Monthly Archives: Gennaio 2015
Humber Super Snipe (1945): lusso all’inglese
La prima generazione della Humber Super Snipe, prodotta dal 1945 al 1948, è un’ammiraglia usata spesso nel secondo dopoguerra da uomini d’affari e politici britannici. Oggi le sue quotazioni superano i 10.000 euro ma è introvabile.Humber Super Snipe (1945): le caratteristiche principaliLa Humber Super Snipe nasce nell’agosto del 1945 ma non è altro che un profondo restyling di altri modelli realizzati dalla Casa inglese (all’epoca appartenente al gruppo Rootes e scomparsa nel 1976) nella seconda metà degli anni ’30. Le modifiche estetiche più rilevanti riguardano la mascherina e – soprattutto – la coda sporgente per accogliere i bagagli.Prodotta in meno di 4.000 esemplari fino al settembre del 1948, può essere considerata una variante più lussuosa (nonché più grintosa) della Hawk, simile nello stile (più “yankee” che “british”). Le finiture curate sono senza dubbio il punto di forza di questa berlina lussuosa.La tecnicaIl motore della prima serie della Humber Super Snipe, lanciata nel 1945, è un 4.4 a sei cilindri in linea con valvole laterali in grado di generare una potenza di 102 CV. Grazie a questo propulsore l’ammiraglia britannica può raggiungere una velocità massima di circa 130 km/h e può viaggiare tranquillamente ad una velocità costante di 110 km/h senza sfruttare troppo la meccanica.Le quotazioniLe quotazioni di questa vettura recitano 13.000 euro ma non è facile – nemmeno nel Regno Unito – trovare esemplari marcianti.
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Studebaker Avanti (1962): la brutta che piace
La Studebaker Avanti è un’auto brutta? Dipende dai punti di vista (o meglio, da dove la si guarda). Questa sportiva statunitense (nata nel 1962 e disegnata dal mitico Raymond Loewy) ha infatti una coda particolarmente sexy e un profilo sinuoso mentre il frontale sembra completamente estraneo al resto della vettura. Prodotta in poco più di 5.000 esemplari, si trova abbastanza facilmente negli USA a prezzi simili a quelli riportati dalle quotazioni ufficiali (35.000 euro).Studebaker Avanti (1962): le caratteristiche principaliIl progetto della Avanti prende vita all’inizio degli anni ’60 quando la Studebaker – già in crisi economica – pensa di realizzare un’elegante, spaziosa e grintosa coupé che rimpiazzi l’obsoleta Hawk.Per ragioni di costi si decide di utilizzare un telaio già pronto (quello della Lark Daytona Convertible opportunamente modificato) mentre per il design ci si affida a Raymond Loewy, noto per aver creato – tra le altre cose – il pacchetto di sigarette Lucky Strike e la bottiglia di Coca-Cola. Il team da lui diretto impiega poco più di un mese a realizzare la vettura.La Studebaker Avanti viene presentata ufficialmente il 26 aprile 1962 al Salone di New York. Il primo esemplare viene consegnato alla fine del mese di maggio al pilota statunitense Rodger Ward come premio per la vittoria della 500 Miglia di Indianapolis. Nel primo anno di produzione vengono assemblati solo 1.200 esemplari (contro i 20.000 previsti) per problemi con i fornitori riguardanti soprattutto la carrozzeria in fibra di vetro.Lo stabilimento di South Bend nell’Indiana chiude i battenti il 20 dicembre 1963 – giorno in cui viene prodotta l’ultima vera Avanti firmata Studebaker – a causa della crisi. Due concessionari locali della Casa statunitense – Nate Altman e Leo Newman – rilevano una parte della fabbrica e i macchinari, creano la società Avanti e riprendono la produzione della vettura (con un nuovo motore e realizzata in pochi esemplari assemblati artigianalmente) nel 1965.La carriera della Avanti prosegue tra (pochi) alti e (tanti) bassi fino alla metà dello scorso decennio cambiando più volte padrone e finendo anche nelle mani di imprenditori dalla fedina penale tutt’altro che immacolata. Nel 1982 si assiste ad un profondo restyling (paraurti in plastica e gruppi ottici anteriori rettangolari) mentre tra la fine degli anni ’80 e l’inizio dei ’90 vengono realizzate due nuove versioni: la scoperta Convertible e (orrore) una berlina a quattro porte.La tecnicaLa Studebaker Avanti – prima auto statunitense di serie a montare i freni a disco (solo anteriori) – viene prodotta e venduta nel 1962 e nel 1963 con un unico motore: un 4.7 V8 da 243 CV derivato da quello montato dall’antenata Hawk e disponibile anche sovralimentato. Le Avanti II realizzate da Altman e Newman (da non considerare come vere Studebaker) adottano invece un più potente 5.4 V8 da 305 CV derivato da quello della Chevrolet Corvette.Le quotazioniLe “vere” Studebaker Avanti – quelle cioè realizzate nel 1962 e nel 1963 – non sono difficili da trovare negli USA e le loro quotazioni si aggirano intorno ai 35.000 euro. Il nostro consiglio è quello di puntare sugli esemplari originali e di evitare le “repliche” (più economiche) o di limitarsi a quelle realizzate fino al 1981.
