Monthly Archives: Ottobre 2014

Michio Suzuki, dai telai alle auto

Michio Suzuki, fondatore della Casa automobilistica e motociclistica che ancora oggi porta il suo cognome, è il classico esempio di “self made man” alla giapponese. Ha creato un impero partendo da zero e dopo aver iniziato nel settore tessile ha deciso di concentrarsi sul mondo dei motori: scopriamo insieme la sua storia.Michio Suzuki, la biografiaMichio Suzuki nasce il 10 febbraio 1887 nel piccolo villaggio rurale di Nezumino (Giappone), composto da sole 32 case. Secondo figlio di una famiglia di agricoltori, aiuta i genitori a raccogliere cotone già da bambino e cresce in mezzo ai telai.Nell’adolescenza inizia a prendere in considerazione l’idea di diventare un imprenditore tessile ma per guadagnare soldi lavora per sette anni come apprendista in un’azienda del settore svolgendo anche le mansioni più umili.Mettersi in proprioMichio si mette in proprio nel 1908, quando termina il periodo di apprendistato. L’anno seguente crea la Suzuki, azienda specializzata nella produzione di telai: i macchinari prodotti dalla sua società, superiori a quelli della concorrenza, conquistano rapidamente il mercato nipponico negli anni ’10.Gli anni Venti e TrentaNegli anni Venti l’impresa creata da Michio Suzuki si espande e nel 1929 inizia ad esportare addirittura all’estero grazie ad un nuovo telaio brevettato. Nel decennio successivo – in seguito all’uscita del Giappone (nel 1932) dalla Società delle Nazioni – il manager nipponico vede diminuire drasticamente i propri affari a causa della riduzione delle esportazioni e decide quindi di differenziare la propria attività puntando sul mercato locale e sui veicoli a motore: inizia con le biciclette dotate di un propulsore termico, successivamente sviluppa le motociclette e nel 1937 realizza il primo prototipo di un’automobile.La Seconda Guerra Mondiale e le prime autoLa Seconda Guerra Mondiale interrompe l’attività della Suzuki. Negli anni Cinquanta la Casa nipponica si riprende e realizza la sua prima automobile – la Suzulight – nel 1955.Gli ultimi anniMichio Suzuki attraversa buona parte della storia dell’azienda da lui fondata: riesce a vedere il suo brand diventare il secondo costruttore automobilistico nipponico, costruire i primi piccoli fuoristrada e iniziare a vendere i propri veicoli addirittura negli USA. Muore nel 1982 ad Hamamatsu (Giappone), l’anno prima il 5,3% delle azioni della sua società viene acquistato dalla General Motors.

Fonte

Louis Chevrolet, pilota e imprenditore

Louis Chevrolet è noto per aver contribuito a fondare la Casa automobilistica che ancora oggi porta il suo nome ma nel corso della sua vita ha avuto modo di incidere anche in altri modi nella storia delle quattro ruote. Scopriamo insieme la sua biografia.Louis Chevrolet: la storiaLouis Chevrolet nasce il 25 dicembre 1878 a La Chaux-de-Fonds (Svizzera) ma già all’età di sette anni si trasferisce in Francia, più precisamente in Borgogna. Appassionato fin da bambino di meccanica, inizia a lavorare a diciassette anni in un’officina locale.L’AmericaNel 1899 si trasferisce a Parigi ma poco dopo abbandona l’Europa per cercare fortuna in America. Nel 1900 lavora in Canada – a Montreal – come meccanico e l’anno successivo si trasferisce negli USA, a New York.Nella Grande Mela Louis Chevrolet trova inizialmente lavoro presso una società di ingegneria diretta da un imprenditore svizzero e successivamente si occupa degli affari statunitensi della Casa transalpina de Dion-Bouton, all’epoca una delle più importanti del mondo.Diventare pilotaNel 1905 viene assunto dalla Fiat come pilota e successivamente passa alla Buick: nell’azienda statunitense ha modo di conoscere il proprietario – William C. Durant – e di imparare a progettare automobili.Nasce la ChevroletIl 3 novembre 1911 Louis fonda a Detroit, insieme a Durant e ad altri investitori, la Chevrolet. L’avventura del pilota elvetico (diventato nel frattempo cittadino statunitense) nella nuova azienda termina però già nel 1915, quando in seguito a divergenze di opinione con gli altri soci vende la sua quota societaria a Durant.La FrontenacNel 1916 Louis crea insieme ai suoi fratelli la Frontenac, ditta specializzata nella produzione di parti sportive per la Ford T. Nello stesso anno vede la luce nel New Jersey la American Motors Corporation, che vede Chevrolet come vicepresidente e capo ingegnere: la società sparisce negli anni Venti.La carriera come pilota e gli ultimi anniIl miglior risultato ottenuto da Louis Chevrolet come pilota arriva nel 1919, quando si piazza al settimo posto nella prestigiosa 500 Miglia di Indianapolis. Negli anni Venti abbandona il mondo delle corse e quello dell’imprenditoria e scompare il 6 giugno 1941 a Detroit (USA).

