Monthly Archives: Gennaio 2015

La storia Zagato in mostra a Torino

La mostra Zagato: Collectibles and Design since 1919 in programma al Museo dell’Automobile di Torino fino al 15 marzo 2015 è un appuntamento imperdibile per gli appassionati delle quattro ruote e del design. Un evento che celebra i 95 anni del mitico atelier lombardo attraverso nove modelli (cinque d’epoca e quattro moderni) che hanno segnato la storia di questo brand simbolo del “made in Italy”.I cinque modelli d’antan presenti nel capoluogo piemontese sono tutti italiani – Alfa Romeo 6C 1500 GS Testa Fissa Zagato (1934), Lancia Aprilia Sport Zagato (1937), Maserati A6G/54 Zagato (1954), Lancia Flavia Super Sport Zagato (1967) e Alfa Romeo SZ (1989) – mentre per quanto riguarda le quattro vetture realizzate in questo decennio (Alfa Romeo TZ3 Stradale del 2011, Fiat 500 Coupé Zagato del 2011, BMW Zagato Coupé del 2012 e Aston Martin Virage Shooting Brake del 2014) non mancano proposte straniere.In occasione della mostra Zagato: Collectibles and Design since 1919 è stato anche pubblicato da Giorgio Nada Editore il libro commemorativo “Zagato Milano 1919-2014” (208 pagine, 40 euro). Il Museo dell’Automobile di Torino (corso Unità d’Italia 40), è aperto il lunedì’ dalle 10 alle 14, il martedì dalle 14 alle 19, il mercoledì, il giovedì e la domenica dalle 10 alle 19 e il venerdì e il sabato dalle 10 alle 21. Uniche eccezioni i giorni di Natale e Capodanno (dalle 14 alle 19), il 31 dicembre e il 5 gennaio (dalle 10 alle 14) e l’Epifania (dalle 10 alle 19).I prezzi dei biglietti? 8 euro (12 euro dal 2015) l’ingresso intero, 6 euro (8 euro dal prossimo anno) quello ridotto (over 65, ragazzi dai 6 ai 14 anni, disabili, gruppi oltre le 15 persone, studenti universitari con tesserino e altre categorie), 2,50 euro per le scuole e gratuito per i minori di 6 anni. Per maggiori informazioni www.museoauto.it.

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MG Metro 6R4, la paziente inglese

La MG Metro 6R4 non ha mai vinto un rally iridato e ne ha conclusi pochi (a causa della scarsa affidabilità): nonostante questo resta una delle Gruppo B più conosciute. Oggetto del desiderio degli appassionati di corse britannici (ma non solo) e caratterizzata da un design aggressivo e da prestazioni impressionanti (come tutte le rivali che hanno gareggiato nel mitico quinquennio 1982-1986), ha cercato – senza successo – di primeggiare contro rivali agguerrite. Scopriamo insieme la sua storia, ricca di delusioni e povera di trionfi.MG Metro 6R4: la storiaIl progetto della MG Metro 6R4 parte nel 1982 quando la FISA (Fédération Internationale du Sport Automobile, sezione sportiva della FIA) introduce la categoria Gruppo B per le auto da rally: motori aspirati (da 2 a 4 litri) o sovralimentati (da 1,4 a 2,9 litri), peso minimo regolamentare variabile (da 820 a 1.100 kg a seconda della cilindrata) e derivazione da un modello prodotto in serie in almeno 200 esemplari.Il reparto sportivo della British Leyland – colosso automobilistico britannico che all’epoca gestisce, tra le altre cose, il marchio MG – decide di partecipare al Mondiale con un modello simile nel design alla Metro (variante sportiva, presentata in quello stesso anno, della piccola Austin svelata nel 1980) e chiede aiuto alla Williams.Dopo aver testato un motore V8 anteriore abbinato alla trazione posteriore si decide di puntare per la MG Metro 6R4 su un propulsore montato in posizione posteriore centrale unito alla trazione integrale: inizialmente si pensa di utilizzare un V6 Honda (Casa con la quale la Leyland ha una partnership) ma in seguito si opta per un 2.5 a sei cilindri a V derivato dal 3.5 V8 Rover (di origine Buick), unità con la quale vengono effettuati i primi test privati nel febbraio del 1983.La Metro debutta in gara (in veste ancora non definitiva) il 31 marzo 1984 in occasione dello York National Rally con il pilota britannico Tony Pond: l’esito della gara (ritiro per problemi tecnici) è un’anticipazione di quella che sarà la carriera sportiva della “baby” inglese. Il primo successo arriva a marzo 1985, sempre con Pond, allo Skip Brown Gwynedd Rally.La MG Metro 6R4 ufficiale – dotata di un motore 3.0 V6 aspirato a benzina da 410 CV (250 per la variante destinata al pubblico) – viene presentata nel maggio 1985 con una vernice rossa impreziosita dal tetto bianco per omaggiare le Mini capaci di conquistare tre edizioni del Rally di Monte Carlo. I tecnici “british” scelgono di non adottare la sovralimentazione per avere un’erogazione più ampia e un minore surriscaldamento: una scelta errata visto che in gara le rivali ad alimentazione forzata si riveleranno più grintose e nonostante tutto meno cagionevoli di salute. Tra agosto e ottobre vengono prodotti i 200 esemplari necessari per l’omologazione Gruppo B (più una ventina destinati alle gare), che arriva l’1 novembre.1985Risale a fine novembre – in occasione dell’ultima prova del Mondiale rally 1985 (il RAC in Gran Bretagna) – il debutto iridato della Metro: Pond ottiene un terzo posto (miglior piazzamento in assoluto della piccola “british” nonché unico podio di sempre nel WRC) mentre il britannico Malcolm Wilson è costretto al ritiro per un guaio al motore. Viene anche schierata una vettura privata guidata da Geoff Fielding ma non termina la gara per via della perdita di una ruota.1986Nel 1986 la British Leyland decide di schierare la MG Metro 6R4 in tutte le tappe europee del campionato iridato: il brand britannico chiude al 9° posto tra i Costruttori in una stagione ricca di delusioni.A Monte Carlo Pond è vittima di un incidente mentre Wilson soffre di problemi alla trasmissione, in Svezia Wilson e lo svedese Per Eklund sono costretti al ritiro per noie al motore e il privato svizzero Jean-Luc Thevenaud termina la gara in 16° posizione. Nel Rally del Portogallo vengono schierate tre vetture (affidate a Pond, Wilson e al belga Marc Duez), tutte ritirate per lutto dopo l’incidente del lusitano Joaquim Santos che nella prima prova speciale travolge e uccide tre spettatori.Al Tour de Corse arrivano altri tre ritiri per la MG Metro 6R4 (Pond per un problema all’albero a camme, Wilson per un incendio e il francese Didier Auriol per una perdita d’olio) mentre in Nuova Zelanda tocca ad un altro privato – il locale Tony Teesdale – terminare la corsa (23°). Bisogna aspettare settembre – al 1000 Laghi – per vedere un mezzo ufficiale al traguardo: ci riescono il finlandese Harri Toivonen (8°) e Wilson (10°), esiti alterni – Eklund (7°), Mika Arpiainen (incidente) – per i due privati.Nel Rally di Sanremo Wilson arriva quarto, Pond è vittima di un incidente e Duez è tartassato da problemi al motore. Nell’ultima apparizione ufficiale iridata – al RAC – la Casa britannica schiera ben dodici vetture: otto di queste si ritirano e le altre quattro chiudono la gara in “top ten” (Pond sesto, Eklund 7°, il britannico Jimmy McRae – papà di Colin – ottavo e il connazionale David Llewellin nono).Non solo WRCLa MG Metro 6R4 ottiene maggiori soddisfazioni nelle serie nazionali: Auriol, ad esempio, diventa campione francese grazie ai trionfi nel Critérium Rouergat, al Mont Blanc, ad Antibes, in Alsazia e nel Critérium des Cevennes mentre le tre vittorie nel Regno Unito (due di Llewellin e McRae in Irlanda del Nord e una di Pond nell’isola di Man) non bastano per portare a casa il titolo britannico.Nel 1987 le Gruppo B vengono abolite dal Mondiale rally a causa della loro pericolosità: le piccole Metro, svendute, trovano rapidamente clienti mentre il progetto del motore viene acquistato dalla Tom Walkinshaw Racing. La società di engineering britannica modifica profondamente questo propulsore – incrementando la cilindrata a 3,5 litri e aggiungendo due turbocompressori – e lo installa sotto il cofano della supercar Jaguar XJ220 presentata nel 1992.