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ARO Serie 240 (1972): la nonna della Dacia Duster
La ARO Serie 240 – nata nel 1972 – può essere considerata la "nonna" della Dacia Duster. La SUV (anche se sarebbe più corretto chiamarla fuoristrada) più riuscita prodotta dallo scomparso marchio rumeno rappresentava un’alternativa "low-cost" alle 4×4 più blasonate ma non è riuscita a conquistare il pubblico a causa soprattutto di numerosi problemi di affidabilità.ARO Serie 240 (1972): le caratteristiche principaliLa ARO Serie 240 – lunga poco più di 4,10 metri e disponibile in numerose varianti di carrozzeria (tre, quattro, cinque porte, convertibile a due e a quattro porte e pick-up) – è una vettura in grado di offrire un ottimo comportamento in fuoristrada, una buona abitabilità e prestazioni adeguate anche ad un utilizzo su asfalto.Al lancio viene sottoposta ad un duro test da parte dei tecnici della Ford: si rivela migliore della Bronco e della Jeep e deve arrendersi soltanto alla Range Rover (che però ha un’altezza da terra inferiore).I pregi della ARO Serie 240 non compensano i difetti: le finiture non sono all’altezza della concorrenza, lo sterzo non è capace di offrire un feedback adeguato, la leva del cambio tende spesso ad impuntarsi e i consumi – come sempre quando si parla di 4×4 d’epoca – sono altissimi.La prima generazione – prodotta fino al 1976 – si distingue per i fari anteriori quadrati presi in prestito dalla Dacia 1300, rimpiazzati nel 1977 da gruppi ottici tondi. In occasione del restyling del 1985 (anno in cui la vettura debutta ufficialmente nei nostri listini nelle varianti convertibile, hard-top e SW) arriva una mascherina più elegante.La tecnicaLa gamma motori della ARO Serie 240 è decisamente ricca: sotto il suo cofano si alternano infatti unità a benzina da 2,4 a 4 litri e propulsori a gasolio da 2,4 a 3,2 litri.Le vetture ufficialmente in vendita in Italia – dal 1985 al 1987 – sono disponibili invece esclusivamente con un robusto 2.5 diesel di origine Peugeot da 72 CV, l’unica componente del veicolo immune da problemi. La velocità massima è di 115 km/h mentre i consumi dichiarati recitano 9,7 km/l.Le quotazioniLa ARO Serie 240 è introvabile nel nostro Paese (più semplice rintracciarle nell’Est Europa): la scarsa affidabilità di queste vetture e la limitata disponibilità di ricambi hanno reso questa SUV una mosca bianca nel panorama "off-road" d’epoca italiano.Le quotazioni ufficiali – 1.500 euro – sono basse ma non sono destinate a crescere in futuro: l’interesse storico di un modello simile è praticamente nullo.
