germania (meglio del driver locale Hans Herrmann) e nelle ultime due prove stagionali a Pescara e a Monza chiude in quarta posizione risultando più veloce del coéquipier svedese Joakim Bonnier.Delusioni nel CircusLa carriera di Masten Gregory in F1 inizia alla grande (6° nel Mondiale 1957 pur avendo disputato solo quattro GP su otto) ma prosegue senza grandi picchi: nel 1958 corre in Olanda e in Belgio portando a casa due ritiri e facendo peggio del compagno francese Maurice Trintignant ed è costretto a saltare diverse gare quando nel mese di luglio viene coinvolto in brutto incidente sul circuito di Silverstone mentre sta guidando un prototipo Lister.Torna nel Circus a settembre a Monza (4°) e arriva sesto in Marocco correndo con il team statunitense Temple Buell e questi risultati gli consentono nel 1959 di trovare un posto da pilota ufficiale alla Cooper. Termina al terzo posto in Olanda e al secondo in Portogallo ma non riesce a fare meglio dei due prestigiosi compagni di scuderia: l’australiano Jack Brabham (che nello stesso anno diventa campione del mondo) e il neozelandese Bruce McLaren.I primi anni ’60Nel 1960, in seguito alla rottura del contratto con la Cooper, Masten Gregory torna a correre in F1 con team privati: disputa con una Porsche della squadra statunitense Camoradi il primo GP della stagione in Argentina e poi torna alla Scuderia Centro Sud (stavolta con una Cooper) risultando più rapido dei due coéquipier, il britannico Ian Burgess e Trintignant.L’anno seguente arrivano i primi successi con le vetture Sport (1° alla 1.000 km del Nürburgring con una Maserati Tipo 61 in coppia con il connazionale Lloyd Casner) e altre delusioni nel Circus: corre le prime cinque gare della stagione con una Cooper del team Camoradi e gareggia in Italia e negli USA con una Lotus della scuderia britannica UDT Laystall: in entrambe le gare si ritira, a differenza dei compagni (l’inglese Henry Taylor e il belga Olivier Gendebien).Masten Gregory si riscatta nel 1962 quando, sempre con la Lotus UDT Laystall torna a punti dopo tre anni con un sesto posto negli USA. Più veloce del compagno britannico Innes Ireland, vince un GP in Svezia non valido per il Mondiale. Nella stagione 1963 gareggia invece con il team inglese Reg Parnell (prima con una Lotus e poi con una Lola) senza brillare particolarmente.I successi con le SportIl 1964 è l’anno in cui Gregory viene chiamato dalla Ford per sviluppare un’auto destinata ad entrare nel mito (la GT40) mentre l’anno seguente affronta l’ultima stagione in F1 correndo 4 GP con una BRM della Scuderia Centro Sud: si ritira in Belgio (a differenza del compagno di scuderia, il driver locale Lucien Bianchi) e ottiene come miglior risultato un’ottava piazza in Germania (meglio del nostro Roberto Bussinello).La più grande soddisfazione nella carriera di Masten Gregory arriva però con la vittoria nella 24 Ore di Le Mans 1965 con una Ferrari 250 LM (ultima vettura italiana a trionfare nella prestigiosa corsa endurance francese) guidata insieme al connazionale Ed Hugus e all’austriaco Jochen Rindt.Tra gli altri risultati rilevanti ottenuti da Masten con le Sport segnaliamo il secondo posto alla 1.000 km di Monza del 1966 con la Ford GT40 e la terza piazza alla 12 Ore di Sebring con l’Alfa Romeo T33/3.Il ritiroNel 1972 Masten Gregory decide di ritirarsi dal mondo delle corse dopo aver assistito durante la 24 Ore di Le Mans alla morte dell’amico e collega Bonnier. Si trasferisce ad Amsterdam dove si occupa di commercio di diamanti e di oggetti in vetro e perde la vita l’8 novembre 1985 nella sua casa di Porto Ercole (Italia).