Fonte

Dindo Capello, 50 anni di successi

Rinaldo Capello – meglio conosciuto con il soprannome “Dindo” – non è molto noto tra chi si professa appassionato di motorsport ma in realtà segue solo la F1. Questo pilota piemontese, infatti, non ha mai corso un GP iridato al volante di una monoposto ma è uno dei driver italiani più vincenti nell’endurance. Ha trionfato più volte nelle gare di durata più importanti e oggi – a cinquant’anni – è un imprenditore di successo. Scopriamo insieme la sua storia.Dindo Capello: la biografiaDindo Capello nasce il 17 giugno 1964 ad Asti. Dopo aver mosso i primi passi – come la stragrande maggioranza dei suoi colleghi – sui kart debutta a 19 anni al volante di una monoposto nel campionato Formula Fiat Abarth.Nel 1985 sale di livello e affronta il campionato italiano di Formula 3: gareggia in questa categoria fino alla fine del decennio ottenendo numerose vittorie ma senza tuttavia portare a casa il titolo.Le ruote coperteLa svolta per Dindo Capello arriva nel 1990 con il passaggio alle ruote coperte: diventa campione nazionale turismo Gruppo A con una Volkswagen Golf e l’anno successivo viene ingaggiato dall’Audi. Corre numerose gare – anche in Germania – e nel 1996 ottiene il risultato più importante, diventando campione italiano Superturismo con la A4.L’enduranceLe maggiori soddisfazioni arrivano nella categoria Endurance: debutta alla 24 Ore di Le Mans nel 1998 con una McLaren F1 in un equipaggio composto dal tedesco Thomas Bscher e dal nostro Emanuele Pirro e dal 1999 decide di impegnarsi a tempo pieno in questa disciplina con l’Audi.Il primo successo rilevante nelle gare di durata per Dindo Capello arriva nel 2000 con la vittoria alla Petit Le Mans insieme a Michele Alboreto e al britannico Allan McNish mentre nel 2001 e nel 2002 è la volta dei due trionfi consecutivi alla 12 Ore di Sebring: il primo con Alboreto e il francese Laurent Aïello, il secondo con il britannico Johnny Herbert e il nostro Christian Pescatori.Le MansIl 2003 è l’anno della prima vittoria alla 24 Ore di Le Mans, con una Bentley, insieme al danese Tom Kristensen e al britannico Guy Smith. Il successo si ripete l’anno seguente sempre con Kristensen ma con un’Audi e con un nuovo compagno di squadra: il giapponese Seiji Ara.Il DTM e il ritorno alle gare di durataDopo una parentesi deludente nel DTM (0 punti) con l’Audi A4 nel 2005 Dindo Capello torna nel 2006 nell’endurance ottenendo subito risultati impressionanti: vince a Sebring con Kristensen e McNish e insieme a quest’ultimo si aggiudica il campionato American Le Mans Series (trionfo, quest’ultimo, ripetuto anche l’anno successivo).L’ultima Le Mans e la fine della carrieraNel 2008 Dindo Capello sale per la terza e ultima volta sul gradino più alto del podio della 24 Ore di Le Mans insieme a Kristensen e McNish e con i due coéquipier porta a casa anche la 12 Ore di Sebring (successo ottenuto anche nel 2009).Il trio anglo-italiano-danese trionfa anche negli States nel 2012: in quell’anno Dindo decide di abbandonare il mondo delle corse per concentrarsi sulla gestione delle sue quattro concessionarie Audi sparse per il Piemonte.