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Enrico Teodoro Pigozzi, l’italiano di Francia

Enrico Teodoro Pigozzi, noto anche come Henri Pigozzi, è uno dei tanti italiani che hanno avuto un ruolo fondamentale nell’automobilismo francese: grazie a questo imprenditore torinese – infatti – nacque la Simca, brand sparito intorno alla fine degli anni ’70. Scopriamo insieme la storia di quest’uomo, scomparso 50 anni fa.Enrico Teodoro Pigozzi: la biografiaEnrico Teodoro Pigozzi nasce il 26 giugno 1898 a Torino: figlio di un uomo d’affari piemontese attivo nel settore dei trasporti e scomparso prematuramente, si ritrova in giovane età a dover gestire l’azienda di famiglia. Dopo la Prima Guerra Mondiale scopre le potenzialità del motore a scoppio, cede la società di sua proprietà e si concentra nel commercio di motociclette britanniche e statunitensi, mezzi militari e carbone.Il rapporto con la FiatNella prima metà degli anni ’20 Pigozzi importa materiale ferroso dalla Francia per rifornire i centri siderurgici del Piemonte: la Fiat, sua principale cliente, lo nomina nel 1926 responsabile commerciale della sezione transalpina. A soli 28 anni si trasferisce a Parigi come direttore della SAFAF (Société Anonyme Français des Automobiles Fiat), specializzata nell’importazione di vetture della Casa torinese.La crisi del 1929 incrementa il protezionismo in Francia e l’aumento dei dazi doganali spinge la Fiat ad assemblare direttamente oltralpe i veicoli destinati a quel mercato: Enrico Teodoro Pigozzi acquista un capannone nel quale, dal 1932, iniziano ad essere costruite automobili marchiate Fiat-France.Nasce la SimcaNonostante lo sciovinismo gli automobilisti transalpini apprezzano i veicoli Fiat assemblati nel loro Paese. Non abbastanza, però, secondo Pigozzi, che decide nel 1934 di creare una Casa completamente francese: la Simca (Société Industrielle de Mécanique et Carrosserie Automobile).Enrico Teodoro Pigozzi diventa amministratore delegato del nuovo brand, che fino allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale continua a produrre repliche in salsa transalpina di vetture del marchio torinese. Dopo il conflitto la Simca (aiutata dall’assenza di danni nei propri stabilimenti) si risolleva rapidamente e già nel 1946 torna a costruire mezzi a quattro ruote.Gli anni ’50All’inizio degli anni ’50 – più precisamente nel 1951 – viene presentata la Aronde, la prima “vera” Simca (cioè con un design non Fiat) nonché la prima auto del marchio francese dotata di telaio monoscocca. La vettura ottiene un successo incredibile e permette al brand gestito da Pigozzi di crescere al punto tale da assorbire nel 1954 la filiale francese della Ford.Nello stesso anno Enrico Teodoro Pigozzi – nominato presidente – decide di ampliare la gamma Simca con l’ammiraglia Vedette, ultimo progetto realizzato dalla Ford francese, e nel 1955 il brand transalpino diventa il secondo costruttore francese dietro alla Renault. Nel 1957 è la volta della Ariane, una Vedette con un motore più piccolo.L’accordo con ChryslerIl 1958 è l’anno in cui la Simca sigla un accordo con la Chrysler per la commercializzazione negli USA delle vetture transalpine: il brand “yankee” entra in possesso del 25% delle azioni dell’azienda di Pigozzi e sfrutta la partnership per vendere in Europa alcuni suoi modelli. Il più importante nato da questa unione? La 1000 del 1961.Nel 1963 Enrico Teodoro Pigozzi, ormai più noto in Francia come Henri Pigozzi, viene costretto dalla dirigenza della Casa statunitense ad abbandonare la presidenza della Simca. Scompare a Parigi per un attacco cardiaco il 18 novembre 1964.