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Lexus Hoverboard, lo skateboard volante è realtà
Alla fine a creare lo skateboard volante ci ha pensato una Casa automobilistica. Lexus ci è riuscita.La firma giapponese ha costruito un monopattino volante degno di “Ritorno al Futuro”, capace di elevarsi alcuni millimetri sopra il suolo e risvegliare il bambino che abbiamo dentro… Basta guardare il Video (in basso) e la gallery di immagini (in apertura) per emozionarsi come dei piccoli sognatori.“Spingere i limiti della tecnologia, del design e dell’innovazione per rendere possibile l’impossibile”. Questo è il leitmotiv che ha spinto la casa nipponica a dare forma al suo “Hoverboard” con un progetto di ideazione e sviluppo durato 18 mesi e al quale ha lavorato un team di specialisti della lievitazione magnetica provenienti da IFW e EVICO GmbH.Vola… ma con il trucco…Ma come funziona l’Hoverboard di Lexus? Il movimento e il volo di questo singolare skateboard si producono attraverso una lievitazione magnetica generata da alcuni superconduttori che al loro interno sono refrigerati attraverso l’immersione in nitrogeno a -197°… per questo il fumo ghiacciato che fuoriesce dai lati della tavola.La chiave per il funzionamento di questo “hoverboard” risiede nello speciale skatepark appositamente creato, sotto il suolo del quale sono state installate una serie di calamite che gli rendono possibile il volo. Su una strada normale, quindi, l’effetto soprendente non funzionerebbe. Peccato.
Alfa Romeo 4C by Romeo Ferraris
Romeo Ferraris, famoso tuner milanese, presenta i suoi pacchetti di personalizzazione per l’Alfa Romeo 4C.Upgrade per il piccolo 1.7Per quanto riguarda la meccanica il preparatore italiano propone una rimappatura del Tbi 1.7 da 240 CV che fornisce un surplus di potenza equivalente a +28 CV.Con questo upgrade l’Alfa Romeo 4C by Romeo Ferraris migliora lo scatto 0-100 dai 4,5 secondi originali fino a 4,3 secondi nella versione modificata.Anche la coppia motrice massima cresce di +38 Nm raggiungendo così un valore complessivo di 338 Nm. In questo modo anche il dato sulla velocità massima migliora ulteriormente passando dai 258 km/h di serie fino a 263 km/h.Sound regolabileNovità anche per il sistema di scarico della 4C per il quale Romeo Ferraris mette a disposizione la versione con valvole che permette tramite un telecomando un suono stradale o racing.Sono in fase di delibera, inoltre, una maggiorazione della turbina di serie che permette di raggiungere i 300 CV ed un collettore di scarico twin scroll con turbina dedicata su cuscinetti ceramici per un incremento prossimo ai 350 CV.Kit esteticoEsteticamente, poi, il kit di Romeo Ferraris per la 4C prevede l’introduzione di diversi componenti in carbonio che possono essere utilizzati per personalizzare maggiormente la vettura, come il copri motore in Carbonio, vari modelli di cerchi disponibili, assetti personalizzati regolabili in altezza e tarature con set up completamente personalizzabili per l’uso in pista o stradale, oscuramento vetri e interni realizzabili su misura, scegliendo tra un’ampia gamma di pelle, carbonio, alluminio
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Skoda, la storia della Casa ceca
La Skoda è una Casa che ha vissuto molte vite: nata come produttrice di biciclette, si è successivamente concentrata sulla realizzazione di automobili eleganti e raffinate molto apprezzate prima della Seconda Guerra Mondiale. Con l’arrivo del comunismo la qualità dei modelli è calata vistosamente ma ora, grazie a Volkswagen, questo marchio è diventato simbolo di vetture costruite con cura e caratterizzate da un prezzo non troppo elevato. Scopriamo insieme la storia del brand ceco.Skoda, la storiaLa storia della Skoda in campo automobilistico inizia ufficialmente nel 1894 quando il libraio Václav Laurin e il meccanico Václav Klement aprono a Mladá Boleslav (ora in Repubblica Ceca ma all’epoca appartenente all’Impero