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Érik Comas, fedele alla Francia
Qualche appassionato di F1 ricorda Érik Comas per l’incidente al GP del Belgio del 1992 nel quale fu salvato da Ayrton Senna, altri per il suo vezzo di prediligere in gara gli occhiali da sole alla visiera colorata del casco. Scopriamo insieme la storia di questo pilota: l’uomo che ha corso più GP esclusivamente con scuderie francesi.Érik Comas, la storiaÉrik Comas nasce il 28 settembre 1963 a Romans-sur-Isère (Francia). Dopo una breve esperienza con i kart si fa notare tardi nel mondo del motorsport: è nel 1984, infatti, che vince il premio Volant Elf come miglior giovane pilota transalpino. Un riconoscimento che gli consente di correre il campionato francese di Formula Renault sponsorizzato dall’azienda petrolifera d’Oltralpe.I primi successiNella seconda metà degli anni ’80 Comas è uno dei talenti più brillanti dell’automobismo sportivo europeo: campione francese di Formula Renault Turbo nel 1986, campione francese turismo nel 1987 al volante di una Renault 5 e campione transalpino di Formula 3 nel 1988 con una Dallara.La Formula 3000Nel 1989 Érik Comas sfiora il successo al debutto nel prestigioso campionato International Formula 3000 (rampa di lancio per la F1) terminando al secondo posto (stessi punti ma piazzamenti peggiori) dietro a Jean Alesi e davanti ad Éric Bernard. Si riscatta l’anno seguente trionfando davanti al belga Eric van de Poele e al britannico Eddie Irvine.La F1Comas debutta in F1 nel 1991 al volante della Ligier: ottiene come miglior piazzamento in classifica un 8° posto in Canada ma si rivela più lento del compagno di scuderia, il belga Thierry Boutsen.La stagione 1992La stagione migliore nel Circus di Érik Comas è indubbiamente quella del 1992: 11° posto nel Mondiale (davanti a Boutsen) grazie a tre piazzamenti a punti (tra cui un 5° posto in Francia, migliore posizione in carriera).Durante le qualifiche del GP del Belgio, in seguito ad un pauroso incidente, va a sbattere contro le barriere e si ferma al centro della pista privo di conoscenza e con il piede premuto sul pedale dell’acceleratore. Ayrton Senna – l’unico “collega” che si ferma per soccorrerlo – scende dalla propria monoposto e si avvicina alla Ligier del pilota transalpino (rischiando di essere investito da altri piloti) per spegnere il motore (a rischio surriscaldamento) e per spostare la testa di Comas in una posizione più comoda.La LarrousseNel 1993 Érik Comas lascia la Ligier per la meno competitiva Larrousse: più lento del coéquipier francese Philippe Alliot, ottiene un solo punto grazie ad un 6° posto in Italia e i suoi piazzamenti negli ultimi due GP (Giappone e Australia) sono peggiori di quelli del nuovo compagno di scuderia (il nipponico Toshio Suzuki).La situazione migliora nel 1994 con due sesti posti (Pacifico e Germania) e prestazioni più convincenti rispetto ai compagni di team: il monegasco Olivier Beretta, Alliot in Belgio, il transalpino Yannick Dalmas in Italia e in Portogallo e il rappresentante del Sol Levante Hideki Noda in Europa e in Giappone.In occasione del tragico GP di San Marino sul circuito di Imola Érik Comas parte dai box con tre giri di ritardo rispetto agli altri per via di alcune noie meccaniche: non viene avvisato dal muretto della presenza dei mezzi di soccorso al Tamburello per soccorrere Senna e si ritrova a dover inchiodare di colpo per evitare di centrarli. Vede da vicino il corpo straziato di Ayrton e, profondamente colpito dall’evento, medita di abbandonare il Circus: viene convinto dal proprietario della scuderia Gérard Larrousse a proseguire almeno fino alla fine della stagione.Dopo la F1Nel 1995 Comas si trasferisce in Giappone per correre con la Toyota Supra nel campionato JGTC: arriva terzo nel 1996 dietro all’australiano David Brabham e al tedesco Ralf Schumacher e l’anno seguente passa alla Nissan.Al volante della Skyline Érik Comas conquista due titoli consecutivi (1998 e 1999), nel 2000 si cimenta nei rally (25° al Mont Blanc-Morzine valido per il campionato francese con una Hommeil Berlinette e ritirato in Australia con una Mitsubishi Lancer) e nel 2003 torna nel Sol Levante con la Toyota Supra.Tra il 2004 e il 2006 corre con la Nissan 350Z in un campionato che nel 2005 cambia nome in Super GT. Sempre nel 2005 ottiene il miglior piazzamento (su otto partecipazioni) alla 24 Ore di Le Mans: taglia il traguardo in seconda posizione con una Pescarolo insieme ai connazionali Emmanuel Collard e Jean-Christophe Boullion.Le storicheÉrik Comas corre ancora oggi, soprattutto con le auto d’epoca e principalmente nei rally: nel 2009 arriva 37° al Safari storico con una Alpine-Renault A110 e nel 2012 passa alla Lancia Stratos. Con la coupé torinese conquista nel 2013 il Sanremo storico e il Tour de France mentre risale al 2014 la vittoria nell’edizione storica della Carrera Panamericana con una Studebaker.