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La vita avventurosa di Zora Arkus-Duntov

Zora Arkus-Duntov – l’uomo che ha trasformato la Chevrolet Corvette in un mito – è nato esattamente 105 anni fa. Scopriamo insieme la storia – ricca di avvenimenti – di questo ingegnere cittadino del mondo che ha contribuito al successo della supercar statunitense.Zora Arkus-Duntov, la biografiaZora Arkus-Duntov nasce il 25 dicembre 1909 a Bruxelles (Belgio) da genitori russi che dopo solo un anno tornano a vivere in patria a San Pietroburgo. Appassionato di meccanica e con il sogno di diventare pilota, a 18 anni si trasferisce insieme alla famiglia a Berlino: partecipa ad alcune corse locali, si iscrive all’Università tecnica della capitale tedesca e si laurea in ingegneria meccanica nel 1934.Le sue origini ebraiche gli impediscono di vivere serenamente in un paese governato dai nazisti e per questa ragione si trasferisce a Parigi: nella capitale francese incontra Elfi Wolff (ballerina tedesca alle Folies Bergère) e la sposa due anni più tardi.La Seconda Guerra MondialeQuando scoppia la Seconda Guerra Mondiale Zora Arkus-Duntov si arruola insieme al fratello Yura nell’aviazione transalpina come pilota. Quando la Francia si arrende ai tedeschi ottiene dei visti d’uscita per sé e la sua famiglia grazie al consolato spagnolo di Marsiglia e riesce a raggiungere New York passando per il Portogallo.In AmericaZora si stabilisce a Manhattan e fonda insieme al fratello la Ardun, officina specializzata in munizioni militari. Dopo il conflitto i due si concentrano nella preparazione di motori V8 Ford: per risolvere i problemi di surriscaldamento dei propulsori montati dai veicoli commerciali della Casa dell’Ovale Blu progetta nuove teste usando gli alloggiamenti delle valvole per far passare le aste e collocando le valvole alla sommità delle teste. La trasformazione di unità a valvole laterali a valvole in testa permette inoltre di ricavare potenze elevate (300 CV) e viene apprezzata soprattutto dai proprietari di hot-rod. Nonostante il successo la vita della Ardun dura poco a causa di errate scelte finanziarie.Nella seconda metà degli anni ’40 Zora Arkus-Duntov tenta inoltre, senza fortuna, di diventare un pilota professionista: al volante di una Talbot Lago non riesce a qualificarsi per due volte consecutive (nel 1946 e nel 1947) alla 500 Miglia di Indianapolis.Il ritorno in EuropaAll’inizio degli anni ’50 Arkus-Duntov torna in Europa per sviluppare una vettura da corsa – dotata di un motore Cadillac 5.4 V8 – insieme alla Casa britannica Allard. Al volante di quest’auto prende parte a due edizioni della 24 Ore di Le Mans: nel 1952 arriva 27° insieme al connazionale Frank G. Curtis mentre l’anno successivo termina in 46° posizione con il britannico Ray Merrick.La CorvetteTerminata l’esperienza con la Allard Zora Arkus-Duntov torna a New York dove trova un lavoro presso l’azienda aeronautica Fairchild. Nel gennaio 1953 ammira al Motorama (esposizione di modelli General Motors presso l’hotel Waldorf-Astoria della Grande Mela) la concept Chevrolet EX-122.Rimane piacevolmente colpito dalle forme della spider (che anticipano quelle della prima generazione della Corvette) ma è deluso dal motore “fiacco” (3.9 a sei cilindri da soli 150 CV): spedisce quindi una lettera a Ed Cole (capo ingegnere del marchio “yankee”) con alcuni suggerimenti tecnici su come sviluppare la versione di serie.I vertici Chevrolet, colpiti dalle osservazioni di Zora Arkus-Duntov, lo invitano a Detroit per un incontro e a maggio lo nominano assistente ingegnere. In questa veste fornisce numerosi consigli ai suoi responsabili: quello più rilevante riguarda l’adozione di un più potente motore V8 per conquistare il pubblico giovane.Le MansNei primi anni in General Motors Zora non disdegna “avventure” con altre Case: partecipa a due 24 Ore di Le Mans con una Porsche 550 nel 1954 (14° insieme al francese Gustave Olivier) e e nel 1955 (13° con il transalpino Auguste Veuillet).Entrare nel mitoLe vendite della Chevrolet Corvette, poco convincenti nei primi due anni di produzione, decollano nel 1955 grazie all’introduzione (tra gli optional, voluta da Zora Arkus-Duntov) di un motore V8 – un 4.3 da 195 CV – e di un cambio manuale. Nel 1956 questo propulsore – grazie a nuovi alberi a camme progettati dall’ingegnere “belga” – raggiunge una potenza di 240 CV.Nel 1957 Zora propone di puntare sull’iniezione per incrementare ulteriormente (283 CV) la potenza della supercar statunitense: nello stesso anno viene nominato responsabile dello sviluppo Corvette e direttore della divisione sportiva High Performance. Progetta la Corvette SS: un’auto da corsa nata per partecipare alle gare di durata e dotata di una carrozzeria ultraleggera in magnesio che purtroppo non correrà mai.Gli anni ’60 e ’70Per promuovere l’immagine sportiva di Chevrolet Zora Arkus-Duntov realizza nel 1960 la concept CERV I (Chevrolet Engineering Research Vehicle): una monoposto in stile Formula Indy che viene presentata nel mese di novembre sul circuito di Riverside. Tre anni più tardi debutta la Corvette C2, caratterizzata da un design sexy e da motori cattivi quanto basta per poter competere con le sportive europee: la variante da gara Grand Sport è alleggerita e genera 550 CV.Nel 1964 progetta il prototipo CERV II (trazione integrale e motore 6.2 V8 da 500 CV) e quattro anni più tardi diventa capo ingegnere del programma Corvette. Per sfidare modelli come la Ford GT40 prova a puntare sul motore centrale ma le sue idee vengono bocciate dal management Chevrolet. Si deve quindi “accontentare” di realizzare la prima ZR1 della storia, realizzata sulla stessa base della terza generazione mostrata due anni prima e dotata di ben 466 CV.Gli ultimi anniNel 1975 Zora Arkus-Duntov lascia la General Motors ma continua per tutto il resto della sua vita ad essere l’”uomo immagine” della Chevrolet Corvette. Accanito fumatore, contrae il cancro ai polmoni nel 1995 e scompare il 21 aprile 1996 a Detroit (USA).