Fonte

Lancia Stratos, icona dei rally

La Lancia Stratos ha rivoluzionato il mondo dei rally: è stata la prima auto progettata appositamente per questo sport, la prima a vincere il Mondiale Piloti ed è grazie a lei che la Casa torinese ha conquistato ben cinque titoli iridati. Scopriamo insieme la storia di questo “mostro” e dei suoi trionfi.Lancia Stratos: la storiaLa storia della Lancia Stratos inizia al Salone di Torino del 1970 quando il carrozziere Bertone, nel tentativo di farsi commissionare dei lavori dalla Casa torinese, presenta il prototipo Stratos Zero. Questa concept, caratterizzata da forme squadrate e da una ridotta altezza da terra, nasce da un’idea del designer Marcello Gandini ed è dotata di un motore montato in posizione posteriore centrale derivato da quello della Fulvia.Cesare Fiorio, all’epoca responsabile della Squadra Corse Lancia, è alla ricerca di una vettura da rally che possa sostituire la Fulvia Coupé e chiede all’atelier piemontese di realizzare un modello specifico per questa disciplina, che viene svelato – sempre a Torino – nel 1971.La Lancia Stratos impiega pochissimo tempo a sedurre il pubblico grazie alle sue forme originali e sexy e anche gli addetti ai lavori non possono non apprezzare le numerose soluzioni tecniche introdotte per primeggiare nel motorsport. Il motore – un 2.4 V6 da 190 CV derivato da quello della Ferrari Dino 246 montato in posizione posteriore centrale trasversale – viene scelto nonostante l’iniziale opposizione di Enzo Ferrari mentre le dimensioni esterne compatte – 3,67 metri di lunghezza e 2,16 metri di passo – unite ad un peso inferiore ai 1.000 kg garantiscono un comportamento stradale agilissimo nelle curve. Solo i piloti più talentuosi, però, riescono a tenere a bada questo puledro a trazione posteriore tutt’altro che facile da guidare.Il cofano anteriore e quello posteriore hanno un’apertura di 90° per agevolare il lavoro dei meccanici, l’ampio parabrezza offre una buona visibilità al pilota e al navigatore e la parte posteriore del padiglione, in scatolato, funge da roll-bar. Da non sottovalutare, inoltre, il telaio a piattaforma con strutture a profilati d’acciaio, le sospensioni a quattro ruote indipendenti, il differenziale autobloccante e i freni a disco. La posizione rialzata del propulsore, un po’ troppo vicino agli occupanti, riscalda rapidamente l’abitacolo ma è di grande aiuto quando si devono affrontare i guadi.1972In attesa che vengano terminati i 500 esemplari prodotti (condizione necessaria per ottenere l’omologazione Gruppo 4) la Lancia Stratos viene schierata nelle competizioni aperte alle Gruppo 5.Il debutto ufficiale in gara – il 4 novembre al Tour de Corse con Sandro Munari – non è però dei migliori: la vettura è infatti costretta al ritiro a causa di un problema alla sospensione posteriore.1973La Lancia Stratos – che può vantare un propulsore più potente (230 CV) – ottiene la prima vittoria ufficiale l’8 aprile in Spagna (Firestone Rally) con Munari. Il pilota veneto si aggiudica anche il prestigioso Tour de France, rifilando quattro minuti di distacco alla vettura seconda classificata.1974L’omologazione Gruppo 4 arriva solo l’1 ottobre, con tre gare Mondiali su otto già disputate. Nonostante questo la Casa torinese – che ha ottenuto punti al Safari grazie al terzo posto di Munari con la Fulvia Coupé – riesce a portare a casa il primo titolo iridato Marche della sua storia con un’impressionante rimonta.Munari trionfa a Sanremo e due settimane più tardi si ripete in Canada al Rideau Lakes. Degna di nota anche la vittoria del francese Jean-Claude Andruet al Tour de Corse.1975La Lancia Stratos porta al debutto la mitica livrea Alitalia e domina la stagione conquistando il secondo titolo Marche: Munari sale sul gradino più alto del podio a Monte Carlo, lo svedese Björn Waldegård conquista due successi (Svezia e Sanremo) mentre il transalpino Bernard Darniche termina il Tour de Corse davanti a tutti.1976La sportiva torinese è imbattibile e permette al marchio piemontese di conquistare il terzo Mondiale Marche: Munari vince in tre occasioni (Monte Carlo, Portogallo e Tour de Corse) mentre Waldegård si deve “accontentare” del Sanremo. Nello stesso anno Darniche diventa campione europeo.1977Per non penalizzare la Fiat 131 Abarth, al debutto ufficiale proprio in quell’anno, la Lancia è costretta a schierare la Stratos solo nei rally più importanti. Nonostante questo Munari riesce a diventare il primo pilota campione del mondo grazie alla vittoria a Monte Carlo e al terzo posto al Safari. Nello stesso anno Darniche è nuovamente campione continentale.Alla fine della stagione, il 5 dicembre, viene annunciata la creazione della Squadra Corse Unificata, nata dalla fusione dei reparti motorsport di Fiat e Lancia. Il responsabile di questa nuova struttura è Cesare Fiorio.1978L’unione tra Fiat e Lancia porta risultati: il finlandese Markku Alén vince il Mondiale Piloti alternandosi alla guida della 131 Abarth e della Stratos (con quest’ultima conquista il Sanremo). In ambito europeo la sportiva torinese continua a farsi valere e permette a Tony Carello di primeggiare nel campionato continentale.1979Termina la carriera “ufficiale” della vettura ma questo non impedisce alla coupé torinese di ottenere altre due vittorie iridate con Darniche (primo a Monte Carlo e al Tour de Corse). Tony Fassina sale sul gradino più alto del podio al Rally di Sanremo.1980La Lancia Stratos è sul viale del tramonto ma non ha alcuna intenzione di andare in pensione: con lei Darniche arriva secondo a Monte Carlo e conquista altre prove minori come il Tour de France.1981Darniche trionfa al Tour de Corse: si tratta dell’ultima vittoria della Stratos in un rally valido per il Mondiale.1982Gli ultimi successi della Lancia Stratos avvengono in Italia con Fabrizio Tabaton (primo all’Elba e al Colline di Romagna) e con Federico Ormezzano, davanti a tutti al Rally di Monza.