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Seat, la storia della Casa spagnola
Da 65 anni la Seat produce e vende in tutto il mondo automobili caratterizzate da un prezzo accessibile spesso contraddistinte da un tocco di sportività. Scopriamo insieme la storia della Casa spagnola, nata grazie alla Fiat e progredita grazie alla Volkswagen.Seat, la storiaLa Seat (Sociedad Española de Automóviles de Turismo) nasce ufficialmente il 9 maggio 1950 da un accordo tra il governo spagnolo e la Fiat. Tre anni più tardi viene inaugurato lo stabilimento di Zona Franca a Barcellona, da dove esce la prima auto realizzata dal brand iberico: la 1400, berlina torinese rimarchiata dotata di un propulsore 1.4 a benzina da 44 CV.La 600Il 27 giugno 1957 vede la luce la 600: la gemella in salsa catalana della nota citycar piemontese dà il via alla motorizzazione di massa in Spagna. Nel 1964 è la volta della 800, inedita variante allungata dotata di porte posteriori nonché prima auto del marchio iberico a non avere una sorella nei listini Fiat.La 850 e la 124Nella seconda metà degli anni Sessanta la collaborazione tra Seat e Fiat prosegue con il lancio della 850 (1966, disponibile anche nelle varianti quattro porte, coupé e cabriolet) e della 124 (1968, anno in cui viene raggiunto l’obiettivo della milionesima auto prodotta).Gli anni ’70La crisi petrolifera del 1973 e la morte di Francisco Franco nel 1975 portano ad un calo di interesse degli automobilisti spagnoli nei confronti dei mezzi a quattro ruote nella prima metà del decennio, contraddistinta dal debutto della 132 (1973). La svolta arriva in seguito grazie alla 128 (1976) e alla Ritmo (1979).Addio alla FiatNel 1980 viene presentata la Panda e due anni più tardi si rompe il legame tra la Seat e la Fiat in seguito al rifiuto di quest’ultima di investire altri soldi nel marchio spagnolo. Nello stesso anno vede la luce la Ronda, una Ritmo restyling leggermente diversa nello stile e nella meccanica rispetto alla compatta torinese.Benvenuta VolkswagenIl 30 settembre 1982 il marchio iberico firma accordi di collaborazione con Volkswagen ma continua a lanciare modelli derivati da quelli Fiat come la Fura (1983), molto simile alla 127.La prima Seat realizzata senza alcun supporto della Casa torinese è la Ibiza del 1984: costruita sullo stesso pianale della Ronda, ha un design firmato Giorgetto Giugiaro e una gamma motori System Porsche da 0,9 a 1,7 litri. L’anno seguente è la volta della Malaga, variante a quattro porte della Ronda.Nel giugno del 1986 la Volkswagen acquisisce il 51% del capitale del brand iberico e porta la sua quota azionaria al 75% entro la fine dell’anno. Nello stesso periodo debutta la citycar Marbella, derivata dalla Fiat Panda ma con un design più moderno.Gli anni ’90Il 1990 è l’anno in cui la proprietà della Seat passa interamente nelle mani della Volkswagen e l’anno seguente viene presentata a Barcellona la berlina Toledo, prima vettura ad essere progettata completamente sotto la supervisione tedesca. Nel 1993 viene inaugurato lo stabilimento di Martorell mentre nel 1996 tocca alla Alhambra, prima monovolume del marchio realizzata in collaborazione con Ford (Galaxy) e Volkswagen (Sharan).Nel 1997 debutta la citycar Arosa, gemella della Volkswagen Lupo, e due anni più tardi tocca alla compatta Leon, costruita sullo stesso pianale della Golf e dell’Audi A3.Il terzo millennioLa Seat del terzo millennio punta sulla sportività: nel 2001 viene presentata la terza generazione della Ibiza e l’anno seguente il marchio spagnolo – insieme a Lamborghini – entra a far parte del brand Audi.Nel 2004 – in concomitanza con il lancio delle versioni “racing” FR e Cupra della Ibiza – debutta la monovolume compatta Altea, contraddistinta da forme seducenti. Sexy è anche la seconda generazione della Leon del 2005, vettura capace di conquistare ben quattro Mondiali Turismo WTCC (due Piloti con il francese Yvan Muller e con il nostro Gabriele Tarquini e due Costruttori) nel 2008 e nel 2009.La Ibiza ST (station wagon) e la seconda serie della Alhambra (gemella della Volkswagen Sharan) sono le novità Seat che aprono l’attuale decennio. Nel 2011 è la volta della Mii – “sorella” di Skoda Citigo e Volkswagen up! – mentre nel 2012 – anno in cui vede la luce il nuovo logo – tocca alla quarta serie della Toledo (parente della Skoda Rapid) e alla terza evoluzione della Leon.