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Joe Oros, il creatore della Ford Mustang

Joe Oros è una figura molto importante del design automobilistico mondiale: nella prima metà degli anni ’60, infatti, quest’uomo (responsabile del centro stile Ford) diresse il team che realizzò la mitica Mustang. Scopriamo insieme la sua storia.Joe Oros: la biografiaJoe Oros nasce il 15 giugno 1916 a Cleveland (USA): figlio di genitori rumeni immigrati negli States sei anni prima, mostra sin da bambino una naturale attitudine per lo stile. Si laurea nel 1939 all’Istituto d’arte della sua città natale e successivamente entra nella scuola General Motors.Durante la Seconda Guerra Mondiale si occupa di design industriale per la Cadillac, si sposa con Betty Thatcher (la prima car designer donna americana della storia), si arruola e al termine del conflitto trova lavoro nello studio di George W. Walker (colui che disegnerà la prima generazione della Ford Thunderbird) e si occupa delle vetture Nash.La FordNel 1947 l’atelier di Walker viene scelto dalla Ford per realizzare la 1949 e Joe Oros partecipa in maniera attiva al progetto. Il trasferimento ufficiale nella Casa dell’Ovale Blu avviene però nel 1955, anno in cui il suo superiore viene nominato responsabile del centro stile del marchio di Detroit.Nella seconda metà degli anni ’50 Oros contribuisce al design della seconda serie della Thunderbird e pochi anni più tardi viene nominato responsabile dello stile Ford. In questa veste si occupa – insieme al suo team – del suo capolavoro: la Mustang, una sportiva accessibile dal design seducente che conquista centinaia di migliaia di automobilisti.Gli ultimi anniNel 1968 Joe Oros lascia la Ford ma continua l’attività di designer come freelance realizzando oggetti per la casa e sculture. Va in pensione nel 1975, si trasferisce a Santa Barbara con la moglie (che scompare nel 2001) e perde la vita il 2 agosto 2012.

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Ugo Zagato, il padre dell’aerodinamica

Ugo Zagato, uno dei più grandi carrozzieri del mondo, ha il grosso merito di avere introdotto nel design automobilistico due concetti fondamentali come l’aerodinamica e la leggerezza. Ha gettato le basi dell’atelier che porta il suo nome, ancora oggi considerato un punto di riferimento quando si parla di stile ed eleganza su quattro ruote.Ugo Zagato, la biografiaUgo Zagato nasce il 25 giugno 1890 a Gavello (Rovigo) in una povera famiglia contadina. Appassionato di meccanica fin da bambino, si ritrova costretto a soli 15 anni (in seguito alla morte del padre) a trasferirsi in Germania a Colonia – dove trova lavoro in una fonderia – per mantenere la madre e i cinque fratelli.Tornato in Italia nel 1909 per svolgere il servizio militare nel III Bersaglieri di Livorno, si congeda e si sposta in Lombardia: trova un posto presso la Carrozzeria Belli di Varese – specializzata nel “vestire” autobus e veicoli industriali – e nello stesso tempo frequenta corsi serali per disegnatori.La Prima Guerra MondialeIn Italia la Prima Guerra Mondiale scoppia nel 1915 e Ugo Zagato non viene destinato al fronte ma alla Pomilio, società torinese specializzata nella produzione di aeroplani ad uso bellico. In questa azienda apprende i segreti dell’aerodinamica e delle carrozzerie leggere.Mettersi in proprioUgo si mette in proprio nel 1919 e fonda la Zagato. Nel 1920 si sposa e nel 1921 nasce il primo figlio Elio. Il secondo – Gianni – vede invece la luce nel 1929. Negli anni Venti le carrozzerie progettate dal designer veneto, caratterizzate da strutture metalliche e dall’uso di materiali come legno, acciaio e alluminio, iniziano a farsi apprezzare in tutta Italia.La collaborazione con l’Alfa RomeoLa svolta per Ugo Zagato arriva però grazie alla collaborazione con l’Alfa Romeo: le vetture da corsa della Casa del Biscione – gestite da una certa Scuderia Ferrari e carrozzate da Ugo – conquistano numerose e importanti vittorie. Tra le più rilevanti segnaliamo quattro Mille Miglia (1928-1930, 1933).La Seconda Guerra MondialeDurante la Seconda Guerra Mondiale Ugo scappa da Milano e si rifugia sul Lago Maggiore e il 13 agosto 1943 la sua azienda viene completamente distrutta da un bombardamento dell’aviazione britannica. Terminato il conflitto riprende l’attività e le sue creazioni postbelliche sono caratterizzate da ampie superfici vetrate e dall’uso del plexiglas.Gli ultimi anniNegli anni ’50 – grazie anche ai successi sportivi del figlio Elio – le carrozzerie Zagato cominciano ad essere richiestissime dai facoltosi piloti non professionisti, che cercano soluzioni più leggere e aerodinamiche per prevalere sugli avversari. Nel 1955 Ugo inizia a delegare sempre più il lavoro ai figli, nel 1960 riceve il prestigioso premio Compasso d’Oro per la Abarth 1000 Z e scompare a Milano il 31 ottobre 1968.

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Maserati, un viaggio lungo 100 anni