Fonte

Lancia, la storia della Casa torinese

La Lancia non sta passando dei bei momenti: nei prossimi anni, infatti, opererà solo in Italia e si limiterà a commercializzare la Ypsilon. Pensare che la Casa torinese ha una lunga storia alle spalle, fatta di eleganza e sportività: ha lanciato una quantità impressionante di modelli entrati nel mito e ha portato a casa parecchi successi nel motorsport. Scopriamo insieme com’è diventata grande.Lancia: la storiaLa Lancia viene fondata ufficialmente il 29 novembre 1906 da Vincenzo Lancia (ex collaudatore ed ex pilota Fiat) e dall’amico Claudio Fogolin. Il mitico stemma contraddistinto dal volante e dalla bandiera – adottato, con varie modifiche, per oltre un secolo – viene creato dal conte Carlo Biscaretti di Ruffia, futuro fondatore del Museo dell’Automobile di Torino.La prima autoLa prima automobile Lancia – la 12HP – viene presentata al Salone di Torino del 1908. Ben rifinita e comoda, può vantare la trasmissione a cardano e un motore 2.5 a quattro cilindri che le permette di raggiungere una velocità massima di 90 km/h. L’anno prima Vincenzo, dopo aver realizzato il primo prototipo della vettura, si ritrova costretto ad allargare a colpi di piccone la porta dello stabilimento per far uscire il veicolo e per poterlo collaudare.L’azienda si espandeLe Lancia impiegano poco tempo a conquistare il pubblico e questo permette all’azienda torinese di espandersi: nel 1911 viene inaugurato il nuovo stabilimento di Via Monginevro (che resterà in funzione fino agli anni ’80 del XX secolo) e due anni più tardi viene lanciata la Theta. Questo apprezzatissimo modello (il primo del brand a superare le 1.000 unità costruite) è anche la prima automobile della storia ad essere dotata di impianto elettrico completo.La Prima Guerra MondialeDurante la Prima Guerra Mondiale la Casa torinese si concentra sulla produzione di materiale bellico e più precisamente sugli autocarri destinati all’esercito. Al termine del conflitto Vincenzo Lancia si ritrova senza il socio Fogolin – ritiratosi dall’azienda – e riprende la produzione di serie nel 1919 con l’innovativa Kappa, dotata di motore con testata separata, del cambio a leva tra i due sedili e di ruote in lamiera anziché in legno.La Lambda e la DilambdaLa svolta per la Lancia arriva nel 1922 in occasione del debutto – ai Saloni di Parigi e Londra – della rivoluzionaria Lambda: non si tratta solo della prima auto al mondo dotata di scocca portante ma anche di una delle prime con sospensioni anteriori a ruote indipendenti.Nel 1927 tocca invece alla più lussuosa Dilambda: rivolta soprattutto al mercato nordamericano e caratterizzata da un possente propulsore a otto cilindri, conquista i facoltosi automobilisti europei mentre viene snobbata negli USA.Gli anni TrentaNegli anni ’30 la Lancia realizza una serie di vetture particolarmente riuscite: la Artena del 1931 si rivela una delle auto più affidabili del periodo mentre con la Augusta lanciata due anni più tardi (che si aggiudicherà nel 1936 la Targa Florio con Costantino Magistri) la scocca portante viene proposta su un modello più accessibile e debuttano altre soluzioni tecniche interessanti come il motore (a quattro cilindri) a V stretto e le portiere con apertura ad armadio senza montante centrale.La seconda metà del decennio è altrettanto ricca di novità interessanti: nel 1936 viene presentata l’aerodinamica Aprilia (ultima Lancia progettata con Vincenzo, scomparso l’anno seguente, ancora in vita) e nel 1939 tocca alla piccola Ardea, contraddistinta da un motore 1.0.La seconda Guerra MondialeAnche durante la Seconda Guerra Mondiale – come nella prima – la produzione della Lancia si concentra sulle forniture militari. La fabbrica di Torino viene danneggiata dai bombardamenti anglo-americani nel 1942 e la maggior parte degli autocarri per l’esercito viene quindi assemblata nello stabilimento di Bolzano.Al termine del conflitto la società passa a Gianni Lancia, figlio di Vincenzo, che decide di rilanciare il marchio puntando soprattutto sulle competizioni sportive.I successi dei primi anni CinquantaGli anni Cinquanta per Lancia si aprono con la presentazione della Aurelia, la prima auto di serie al mondo a montare un motore V6. Non è solo questa, tuttavia, la novità di questa vettura, che presenta anche le sospensioni a quattro ruote indipendenti. L’anno seguente debutta la seducente versione coupé B20, che conquista nel 1952 la Targa Florio con Felice Bonetto e il Rally di Monte Carlo del 1954 con Louis Chiron. La Casa torinese si aggiudica altre due edizioni della prestigiosa corsa siciliana nel 1953 (con una D20 guidata da Umberto Maglioli) – anno in cui Juan Manuel