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Ferrari 250 LM, l’ultima regina italiana di Le Mans
La Ferrari 250 LM non è solo una delle supercar più sexy del Cavallino ma anche una delle più esclusive di sempre: il 21 novembre 2013 un esemplare è stato venduto all’asta per oltre 10 milioni di euro. Scopriamo insieme la storia di questa sportiva, che cinquant’anni fa – nel 1965 – conquistò a sorpresa la 24 Ore di Le Mans: nessun’altra auto italiana, finora, è stata più capace di salire sul gradino più alto del podio della mitica corsa di durata francese.Ferrari 250 LM: la storia sportivaLa Ferrari 250 LM viene presentata ufficialmente al Salone di Parigi del 1963: derivata dal prototipo 250 P e dotata di un motore 3.0 V12 (successivamente portato a quota 3.3), ha una carrozzeria leggera in alluminio montata su un telaio tubolare.Creata per dominare tra le GT, non ottiene l’omologazione in questa categoria in quanto la fabbrica di Maranello non riesce a produrre i 100 esemplari richiesti (ne vengono realizzati solo 33) e viene quindi classificata come “prototipo” e costretta a correre contro rivali più prestanti supportata da team privati.1964Il debutto nelle competizioni della Ferrari 250 LM risale al 15 febbraio quando un esemplare gestito dalla scuderia NART (team statunitense creato da Luigi Chinetti per promuovere negli USA il marchio del Cavallino) guidato dal messicano Pedro Rodríguez non riesce a terminare la 250 Miglia di Daytona a causa di un ritiro.Risale invece al 21 marzo – in occasione della 12 Ore di Sebring – l’esordio nel Mondiale Sportprototipi: la vettura guidata da un trio “yankee” composto da Tom O’Brien, Charlie Kolb e Ronald Hutchinson è costretta al forfait per via di un incendio. Tre mesi dopo tre esemplari vengono schierati alla 24 Ore di Le Mans: l’unico a tagliare il traguardo – guidato dal francese Pierre Dumay e dal belga Gérard Langlois van Ophem – chiude in 16° posizione.La prima vittoria importante per la Ferrari 250 LM arriva il 5 luglio alla 12 Ore di Reims con il britannico Graham Hill e lo svedese Jo Bonnier seguiti dall’inglese John Surtees e dal nostro Lorenzo Bandini. A fine agosto l’inglese David Piper arriva secondo al Tourist Trophy e Ludovico Scarfiotti trionfa in Svizzera a Crans-Montana.Tra i risultati più interessanti del mese di settembre segnaliamo la tripletta alla Coppa Inter-Europa (primo Nino Vaccarella, secondo il britannico Roy Salvadori e terzo Piper) e la terza piazza dello statunitense Bob Grossman alla 500 km di Bridgehampton negli USA.1965La stagione 1965 si apre per la Ferrari 250 LM con il terzo posto della coppia composta da Piper e dal sudafricano Tony Maggs alla 12 Ore di Sebring. Piper arriva anche 3° al Tourist Trophy e secondo alla 500 km di Spa (vinta dal belga Willy Mairesse). All’inizio di giugno arriva la tripletta alla 500 km del Mugello: primi Mario Casoni e Antonio Nicodemi, secondi Maurizio Grana e Cesare Toppetti e terzi