La Maserati non ha avuto una vita facile: nei suoi 100 anni di vita è morta e risorta più volte come la fenice e ha trovato stabilità solo da una ventina d’anni grazie alla Fiat. Scopriamo insieme la storia della Casa del Tridente, nata per produrre esclusivamente auto da corsa e diventata in seguito un simbolo delle supercar “made in Italy”.Maserati, la storiaLa storia del marchio emiliano inizia ufficialmente l’1 dicembre 1914 quando tre fratelli Maserati (Alfieri II, Ernesto ed Ettore) – già attivi nel settore della meccanica – fondano a Bologna un’officina specializzata nelle elaborazioni di motori Isotta Fraschini e Diatto. Durante la Prima Guerra Mondiale Alfieri brevetta un’innovativa candela d’accensione e al termine del conflitto si concentra sul mondo delle corse montando un motore Hispano-Suiza su una Isotta Fraschini. Con questa vettura si aggiudica, insieme al fratello Ernesto, la Susa-Moncenisio del 1921.Nel 1922 il brand torinese Diatto offre ai fratelli Maserati la direzione dell’attività sportiva del marchio e ad Alfieri il ruolo di pilota ufficiale ma tre anni più tardi la Casa piemontese rinuncia alle gare per via dei debiti. Grazie al sostegno finanziario del marchese Diego de Sterlich i Maserati riescono ad acquistare dieci telai Diatto 30 Sport.Le prime vittorieLa prima Maserati di sempre – la Tipo 26 del 1926  – non è altro che un’evoluzione della Diatto GP 8C turbo dotata di un motore 1.5 a otto cilindri in linea da 120 CV. Nello stesso anno Mario – quinto fratello Maserati nonché l’unico privo di passione per la meccanica  -realizza il mitico logo del Tridente, ispirato da quello presente sulla fontana del Nettuno in Piazza Maggiore a Bologna.Nel 1927, durante una corsa in Sicilia (Coppa Messina), Alfieri è vittima di un terribile incidente nel quale perde un rene. L’anno seguente arriva la prima vittoria importante – alla Coppa del’Etna – grazie a Baconin Borzacchini. Il pilota umbro ottiene nel 1929 a Cremona, al volante di una V4 dotata di un motore a 16 cilindri, il record mondiale di velocità sui 10 km lanciati e nel 1930 conquista il primo successo internazionale del Tridente al GP di Tripoli.La morte di AlfieriNel 1932 Alfieri Maserati muore dopo un intervento chirurgico ed Ernesto abbandona la carriera di pilota per prendere in mano l’azienda: si concentra sulla parte tecnica insieme ad Ettore e nomina il quarto fratello Bindo (richiamato dall’Isotta Fraschini) presidente. L’anno successivo arriva la prima vittoria – in Francia con Giuseppe Campari – in una delle Grandes Épreuves (le corse più importanti prima dell’avvento della F1) e Tazio Nuvolari (che lascia la Ferrari dopo una lite con Enzo dovuta al rifiuto di quest’ultimo di volerlo come socio al 50% del Cavallino) trionfa nel GP del Belgio dopo essere partito in ultima posizione su una 8CM modificata.L’era OrsiIl 1937 è l’anno in cui la Maserati viene acquistata dall’imprenditore modenese Adolfo Orsi, che punta sul blasone del marchio per promuovere le sue altre attività. Bindo, Ernesto ed Ettore, liberi dal fardello gestionale, si dividono i compiti all’interno dell’azienda: il primo si occupa della parte commerciale, il secondo della progettazione e il terzo della fabbrica di candele. Nello stesso anno Giulio Severi conquista la Targa Florio con una 6CM: la corsa siciliana viene vinta per altre tre volte consecutive dalla Casa emiliana con Giovanni Rocco e in due occasioni con Luigi Villoresi.Le vittorie a IndianapolisNel 1939 Orsi trasferisce la Maserati nella sua città natale – Modena – in un’area di sua proprietà e nello stesso anno la 8CTF (motore 3.0 a otto cilindri con due compressori e un serbatoio dell’olio che funge da traversa centrale del telaio) – primo veicolo progettato sotto la nuova direzione – vince (prima volta per un’auto italiana) la 500 Miglia di Indianapolis con il driver statunitense Wilbur Shaw. Il binomio si conferma nel 1940: nessun altro motore tricolore è mai più stato capace di trionfare nella prestigiosa corsa “yankee”.La Seconda Guerra MondialeCon lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale la produzione di auto da corsa viene temporaneamente arrestata per privilegiare la realizzazione di candele e di prodotti destinati all’esercito. Al termine del conflitto Adolfo Orsi perde interesse per le corse ma i tre fratelli Maserati continuano a tenere vivo il loro sogno “racing” grazie ad alcune 4C nascoste a Milano durante il conflitto. Dall’altra parte dell’Oceano Atlantico, nel frattempo, Louis Unser si aggiudica due edizioni della mitica corsa in salita Pikes Peak (1946 e 1947) al volante di una vettura del Tridente.Inizia la produzione di serieLa A6 GCS del 1947 – acronimo di Alfieri, 6 cilindri (motore 2.0 da 130 CV), ghisa (materiale del basamento), corsa, sport e caratterizzata da parafanghi di ispirazione motociclistica e da un singolo faro anteriore centrale – è l’ultima Maserati progettata dai fratelli Bindo, Ernesto ed Ettore prima di uscire dall’azienda (che vuole puntare sui modelli di serie) per fondare la OSCA. La prima vettura modenese disponibile per il grande pubblico è la A6 1500: presentata al Salone di Ginevra dello stesso anno, è disegnata da Pininfarina e monta un motore 1.5 a sei cilindri in linea.I successi sportivi, tuttavia, continuano ad arrivare: nel 1948 la Casa del Tridente torna a vincere dopo 15 anni una delle Grandes Épreuves – Monte Carlo con Giuseppe Farina e la 4CLT e Silverstone con Villoresi e la 4CLT/1948 – e l’anno seguente lo svizzero Toulo de Graffenried trionfa nuovamente sul circuito britannico.Gli anni ’50Gli anni ’50 non iniziano bene per la Maserati a causa di scontri sempre più duri tra Adolfo Orsi e i suoi dipendenti: le fonderie vengono addirittura occupate da una cooperativa. Nonostante questo la Casa modenese riesce a prendere parte, nel 1950, al primo Mondiale F1 della sua storia e ottiene il primo podio nella seconda gara stagionale quando il pilota monegasco Louis Chiron termina in terza posizione il GP di casa.Nel 1952 la cooperativa che gestisce le fonderie di Modena viene messa in liquidazione e sono gli stessi sindacati a chiedere ad Orsi di tornare a dirigere l’azienda. Viene ingaggiato il miglior pilota di quegli anni – l’argentino Juan Manuel Fangio – che debutta però solo nel 1953 a causa di un incidente in F2 (frattura della vertebra cervicale) che lo costringe a saltare l’intera stagione.La prima vittoria Maserati in F1 arriva al GP d’Italia del 1953 grazie a Fangio e alla sua A6 GCM. Nello stesso anno Orsi – pressato dai mariti delle sue sorelle – si ritrova