Fangio trionfa alla Carrera Panamericana con una D24 – e nel 1954 (con una D24 condotta da Piero Taruffi).Nel 1953 è la volta della berlina compatta Appia mentre l’anno successivo è destinato ad entrare nella storia del brand piemontese: inizia la costruzione del Grattacielo Lancia (nuova sede di rappresentanza, inaugurata nel 1957), arriva l’unica vittoria alla Mille Miglia (Alberto Ascari su D24) e inizia la breve (quattro GP) ma intensa (un podio) avventura in F1, conclusasi nel 1955 dopo la morte del pilota milanese.La famiglia Lancia lasciaLa seconda metà del decennio non è altrettanto fortunata per la famiglia Lancia: nel 1955 vede la luce la Aurelia B24 – ancora oggi considerata una delle spider più belle di sempre – ma nello stesso anno Gianni – oberato dai debiti – cede la maggioranza della società alla famiglia Pesenti.Sotto la nuova gestione la Casa torinese continua però a progettare e a vendere modelli di elevata qualità: la Flaminia del 1957 diventa rapidamente un punto di riferimento tra le ammiraglie dell’epoca mentre la sorella minore Flavia del 1960 è la prima auto italiana di serie dotata di trazione anteriore.La FulviaLa Lancia Fulvia debutta nel 1963, nello stesso anno in cui la Casa torinese – che vede le proprie immatricolazioni crescere sempre di più – si ritrova obbligata ad aprire un nuovo stabilimento a Chivasso. La versione più nota – la Coupé – vede la luce due anni più tardi e conquista numerose vittorie nei rally: tra le più rilevanti segnaliamo il Sanremo del 1966 con Leo Cella, il Tour de Corse 1967 con Sandro Munari, il titolo europeo del 1970 con lo svedese Harry Källström e il Campionato Internazionale Costruttori del 1972, anno in cui Munari sale sul gradino più alto del podio a Monte Carlo.Il passaggio a FiatNel 1969 la Lancia – in crisi a causa dell’assenza di investimenti da parte della famiglia Pesenti – viene ceduta alla Fiat al prezzo simbolico di una lira. Il colosso torinese apporta numerosi tagli, sospende la produzione di veicoli industriali e nel 1972 lancia il primo modello della nuova gestione: la Beta.Nello stesso anno vede la luce la Stratos, una delle vetture più note della Lancia: realizzata per competere nei rally, conquista ben quattro Mondiali (uno Piloti con Sandro Munari e tre Marche) tra il 1974 e il 1977 e contribuisce a valorizzare il lato sportivo del marchio piemontese.Le vittorie degli anni ’80Nel 1979 è la volta della Delta, una compatta realizzata sullo stesso pianale della Fiat Ritmo che nel 1980 diventa la prima (e finora unica) Lancia ad aggiudicarsi il prestigioso riconoscimento di Auto dell’anno. Il mito di questa vettura nasce però nella seconda metà del decennio quando riesce a portare a casa nove Mondiali rally tra il 1987 e il 1992: tre titoli Piloti (due con Miki Biasion e uno con il finlandese Juha Kankkunen) e sei Costruttori.Prima di questi successi segnaliamo i tre Mondiali sportprototipi (nella categoria sopra i due litri) conquistati dalla Lancia Beta Montecarlo Turbo tra il 1979 e il 1981 e il campionato del mondo rally Marche ottenuto dalla 037 nel 1983.Dopo la Thema il declinoL’ultimo modello rappresentativo della Casa torinese è senza dubbio la Thema, presentata al Salone dell’Automobile di Torino del 1984, disegnata da Giorgetto Giugiaro e realizzata sullo stesso pianale di altre tre ammiraglie (Alfa Romeo 164, Fiat Croma e Saab 9000). Degna di nota la versione 8.32, dotata di un motore Ferrari.Negli anni Novanta inizia il declino Lancia, complice l’abbandono del mondo delle corse e una mancanza di appeal dei nuovi modelli. Nel 1994 lo stabilimento di Chivasso viene ceduto alla Carrozzeria Maggiora e l’anno seguente si segnala il debutto del marchio nel segmento delle monovolume con il lancio della Z. La prima piccola con lo scudo sul cofano, la Y, vede invece la luce nel 1996: grazie a lei le immatricolazioni non crollano.Il terzo millennioL’originale (pure troppo) ammiraglia Thesis del 2002 illude i lancisti ma non conquista il pubblico: colpa di forme non apprezzate da tutti ma soprattutto di motori poco potenti. Dopo quel tentativo di rilancio il Gruppo Fiat decide di ridurre progressivamente gli investimenti sul marchio e nel 2011, in seguito all’accordo con la Chrysler, inserisce in listino due vetture americane rimarchiate – la Thema (gemella della 300) e la monovolume Voyager – seguite nel 2012 dalla Flavia, nient’altro che una 200 Cabrio con una mascherina diversa.Il futuro della Lancia non è affatto roseo: nei prossimi anni un marchio che ha fatto la storia dell’automobilismo italiano verrà venduto esclusivamente nel nostro Paese e la gamma sarà composta da un solo modello, la piccola Ypsilon.