Oddone Sigala e Luigi Taramazzo.Il 20 giugno arriva il successo più importante nella storia di questa vettura in una delle 24 Ore di Le Mans più sorprendenti di tutti i tempi: le Ford GT40 balzano immediatamente al comando ma sono costrette a fermarsi spesso ai box per fare rifornimento e si arrendono per problemi di surriscaldamento dovuti alle temperature elevate. Le Ferrari P2 ufficiali passano in testa ma compromettono la loro corsa per un eccessivo consumo dei dischi dei freni e successivamente per rotture dei motori e dei cambi.Intorno alle quattro del mattino ci sono due Ferrari 250 LM private incredibilmente in testa: prima quella guidata da Dumay e dal belga Gustave Gosselin e seconda quella del NART condotta dallo statunitense Masten Gregory e dall’austriaco Jochen Rindt. L’esemplare “americano” manifesta numerosi problemi nella prima parte della gara, si ferma spesso ai box per noie all’impianto elettrico e alla frizione ma non vuole saperne di arrendersi e una volta risolti i guasti recupera terreno sulla vettura “belga”.È l’una del pomeriggio della 24 Ore di Le Mans 1965 e la Ferrari di Dumay/Gosselin ha un minuto di vantaggio su quella di Gregory/Rindt, più veloce di 12 secondi al giro ma con una sosta in più da effettuare. Tutti gli spettatori attendono un arrivo al fotofinish ma a causa di una foratura che danneggia la carrozzeria la 250 LM “belga” viene obbligata dagli organizzatori a recarsi ai box per ispezionare i danni. La vettura viene rattoppata con un punteruolo e un filo di acciaio, perde cinque giri e il primo posto (che va al duo austro-statunitense).Il successo di Masten Gregory e Jochen Rindt è però tinto di giallo: nella notte, infatti, Gregory rientra ai box per chiedere il cambio a causa di una fitta nebbia che impedisce al pilota americano (dotato di occhiali da vista) di guidare. Jochen non si trova e Chinetti decide quindi di far salire in macchina il pilota di riserva, lo statunitense Ed Hugus, senza comunicarlo ai commissari (che avrebbero altrimenti impedito a Gregory di continuare a correre in quanto ufficialmente rimpiazzato). In caso di squalifica la vittoria sarebbe andata comunque alla Ferrari 250 LM ma alla sfortunata coppia Pierre Dumay/Gustave Gosselin.La stagione prosegue con il terzo posto del duo belga composto da Mairesse e “Buerlys” alla 12 Ore di Reims, con la terza piazza di Edoardo Lualdi nella corsa in salita Bolzano-Mendola e con la doppietta alla Coppa Città di Enna di Casoni e Piper.Gli ultimi anniNel 1966 quattro Ferrari 250 LM partecipano alla 24 Ore di Le Mans ma nessuna arriva alla fine. Miglior sorte hanno il duo britannico composto da Piper e Richard Attwood nel 1968 (7°) e Teodoro Zeccoli e lo “yankee” Sam Posey nel 1969 (8°).La coupé di Maranello continua a correre (e a vincere) in gare minori fino al 1970. Nel 1974 appare a Le Mans con tre ecuadoriani (Pascal Michelet, Francisco Madera e Louis Larrea) e lo spagnolo Francisco Perez: ritiro.