costretto a dividere la gestione delle sue società tra i vari membri della famiglia lasciando a sé e al figlio Omar il controllo delle Officine (auto e macchine utensili).La 250FLa 250F, progettata per partecipare al Mondiale F1 1954 e dotata di un motore 2.5 da 240 CV, è ancora oggi considerata una delle migliori monoposto di tutti i tempi. Fangio è sotto contratto con la Mercedes ma in attesa che la vettura tedesca sia pronta chiede (e ottiene) di poter correre i primi due GP dell’anno (Argentina e Belgio) con l’auto del Tridente: li vince entrambi e al termine della stagione diventa campione del mondo.Nel 1956 il protagonista assoluto delle gare della Casa modenese è il britannico Stirling Moss: sfiora il Mondiale trionfando a Monte Carlo e a Monza e insieme all’argentino Carlos Menditéguy conquista a Buenos Aires con la 300S la prima vittoria del marchio in una gara valida per il Mondiale Sport Prototipi.Il mitico 1957Il 1957 è il migliore anno della storia Maserati: Fangio diventa campione del mondo F1 per la quinta e ultima volta in carriera con quattro successi (Argentina, Monte Carlo, Francia e Germania) e due secondi posti in sette GP. Nello stesso anno vede la luce la prima vettura del Tridente costruita su larga scala: la 3500 GT, modello che trasforma ufficialmente il marchio modenese in una Casa automobilistica a tutti gli effetti.La crisiDalle stelle alle stalle: nel 1958 Adolfo Orsi si ritrova in crisi a causa del mancato pagamento di un’importante consegna di fresatrici da parte del governo argentino. Cede diverse proprietà personali, vende la divisione macchine utensili ad una ditta straniera e ottiene per un anno il regime di amministrazione controllata. Paga tutti i debitori ma è costretto a chiudere il Reparto Corse: riesce comunque a sistemare altrove, anche presso gli acerrimi rivali della Ferrari, tutti i suoi dipendenti.Gli anni ’60Gli anni ’60 si aprono con l’ultimo successo nel Mondiale Sport Prototipi di una Maserati: una Tipo 61 gestita dalla scuderia statunitense Camoradi che sale sul gradino più alto del podio della 1000 km del Nürburgring del 1961 grazie al duo “yankee” composto da Masten Gregory e Lloyd Casner. Nello stesso anno viene presentata la 3500 GTI, prima italiana di sempre con motore ad iniezione.Il 1963 è l’anno in cui debuttano la Mistral (ultima vettura del Tridente dotata del mitico sei cilindri in linea derivato da quello della 250F) e, soprattutto, la Quattroporte: quella che all’epoca è la berlina più veloce del mondo viene presentata al Salone di Torino ed è spinta da un possente propulsore 4.1 V8 da 260 CV in grado di far raggiungere all’ammiraglia emiliana una velocità massima di 230 km/h.L’ultimo trionfo di un motore Maserati in F1 risale al 1967 quando il messicano Pedro Rodríguez vince il GP del Sudafrica al volante di una Cooper. Nello stesso anno nasce la Ghibli, la prima vettura modenese disegnata da Giorgetto Giugiaro: sarà un successo.L’era CitroënNel 1968 il 60% delle azioni Maserati passa alla Citroën: Orsi rimane presidente onorario e Omar entra nel consiglio di amministrazione con la delega al settore commerciale. La Casa francese sfrutta i motori del marchio modenese per realizzare modelli come la SM mentre il brand del Tridente acquisisce alcune tecnologie del costruttore transalpino come ad esempio le sospensioni idropneumatiche.Tre anni più tardi – in concomitanza con il lancio della Bora (una coupé a motore centrale nata per rubare clienti alla Lamborghini Miura) – la famiglia Orsi esce definitivamente dalla Maserati ma nel 1973 – a causa della crisi petrolifera – la famiglia Michelin, proprietaria della Citroën, cede il brand francese alla Peugeot e i nuovi proprietari decidono di porre il liquidazione il mitico marchio sportivo emiliano.L’era de TomasoGrazie ai soldi pubblici provenienti dalla GEPI (Società per le Gestioni e Partecipazioni Industriali) l’imprenditore argentino Alejandro de Tomaso acquisisce buona parte delle azioni Maserati: risana i debiti della società e investe su nuovi modelli come la terza generazione della Quattroporte (1979, disegnata da Giugiaro) e la Biturbo (1981), una berlina/coupé a due porte caratterizzata da un prezzo accessibile ma anche da un’affidabilità precaria dovuta ai tempi ridotti di progettazione. La vettura – assemblata a Milano negli stabilimenti Innocenti – ottiene un successo incredibile ma incide negativamente sull’immagine del brand.La svolta FiatNel 1993 Maserati passa al Gruppo Fiat, che quattro anni più tardi cede il 50% delle azioni della società alla Ferrari. La prima vettura del Tridente realizzata sotto la nuova gestione – la 3200 GT disegnata da Giugiaro – viene svelata al Salone di Parigi del 1998, un anno prima del completo passaggio del brand modenese al Cavallino.Nel 2001 la Casa emiliana torna sul mercato statunitense con la Spyder, mostrata al Salone di Francoforte: la prima Maserati di sempre a montare un cambio con palette al volante ha una linea simile a quella della 3200 GT ma si distingue per i gruppi ottici posteriori più tradizionali, per il telaio rivisto (passo più corto), per il motore 4.2 V8 Ferrari e per la trasmissione transaxle (al retrotreno in blocco con il differenziale).Il ritorno nelle corse e le novità di prodottoIl 2003 è un anno importante per la Maserati: la quinta generazione della Quattroporte (svelata a Francoforte) è la prima auto del Tridente disegnata da Pininfarina dopo mezzo secolo e conquista numerosi clienti. Nel 2004 si assiste invece al ritorno ufficiale nelle corse (dopo ben 47 anni) con la MC12: la vettura, dotata di un motore 6.0 V12 e di un telaio monoscocca in fibra di carbonio, partecipa al campionato FIA GT e conquista la prima vittoria sul circuito tedesco di Oschersleben con il finlandese Mika Salo e con il nostro Andrea Bertolini.Tra il 2005 e il 2009 arrivano quattro titoli Piloti (tre per la coppia composta da Bertolini e dal tedesco Michael Bartels e uno per il nostro Thomas Biagi), due titoli Costruttori (2005 e 2007, anno in cui debutta la GranTurismo disegnata da Pininfarina) e ben cinque campionati consecutivi per la scuderia Vitaphone. Nel 2010 la serie FIA GT cambia nome in Mondiale GT1 ma i risultati non cambiano: trionfo iridato per Bartels e Bertolini e dominio tra i team per Vitaphone.La gamma Maserati si arriccchisce nel 2013 con l’arrivo di due nuove ammiraglie: la sesta generazione della Quattroporte (svelata a Detroit) e la sorella minore Ghibli, giunta alla terza serie (per la prima volta con le porte posteriori) e realizzata sullo stesso pianale accorciato.