Fonte

Colt e Space Star, la storia delle piccole Mitsubishi

Le piccole Mitsubishi non sono molto apprezzate nel nostro Paese: eppure da quasi trentacinque anni le “segmento B” della Casa giapponese riescono, grazie soprattutto alla loro affidabilità, a conquistare parecchi clienti in Europa.Attualmente in listino troviamo la seconda generazione della Space Star: non si tratta più di una monovolume compatta ma di un’auto da città – presentata al Salone di Tokyo del 2011, prodotta in Thailandia e commercializzata in Italia nel 2013 – caratterizzata da un’elevata aerodinamica e da motori (due a benzina – 1.0 da 71 CV e 1.2 da 80 CV – e un 1.0 a GPL da 71 CV) poco assetati di carburante. Scopriamo insieme la storia delle sue antenate.Mitsubishi Colt prima generazione (1980)La prima generazione della Mitsubishi Colt, progettata alla fine degli anni Settanta come risposta alla crisi petrolifera, viene presentata nel 1978 ma arriva nel nostro Paese solo nel 1980. La versione  in vendita da noi – a cinque porte e dotata di un motore 1.4 a benzina da 69 CV – resta in listino fino al 1987 e beneficia di un leggero restyling nel 1982.Mitsubishi Colt seconda generazione (1984)La seconda generazione della piccola nipponica vede la luce nel 1983 e debutta nei nostri listini l’anno seguente. In questo caso è commercializzata esclusivamente a tre porte e il propulsore è un 1.2 a benzina da 55 CV.Mitsubishi Colt terza generazione (1991)La Mitsubishi Colt terza generazione – mostrata nel 1987 e arrivata in Italia nel 1991 – ha un design sportivo e originale che conquista i giovani. Non è un caso che da noi sia venduta – solo fino al 1992 – nella versione a tre porte e con motori a benzina (1.5 da 90 CV e 1.8 da 136 CV) particolarmente vivaci.Mitsubishi Colt quarta generazione (1994)In occasione della quarta generazione (nata nel 1991 ed entrata nei nostri listini nel 1994) la “baby” nipponica cresce e diventa quasi una compatta. Disponibile in Italia solo a tre porte, ha una gamma motori al lancio composta da tre unità: 1.3 da 75 CV, 1.6 da 113 CV e 1.8 da 140 CV. Nel 1996 il 1.3 e il 1.8 abbandonano le scene, seguiti un anno più tardi dal 1.6.Mitsubishi Colt quinta generazione (1997)La quinta generazione della Mitsubishi Colt – presentata nel 1995 e lanciata nel nostro Paese due anni dopo – non è altro che un profondo restyling (che ha coinvolto il frontale e, soprattutto, la coda) della quarta serie. Da noi viene venduta solo con la carrozzeria a tre porte fino al 2001 con due motori a benzina: 1.3 da 75 CV e 1.6 da 90 CV.Mitsubishi Colt sesta generazione (2004)La rivoluzione per la Casa nipponica arriva con il debutto, nel 2002 (nel 2004 in Italia), della sesta generazione: realizzata sullo stesso pianale della Smart forfour e assemblata in Olanda, ha un design simile a quello di una piccola monovolume.Disponibile inizialmente solo a cinque porte, la Mitsubishi Colt ha una gamma motori al lancio composta da tre unità a benzina (1.1 da 75 CV, 1.3 da 95 CV e 1.5 da 109 CV) e da un 1.5 turbodiesel DI-D da 95 CV. Nel 2005 debutta la versione a tre porte CZ3 e sbarca in listino un 1.5 turbo a benzina da 150 CV mentre l’anno successivo è la volta della cabriolet (con tetto in metallo) CZC, in vendita solo con propulsori 1.5 a ciclo Otto e prodotta da Pininfarina in Piemonte.Il restyling del 2008 (che non coinvolge la CZC, uscita dal listino nel 2009) porta un frontale più aggressivo e un motore 1.1 da 75 CV a GPL. Il 1.5 Turbo sparisce temporaneamente dalle scene per poi ritornare l’anno successivo, quando abbandonano il listino il 1.5 da 109 CV e il turbodiesel e arriva un 1.3 a GPL da 95 CV.La gamma della Mitsubishi Colt sesta generazione si assottiglia con il passare degli anni: nel 2010 smette di essere commercializzato il 1.3 a gas mentre nel 2011 l’unico propulsore in listino resta il 1.1 a benzina.