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Mercedes classe B, la storia della monovolume compatta tedesca
Da quasi dieci anni la Mercedes classe B è la monovolume preferita dagli automobilisti che hanno bisogno di un mezzo compatto e spazioso e non vogliono rinunciare all’eleganza. La seconda generazione della MPV della Stella – quella attualmente in commercio – viene presentata ufficialmente al Salone di Francoforte del 2011: realizzata sulla stessa base della terza serie della classe A, ha una gamma motori al lancio composta da due 1.6 a benzina (da 122 e 156 CV) e da due 1.8 turbodiesel CDI da 109 e 136 CV.Più bassa rispetto all’antenata e con un pianale meno evoluto (privo cioè della soluzione “a sandwich” che in caso di urto frontale evita che il motore e il cambio penetrino nell’abitacolo), vede arricchirsi la propria gamma propulsori nel 2012 con il debutto di un 2.0 a benzina da 211 CV e di un 2.1 a gasolio CDI da 170 CV. Nel 2013 il due litri a ciclo Otto abbandona le scene, così come il 1.8 diesel meno potente (sostituito da un 1.5 di origine Renault da 90 e 109 CV): vede invece la luce un 2.0 NGD a metano da 156 CV.In occasione del restyling del 2014 la seconda serie della Mercedes classe B beneficia di leggere modifiche estetiche (frontale e coda leggermente ridisegnati) e di più considerevoli cambiamenti tecnici come ad esempio l’introduzione della trazione integrale. Entrano in listino due 2.0 a benzina da 184 e 211 CV, il 1.8 CDI viene sostituito da un 2.1 di pari potenza più brioso ai bassi regimi e la variante più potente di questo propulsore vede i propri cavalli salire da 170 a 177. Scopriamo insieme la storia dell’antenata di questo modello.Mercedes classe B prima generazione (2005)La prima generazione della Mercedes classe B viene svelata al Salone di Ginevra 2005: realizzata sullo stesso pianale della seconda serie della classe A, ha un design gradevole simile a quello della concept Compact Sports Tourer Vision B mostrata a Parigi l’anno prima. La gamma motori al lancio è composta da sei unità: quattro a benzina (1.5 da 95 CV, 1.7 da 116 CV e 2.0 da 136 e 193 CV) e due 2.0 turbodiesel CDI da 109 e 140 CV.Con il restyling del 2008 (che porta leggere modifiche al frontale e al paraurti posteriore) debutta un 2.0 a metano NGT da 116 CV. Due anni più tardi sparisce dal listino il due litri a ciclo Otto più potente.
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Dalla 600 alla 600, la storia delle altre citycar Fiat
La storia delle citycar Fiat non è fatta solamente dalla 500 e dalla Panda. Negli ultimi sessant’anni la Casa torinese ha lanciato altre valide vetture adatte alla città che hanno impiegato poco tempo a conquistare gli italiani (e non solo). Scopriamole insieme.Fiat 600 prima generazione (1955)La prima generazione della Fiat 600 può essere considerata la prima citycar “moderna” del brand piemontese: svelata al Salone di Ginevra del 1955, monta al lancio un motore (montato in posizione posteriore) quattro cilindri da 0,6 litri in grado di generare una potenza di 21 CV.Nata per rimpiazzare l’obsoleta 500 “Topolino”, viene leggermente modificata nel 1957 (potenza aumentata a 22 CV e vetri discendenti anziché scorrevoli). Negli anni seguenti si registrano ulteriori incrementi di potenza: 24 CV nel 1959 e 29 nel 1960 in concomitanza con il lancio della versione D. L’ultimo cambiamento rilevante arriva nel 1964 con le portiere incernierate anteriormente.La Fiat 600 è universalmente riconosciuta come la vettura che ha motorizzato gli italiani ma grazie alle numerose varianti prodotte su licenza all’estero ha sedotto anche numerosi automobilisti stranieri, soprattutto nell’ex Jugoslavia (grazie alla Zastava) e in Spagna (Seat).Fiat 126 (1972)La Fiat 126, creata per sostituire la 500, viene presentata al Salone di Torino del 1972. Realizzata sulla stessa base dell’antenata si distingue per le forme più squadrate (e meno originali) riprese dalla 127 mostrata l’anno prima, per la scocca più resistente agli urti e per il serbatoio del carburante arretrato (dal bagagliaio anteriore alla zona sotto i sedili posteriori).L’ultimo modello della Casa torinese dotato di motore posteriore monta al debutto lo stesso propulsore della 500 R: un bicilindrico da 0,6 litri e 22 CV, rimpiazzato nel 1977 (un anno dopo il lancio della versione più lussuosa Personal) da un 650 da 24 CV. Nel 1979 la produzione viene trasferita dall’Italia alla Polonia.Il 1985 è l’anno del restyling della Fiat 126 (paraurti integrali, interni rivisti, avviamento a chiave) ma la vera rivoluzione arriva due anni più tardi con