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Auto Union 1000 Coupé (1958): non solo corse

Il marchio Auto Union – nato nel 1932 dall’unione di quattro brand tedeschi (Audi, DKW, Horch e Wanderer) e vittorioso nelle corse degli anni ’30 – fu usato per un breve periodo, a cavallo tra gli anni ’50 e ’60, per un solo modello: la 1000. La variante più raffinata di questa vettura – la Coupé – è impossibile da trovare nel nostro Paese: più semplice rintracciarla in Germania (quotazioni di circa 5.000 euro).Auto Union 1000 Coupé (1958): le caratteristiche principaliLa Auto Union 1000 Coupé, svelata nel 1958, non è altro che un’evoluzione della DKW 3=6: si distingue per il motore tre cilindri a due tempi più potente (e con la cubatura maggiorata) e per la mascherina impreziosita dai quattro anelli. L’impianto elettrico di soli 6V è già considerato obsoleto all’epoca.La sportiva tedesca conquista parecchi clienti in patria: merito del grande comfort che la rende adatta anche ai lunghi viaggi, di un comportamento stradale rassicurante (trazione anteriore), di freni potenti e di un motore elastico in grado di offrire consumi contenuti nella guida normale (altissimi, invece, quando si cerca il brio).Il design della Auto Union 1000 Coupé appare, però, un po’ superato e il piacere di guida è penalizzato da uno sterzo pesante e da un cambio al volante (manuale a quattro marce) posizionato troppo vicino alla leva degli indicatori di direzione. Buone le finiture nell’abitacolo, decisamente poco curato – invece – il bagagliaio.Nel 1960 debutta la versione S, caratterizzata dal più raffinato parabrezza avvolgente, dai freni a disco anteriori e da un propulsore più potente.La tecnicaIl motore 1.0 tre cilindri a due tempi da 45 CV (50 dal 1960 in occasione del lancio della S) consente all’Auto Union 1000 Coupé del 1958 di raggiungere una velocità massima di 130 km/h e tende, come già scritto in precedenza, a bere un po’ troppo se sollecitato.Va alimentato a miscela e solo nel 1961 debutta un sistema in grado di garantire la corretta proporzione 1:40 tra olio e benzina: una soluzione che contribuisce ad aumentare la durata del propulsore.Le quotazioniL’Auto Union 1000 Coupé del 1958 è impossibile da trovare in Italia: gli unici esemplari circolanti nel nostro Paese all’epoca erano infatti quelli dei turisti tedeschi che si recavano in vacanza nel nostro Paese. Le quotazioni di questa vettura – abbastanza facile da rintracciare in Germania – si aggirano intorno ai 5.000 euro.

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Markku Alén, il primo scandinavo iridato nei rally

Markku Alén è uno dei piloti di rally più veloci di sempre e solo i suoi numerosi incidenti gli hanno impedito di conquistare più vittorie: è stato il primo driver scandinavo a diventare iridato WRC, il primo a portare l’iride alla Fiat e il secondo – dietro solo a Sébastien Loeb – ad aver conquistato più prove speciali in carriera. Scopriamo insieme la storia di uno dei rallisti più amati del nostro Paese, un uomo che ha corso per quindici anni con auto italiane e che è stato capace di primeggiare su tutte le superfici.Markku Alén, la storiaMarkku Alén nasce il 15 febbraio 1951 a Helsinki (Finlandia). Dopo aver preso dal padre – campione finlandese di corse su ghiaccio – la passione per i motori inizia a correre nei rally nel 1969 e conquista il 9° posto assoluto al 1000 Laghi (corsa locale all’epoca valida per il campionato europeo) al volante di una Renault 8.Nel 1970 ci riprova, senza successo (ritiro), con una Opel Kadett, mentre l’anno seguente chiude al terzo posto con una Volvo 142 (fornita dall’importatore finlandese del brand svedese). Con la stessa vettura affronta due gare nell’europeo 1972 ottenendo come miglior piazzamento un altro terzo posto al 1000 Laghi e gareggia per la prima volta all’estero: 12° al RAC (Regno Unito) valido per il Campionato internazionale costruttori (antesignano del Mondiale).Il debutto nel MondialeMarkku Alén debutta ufficialmente nel WRC in occasione della prima edizione del 1973. Dopo l’incredibile secondo posto al debutto (Mille Laghi con Volvo), viene ingaggiato dalla Ford e arriva terzo al RAC con una Escort.La Fiat 124 Abarth e la parentesi DatsunNel 1974 Alén si trasferisce alla Fiat per disputare il Mondiale: con la 124 Abarth arriva 2° al Press-on-Regardless Rally (USA) mentre con la Ford Escort vince in Galles (gara valida per l’europeo) e disputa l’ultima prova iridata (RAC, ritirato).La prima vittoria importante di Markku Alén arriva al Rally del Portogallo 1975: nello stesso anno prende parte al Mille Laghi – in seguito al rifiuto della Casa torinese di offrirgli una vettura – con una Datsun Violet. Con quest’auto, meno potente rispetto alle rivali, raggiunge addirittura la vetta della gara prima di ritirarsi per un’uscita di strada. Nel 1976 Markku arriva sesto nella prima prova mondiale a Monte Carlo.La Fiat 131 AbarthIl rapporto di Markku con la Fiat 131 Abarth inizia bene: il pilota finlandese vince la gara di debutto – il Rally dell’Isola d’Elba valido per l’Europeo 1976 –  e nel Mondiale trionfa per la prima volta in carriera al 1000 Laghi. Nel 1977 arrivano due successi iridati (Portogallo e Nuova Zelanda) ma anche tanti ritiri per problemi tecnici: nonostante questo la Casa torinese riesce a conquistare il suo primo campionato Costruttori.La Coppa FIA 1978Nel 1978 Markku Alén conquista il suo primo e unico Mondiale in carriera (più precisamente la Coppa FIA Piloti) grazie alle due vittorie conquistate con la 131 (Portogallo e 1000 Laghi) e al successo con la Lancia Stratos, chiesta e ottenuta dal driver nordico per correre a Sanremo. Con la sportiva torinese arriva anche la vittoria al Giro d’Italia automobilistico.Gli ultimi anni in FiatIl 1979 è l’anno in cui Alén – sempre con la Fiat 131 Abarth – primeggia in due competizioni finlandesi: il 1000 Laghi Mondiale e l’Hankiralli europeo. Da non dimenticare, inoltre, il RAC affrontato con la Stratos (5°). L’anno seguente (quando la berlina piemontese conquista il terzo e ultimo Mondiale Costruttori) sale ancora una volta sul gradino più alto del podio della tappa iridata finlandese.Markku Alén porta alla Casa torinese l’ultima vittoria assoluta nel Mondiale grazie al trionfo in Portogallo. Il pilota scandinavo domina anche il Rally Costa Smeralda europeo e affronta l’ultima tappa del campionato del mondo – il RAC – con una Stratos (incidente).La Lancia 037Markku inizia il 1982 con due ritiri nei rally finlandesi Arctic e Hankiralli validi per l’Europeo – al volante della 131 – ma in seguito al ritiro dalle competizioni ufficiali della Fiat si ritrova a correre con la Lancia e più precisamente con la 037. Nel primo anno non ottiene risultati molto convincenti (miglior piazzamento 4° al RAC) ma si riscatta nel secondo con i successi al Tour de Corse e a Sanremo che permettono alla sportiva piemontese di vincere il Mondiale Costruttori. Il trionfo in Corsica viene bissato nel 1984 mentre l’anno seguente arriva terzo al 1000 Laghi.La Lancia Delta S4Nel 1985 Markku Alén affronta alcune gare con la Lancia Delta S4: porta al debutto il “mostro” torinese vincendo il Rally Colline di Romagna. Con questa vettura il pilota finlandese ottiene diversi podi che – nel 1986 – gli consentono di sfiorare il titolo: si aggiudica solo il Rally di Sanremo ma non ottiene punti visto che la gara viene annullata dopo che la Peugeot – inizialmente squalificata prima del via dell’ultima tappa mentre si trovava al comando – vince il ricorso.La Lancia DeltaAlla fine degli anni Ottanta Alén conclude la propria carriera in Lancia con la Delta aiutando la compatta piemontese a conquistare tre titoli Costruttori: nel 1987 sale sul gradino più alto del podio in tre rally (Portogallo, Acropoli e 1000 Laghi), nel 1988 trionfa tre volte nel Mondiale (Svezia, 1000 Laghi e RAC, ultima vittoria rilevante) e una nell’Europeo (Costa Smeralda) mentre nel 1989 ottiene come miglior risultato un 2° posto in Portogallo.Gli anni NovantaNel 1990 Markku Alén viene chiamato dalla Subaru per guidare la Legacy: con la berlina nipponica – poco affidabile – ottiene il primo anno solo un 4° posto al Mille Laghi mentre nel 1991 riesce a salire sul podio (3°) in Svezia.Passato alla Toyota nel 1992 arriva terzo al Mille Laghi con la Celica e conquista l’ultimo podio iridato della carriera al Safari 1993 (2°). Nello stesso anno prende parte al Rally del Portogallo con la Legacy (4°) e al 1000 Laghi con una Subaru Impreza (incidente).Nel 1995, sempre con la Celica, Markku Alén partecipa a due gare del campionato europeo in Belgio e riesce a chiudere al secondo posto la Boucles de Spa.Il terzo millennioDopo sei anni di pausa Alén torna alle corse nel 2001: disputa l’ultima gara del WRC della sua vita con una Ford Focus (16°) e chiude al 4° posto il Costa Smeralda con una Impreza (risultato ripetuto l’anno seguente).Nel 2003 affronta il Rali Centenário in Portogallo con una Peugeot 206 (ritiro), nel 2006 si cimenta nel Monza Rally Show con una Impreza (24°) e dal 2009 si concentra esclusivamente sulle storiche: 87° alla Boucles de Spa con la Porsche 911 e tre vittorie consecutive al Rallylegend con la Lancia 037 tra il 2012 e il 2014.