austro-ungarico) un’azienda – la Laurin & Klement – specializzata nella produzione e nella riparazione di biciclette.Nel 1898 inizia l’assemblaggio di bici motorizzate mentre bisogna aspettare il 1905 per vedere la prima automobile del brand: la Voiturette mod. A, una scoperta bicilindrica a due tempi con un motore rimpiazzato dopo poco da una più moderna unità a quattro tempi.La Prima Guerra MondialeNel 1912 la Laurin & Klement (il nome Skoda arriverà più avanti) decide di concentrarsi esclusivamente sui mezzi a quattro ruote ma in seguito allo scoppio, due anni più tardi, della Prima Guerra Mondiale la produzione viene convertita ad uso bellico.Al termine del conflitto nella neonata Cecoslovacchia sono ben poche le persone in grado di permettersi l’acquisto di un’automobile (oggetto di lusso destinato a clienti facoltosi) e questo porta ad una rapida crisi dell’azienda, che nel tentativo di risollevare la situazione finanziaria nel 1924 sigla un accordo con il governo per la realizzazione di motori aeronautici.Nasce la SkodaNel 1925 la Laurin & Klement viene assorbita dalla Skoda, un colosso locale specializzato nella metallurgia e nella produzione di armi che si era già cimentato nella realizzazione di auto due anni prima costruendo carrozzerie da montare su telai Hispano-Suiza.La crisi di vendite, però, continua senza sosta e per assistere ad un’inversione di tendenza bisogna attendere il lancio di tre modelli più accessibili – Popular e Superb nel 1934 e Rapid nel 1935 – che consentono al marchio cecoslovacco di conquistare il mercato locale.La Seconda Guerra MondialeNel 1938 la Germania occupa la Cecoslovacchia e gli stabilimenti Skoda vengono utilizzati dai nazisti per produrre mezzi militari e armi. La fabbrica di Mladá Boleslav viene distrutta durante la Seconda Guerra Mondiale dai bombardamenti britannici e statunitensi e riprende l’attività nel 1945 con la 1101, nient’altro che un’evoluzione della Popular.L’arrivo del comunismoIn seguito al colpo di stato comunista in Cecoslovacchia nel 1948 il regime nazionalizza l’azienda e separa il reparto automobilistico Skoda dal resto della società. I modelli realizzati nel secondo dopoguerra conservano un livello di tecnologia e affidabilità paragonabile a quello della concorrenza occidentale ma con il passare degli anni il divario tecnico diventa sempre più marcato.Nel 1964 debutta la 1000 MB, prima Skoda con telaio monoscocca nonchè ultimo modello degno di nota realizzato durante la Guerra Fredda. Le vetture del brand prodotte negli anni ’70 e nella prima metà del decennio successivo, infatti, sono talmente inaffidabili e prive di qualità da trasformare il marchio cecoslovacco in uno dei peggiori in circolazione.La svolta con VolkswagenNel 1987 vede la luce la Favorit, una piccola a cinque porte dotata di motore anteriore e trazione anteriore caratterizzata da un design moderno (firmato Bertone). In seguito al crollo del muro di Berlino nel 1989 il governo cecoslovacco si mette alla ricerca di un partner occidentale per migliorare i prodotti della Casa automobilistica di sua proprietà.Il 1991 è l’anno in cui Volkswagen (marca preferita a Renault: la Casa francese intendeva solamente sfruttare le fabbriche locali per produrre la Twingo) acquista il 30% della Skoda, percentuale che sale al 60,3% nel 1994 (anno in cui nasce la Felicia, un’evoluzione della Favorit profondamente rivista dai tecnici di Wolfsburg) e al 70% nel 1995.I modelli della rinascitaLa berlina Octavia del 1996 – costruita sul pianale della Golf – è la prima auto del marchio ceco progettata interamente da Volkswagen, nel 1999 è la volta della piccola Fabia (realizzata sulla stessa piattaforma della Polo) mentre tra i modelli più interessanti lanciati nel Terzo millennio segnaliamo l’originale monovolume Roomster del 2006, la SUV Yeti e la citycar Citigo, gemella della Seat Mii e della Volkswagen up!.
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