Fonte

Dal J7 al Boxer, la storia dei veicoli commerciali Peugeot medi e grandi

Nell’ultimo mezzo secolo la Peugeot ha realizzato numerosi veicoli commerciali medi e grandi che hanno saputo conquistare i lavoratori europei. Nel listino attuale la Casa del Leone può vantare due proposte appartenenti a questo segmento: l’Expert e il Boxer.La seconda generazione dell’Expert inizia ad essere commercializzata nel 2007 insieme ai gemelli Citroën Jumpy e Fiat Scudo e beneficia di un restyling (che porta un frontale più elegante) nel 2012. Oggi la gamma motori è composta da quattro unità turbodiesel HDi – 1.6 da 90 CV e 2.0 da 98, 128 e 163 CV – e recentemente il van compatto del Leone è stato affiancato da un altro furgone simile nel design e nei contenuti: il Toyota ProAce.La terza serie del più grande Peugeot Boxer vede invece la luce nel 2014 ma non è altro che un lifting profondo della seconda. Gemella di Citroën Jumper, Fiat Ducato e Ram ProMaster (disponibile solo sul mercato nordamericano), monta quattro motori a gasolio HDi: un 2.2 da 110, 130 e 150 CV e un 3.0 da 180 CV. Scopriamo insieme la storia dei veicoli commerciali medi e grandi prodotti dalla Casa francese negli ultimi cinquant’anni.Peugeot J7 (1965)Il Peugeot J7 vede la luce nel 1965. Dotato di trazione anteriore e disponibile in numerose varianti di carrozzeria, ha una gamma motori composta da un 1.5 a benzina e da un 1.8 a gasolio.Peugeot J5 (1981)Il Peugeot J5, svelato nel 1981, non è altro che un “gemello” di numerosi altri furgoni – Alfa Romeo AR6, Citroën C25 e Fiat Ducato – oggetto di un restyling nel 1991. Sei i propulsori disponibili: tre a benzina (1.8 da 69 CV e 2.0 da 75 e 84 CV) e tre diesel (1.9 da 70 CV, 2.5 da 74 CV e 2.5 turbo da 95 CV).Peugeot J9 (1981)Il Peugeot J9 nasce per rimpiazzare il J7 e si distingue per un design più moderno e per una gamma motori più completa (benzina e diesel da 1,6, 2, 2,2, 2,3 e 2,5 litri). Entra in listino nel 1981 e subisce un restyling nel 1991.Peugeot Boxer prima generazione (1994)La prima generazione del Peugeot Boxer – gemella di Citroën Jumper e Fiat Ducato – viene mostrata per la prima volta nel 1994. Contraddistinta da un frontale tondeggiante, ha una gamma motori al lancio composta da un 2.0 a benzina da 109 CV e da quattro unità a gasolio (1.9 da 69 e 92 CV e 2.5 da 86 e 103 CV).Nel 1998 la potenza del 2.5 da 103 CV sale fino a quota 107 e debutta un 2.8 da 122 CV mentre l’anno seguente scende la potenza dei 1.9 a gasolio (68 e 90 CV anziché 69 e 92). Nel 2000 il 2.5 da 107 CV viene rimpiazzato da un più prestante 2.8 da 128 CV, affiancato l’anno successivo da un 2.0 turbodiesel da 84 CV.Il Peugeot Boxer prima generazione beneficia di un restyling che porta un frontale più raffinato e una gamma motori più completa, composta da un 2.0 a benzina da 110 CV (disponibile anche a GPL e a metano) e da tre turbodiesel HDi (2.0 da 84 CV, 2.2 da 101 CV e 2.8 da 128 CV). Nel 2004 sbarca in listino un più grintoso 2.8 – sempre a gasolio – da 146 CV.Peugeot Expert prima generazione (1995)Con la prima generazione del Peugeot Expert – presentato nel 1995 e gemello di Citroën Jumpy e Fiat Scudo – la Casa del Leone debutta nel segmento dei van compatti sfruttando una piattaforma condivisa anche con le monovolume Citroën Evasion, Fiat Ulysse, Lancia Z e Peugeot 806.La gamma motori al lancio – composta da un 1.6 a benzina da 79 CV e da due 1.9 diesel da 69 e 92 CV – beneficia di alcune modifiche nel 1999, quando il 1.9 a gasolio più potente viene rimpiazzato da un 2.0 HDi da 94 e 109 CV. Nel 2000 il 1.6 cede il passo ad un due litri a ciclo Otto da 136 CV mentre nel 2004 è la volta di un restyling che migliora il frontale.Peugeot Boxer seconda generazione (2006)La seconda generazione del Peugeot Boxer – nato nel 2006 – ha un frontale originale e aggressivo e una gamma motori al lancio composta da un 3.0 a metano da 136 CV e da tre turbodiesel HDi: un 2.2 da 100 e 120 CV e un 3.0 da 157 CV.Nel 2011 la potenza del 2.2 a gasolio sale rispettivamente a 110 e 130 CV e si aggiunge una variante più briosa da 150 CV. Il tre litri, inoltre, viene portato a 177 CV.