la Bis: motore 700 da 25 CV raffreddato ad acqua e montato a sogliola in modo da poter ricavare un bagagliaio posteriore, accessibile attraverso un portellone.Fiat Cinquecento (1991)La Fiat Cinquecento, nata nel 1991 per sostituire la 126 e prodotta in Polonia, ha una base tecnica (trazione anteriore e motore anteriore) completamente diversa dall’antenata. La gamma propulsori al lancio comprende tre unità: due a benzina (700 bicilindrico da 30 CV e 900 a quattro cilindri da 41 CV) e un motore elettrico da 13 CV destinato alla variante Elettra.Nel 1993 la potenza del 900 scende a 39 CV mentre l’anno seguente si segnala l’arrivo della versione “pimpante” Sporting dotata di un 1.1 da 54 CV e contraddistinta dall’assetto sportivo. L’obsoleto bicilindrico abbandona le scene nel 1997.Fiat Seicento (1998)La Fiat Seicento del 1998 non è altro che un profondo restyling della Cinquecento caratterizzato da un design più tondeggiante, da interni ridisegnati e da un pianale leggermente rivisto. La gamma motori al lancio comprende due unità a benzina: un 900 da 39 CV e un 1.1 da 54 CV, affiancate l’anno seguente da un propulsore elettrico da 20 CV. Nel 2000 – in concomitanza con un leggero restyling (nuovo logo del marchio piemontese, presa d’aria anteriore maggiorata, lifting alla strumentazione) il 900 sparisce dal listino, seguito nel 2002 dalla versione Elettra.Fiat 600 seconda generazione (2005)In occasione del secondo restyling (motore Euro 4, logo Fiat posteriore e frontale con baffi cromati) la Seicento cambia nome in 600, raccogliendo così l’eredità della mitica citycar nata negli anni ’50. L’unico motore disponibile è il 1.1 a benzina da 54 CV.
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Bollo auto storiche: niente più esenzione per le ventenni
Brutte notizie per gli appassionati di auto storiche: con la legge di stabilità 2015 approvata stamattina in via definitiva dalla Camera è passato anche il provvedimento che toglie l’esenzione dal bollo per le “ventenni”.In parole povere le vetture con un’età compresa tra 20 e 29 anni dovranno tornare a pagare il bollo per intero come i veicoli più recenti. Saranno esentati dal pagamento (o dovranno versare una cifra forfettaria di 25,82 euro in caso di mezzo circolante) solo i proprietari di automobili con almeno 30 anni di vita.Il taglio delle esenzioni per le auto d’epoca “ultraventenni” previsto nella legge di stabilità 2015 mette fine al fenomeno dei “finti collezionisti”, a quelli cioè che continuano a circolare con catorci realizzati a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 privi di interesse storico solo per risparmiare sulla tassa automobilistica e sull’RC Auto.A rimetterci sono invece i veri appassionati: i possessori di auto di valore acquistate e mantenute con sacrifici che attendevano lo scoccare dei 20 anni per pagare un bollo meno salato e stipulare un’assicurazione più vantaggiosa. Saranno ben pochi quelli che potranno permettersi di versare interamente la tassa per altri dieci anni: attendiamoci quindi una fuga all’estero del nostro patrimonio a quattro ruote.
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Eberhard & Co., un orologio "solo tempo" per Nuvolari
Si chiama Solo Tempo l’ultimo orologio Eberhard & Co. della collezione dedicata a Tazio Nuvolari: presentato lo scorso settembre durante il GP Nuvolari, ha un prezzo di 1.790 euro.Il modello “entry-level” della gamma che omaggia il “Mantovano volante” è un automatico con cassa in acciaio (42,50 mm) con quadrante nero con zona “perlée” sulla quale spiccano 12 numeri arabi dal profilo rosso, il datario, la firma del pilota e le iniziali “TN” nel carapace bianco poste sulla zona centrale nera opaca. La lunetta in acciaio è contraddistinta da un inserto circolare in acciaio rivestito in PVD con indici in rilievo.L’Eberhard & Co. Tazio Nuvolari Solo Tempo è impermeabile fino a 100 metri e presenta un fondo serrato da 8 viti con lavorazione “perlée” sulla parte esterna e personalizzato con l’incisione della firma del pilota lombardo. Disponibile con un cinturino in alligatore nero ed impunture rosse o con un bracciale in acciaio, è l’ultimo frutto del legame – nato nel 1992 – della Casa svizzera con “Nivola”.Tazio Nuvolari ha dominato le corse automobilistiche negli anni Trenta: nel suo palmarès può vantare due Mille Miglia (1930 e 1933), due Targa Florio (1931 e 1932), due GP d’Italia (1932 e 1938), un campionato europeo (1932), un GP di Monte Carlo (1932), un GP di Francia (1932), una 24 Ore di Le Mans (1933) e un GP di Germania (1935).
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