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Checker Marathon (1961): non solo taxi

La Checker Marathon è una delle auto più famose del mondo eppure solo gli appassionati delle quattro ruote conoscono il suo vero nome: per tutti gli altri è il mitico taxi giallo (“yellow cab”) che ha popolato le strade delle città statunitensi (in modo particolare New York) tra gli anni ’60 e ’70.Questa berlina “yankee”, usata anche dalla polizia e costruita dal 1961 al 1982, fu però venduta anche ai privati: nota per le sue doti di robustezza e affidabilità, si trova facilmente (negli States) a circa 10.000 euro.Checker Marathon (1961): le caratteristiche principaliLa Checker Marathon vede la luce ufficialmente nel 1961: disponibile in due varianti di carrozzeria (berlina a quattro porte e station wagon), offre un mare di spazio ai passeggeri grazie al passo particolarmente generoso (superiore ai tre metri).Nel 1964 arrivano le cinture di sicurezza anteriori, nel 1966 è la volta di quelle posteriori mentre l’anno successivo tocca al piantone dello sterzo ad assorbimento di energia. Il 1969 è l’anno in cui sbarcano sul mercato le cinture a tre punti mentre nel 1974 debutta la novità estetica più rilevante: il massiccio paraurti anteriore.Le numerose componenti meccaniche firmate General Motors garantiscono una buona disponibilità di ricambi, a differenza delle parti realizzate appositamente dalla Checker per la Marathon. Le noie sono rare: qualche problema può arrivare dalla ruggine (in modo particolare sugli esemplari provenienti dagli stati più settentrionali degli USA).La tecnicaLa gamma motori al debutto, nel 1961, comprende un 3.7 a sei cilindri in linea di origine Continental da 82 e 124 CV. La potenza di quest’ultimo sale a quota 143 CV nel 1963.Nel 1965 arriva una rivoluzione sotto il cofano della Checker Marathon grazie all’introduzione di due propulsori Chevrolet – un 3.6 a sei cilindri da 141 CV e un 4.7 V8 da 197 CV – affiancati l’anno seguente da un 5.4 V8 da 253 CV. Il 4.7 sparisce nel 1967 mentre nel 1968 il 5.4 viene rimpiazzato da un 5.0 da 203 CV che rimane in listino solo quell’anno.Tre motori – un 4.1 a sei cilindri da 158 CV, un 5.4 V8 da 238 CV e un 5.7 V8 da 305 CV – fanno parte della gamma del 1969 ma nel 1970 l’otto cilindri meno potente abbandona le scene e la potenza del 5.7 scende a 253 CV. Ulteriori cali di potenza per il 4.1 e per il 5.7 si registrano nel 1971 (rispettivamente 147 e 249 CV) e, soprattutto, nel 1973 (101 e 147 CV).Nel 1975 la Checker Marathon guadagna la marmitta catalitica e l’anno seguente la potenza del 4.1 sale a 106 CV. 111 nel 1977, anno in cui debutta in listino un 5.0 V8 da 147 CV e il 5.7 arriva a 173 CV. Il 1978 è l’anno in cui si registra un nuovo calo di cavalleria del 5.7 (162 CV).Negli anni ’80 si registrano altri cambiamenti importanti sotto il cofano: il 4.1 lascia spazio ad un 3.8 V6 da 117 CV, il 5.7 V8 abbandona le scene, arriva un 4.4 V8 da 121 CV, la potenza del 5.0 sale a 158 CV e debutta un 5.7 V8 diesel da 126 CV. L’anno seguente troviamo diffusi cali di potenza: nel 3.8 (111 CV), nel 4.4 (117 CV), nel 5.0 (152 CV, fuori produzione in quello stesso anno) e nel 5.7 a gasolio (106 CV).Le quotazioniLe Checker Marathon prodotte negli anni ’70 e ’80 sono le più apprezzate, specialmente le V8 che possono raggiungere quotazioni di 10.000 euro. Quelle meno richieste (7.500 euro) sono le versioni assemblate fino al 1965, più sfruttate e dotate di motori a sei cilindri non GM. Tutte sono abbastanza facili da trovare negli USA.

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