Fonte

Toyota Yaris, guida all’acquisto

La Toyota Yaris non è più il “piccolo genio” di una volta ma resta una "segmento B" (quelle che una volta venivano chiamate utilitarie) adatta a chi cerca un mezzo di sostanza. In occasione del restyling del 2014 ha guadagnato inoltre un frontale più aggressivo (che riprende il family feeling lanciato dalla sorella minore Aygo) e un aumento della qualità.Nella guida all’acquisto di questo mese vi mostreremo nel dettaglio tutte le versioni presenti in listino: prezzi, motori, accessori, prestazioni, pregi, difetti e chi più ne ha più ne metta.Toyota Yaris: guida all’acquistoLa Toyota Yaris ha diversi punti di forza: è una piccola molto affidabile e ben rifinita (la plancia è realizzata con materiali di qualità) ed è semplicissima da parcheggiare considerando le sue dimensioni esterne tutt’altro che esagerate (3,95 metri di lunghezza).Alti e bassi, invece, per quanto riguarda lo spazio interno (punto di forza della generazione precedente): se è vero, infatti, che i passeggeri posteriori hanno a disposizione parecchi centimetri per la testa è altrettanto vero che tre persone stanno strette sul divano. Inoltre il bagagliaio potrebbe essere più capiente.Gli allestimenti della Toyota YarisGli allestimenti della Toyota Yaris sono cinque: il “base” (disponibile esclusivamente sulle versioni a tre porte 1.0 e diesel) è molto povero (ABS, airbag frontali, laterali, a tendina anteriori e posteriori e per le ginocchia e alzacristalli elettrici anteriori) ma costa poco. Leggermente più ricco (ma non troppo visto che aggiunge solo l’autoradio CD/MP3 e il climatizzatore manuale) il Cool, che costa 2.100 euro in più a parità di motore.La versione più equilibrata è a nostro avviso la Active: ha un prezzo abbordabile (850 euro più del Cool a parità di propulsore) e offre parecchi accessori utili come i fendinebbia, le luci posteriori a LED e il sistema multimediale Toyota Touch 2 con display da 7” e Bluetooth. Molto ricchi (ma decisamente più costosi) gli allestimenti Lounge (solo a cinque porte e 1.200 euro più dell’Active: alzacristalli elettrici posteriori, cerchi in lega da 15”, climatizzatore automatico bi-zona, cruise control, sensore crepuscolare, sensore pioggia, specchietto retrovisore interno elettrocromatico) e Style. Quest’ultimo prevede un ulteriore sovrapprezzo di 300 euro rispetto al Lounge e aggiunge alla dotazione i cerchi in lega da 16” e il tetto panoramico Skyview.Toyota Yaris: tutti i modelli a listinoToyota Yaris 1.0 (da 10.950 euro)La Toyota Yaris 1.0 (prezzi fino a 15.750 euro) è, a nostro avviso, la scelta ideale: monta un motore a benzina dalla cilindrata contenuta (una buona notizia per chi intende risparmiare sulla polizza RC Auto) che consuma oltretutto pochissimo (23,8 km/l). I tre cilindri, però, non sono il massimo della silenziosità e la coppia – oltre a non essere molto corposa (95 Nm) – latita ai bassi regimi.Toyota Yaris 1.3 (da 14.700 euro)La Toyota Yaris 1.3 (prezzi fino a 18.050 euro) è più adatta a chi non può rinunciare al piacere di guida: agile nelle curve e con un motore poco assetato in città ma un po’ rumorosetto e penalizzato dalla coppia scarsa (125 Nm) e da una cubatura che potrebbe essere meno elevata (diverse rivali offrono la stessa potenza con unità turbo dalla cilindrata ridotta).Toyota Yaris Hybrid (da 17.650 euro)Grazie alla doppia alimentazione benzina/elettrica la Toyota Yaris Hybrid (prezzi fino a 20.000 euro) consuma pochissimo e non disdegna il brio: il motore – già Euro 6 – genera una potenza di 100 CV e permette alla piccola ibrida giapponese di accelerare da 0 a 100 km/h in 11,8 secondi ma ha una cilindrata elevata (1.5) e una coppia poco corposa (111 Nm) e carente ai bassi regimi. Anche qui l’abitacolo potrebbe essere più insonorizzato mentre il cambio automatico non è molto rapido.Toyota Yaris 1.4 D-4D (da 13.300 euro)La Toyota Yaris 1.4 D-4D (prezzi fino a 18.400 euro) è un buon mezzo per chi cerca un veicolo vivace (“0-100” in 10,8 secondi): il cambio a sei marce e la grande quantità di coppia (205 Nm, purtroppo poco numerosi ai bassi regimi) contribuiscono ad incrementare il piacere di guida mentre la cilindrata contenuta aiuta a risparmiare sull’assicurazione RC Auto. I consumi? Potrebbero essere migliori.Toyota Yaris: gli optionalLa dotazione di serie della Toyota Yaris “base” va arricchita: consigliamo di integrarla con i cerchi in lega da 15” (550 euro), i sensori di parcheggio posteriori (350 euro) e la vernice metallizzata (550 euro). Questi accessori andrebbero anche aggiunti sulla Cool e sulla Active. Sulla versione Lounge e sulla Style, oltre ai sensori e alla vernice metallizzata, ci vorrebbe anche il navigatore (700 euro).

Fonte:

Mazda e la qualità

Miglioramento continuo: è questo il principio base su cui si fonda la Mazda. La Casa giapponese – come molte altre aziende del Sol Levante – applica da tempo sui propri prodotti la filosofia kaizen: questo termine, nato dalla fusione tra “kai” (cambiamento”) e “zen” (migliore), simboleggia il costante processo di evoluzione adottato dai tecnici del marchio nipponico.In passato, ad esempio, la Mazda ha mostrato la propria “diversità” rispetto alla concorrenza con il motore rotativo Wankel, inizialmente considerato poco affidabile: grazie al lavoro degli ingegneri di Hiroshima questo propulsore non è stato solamente usato su alcuni modelli di serie ma ha permesso, nel 1991, alla 787B guidata da un equipaggio composto dal belga Bertrand Gachot, dal britannico Johnny Herbert e dal tedesco Volker Weidler di conquistare addirittura la prestigiosa 24 Ore di Le Mans. Nessun altro brand asiatico è mai stato più capace di ottenere un risultato simile.La qualità della Mazda è riconosciuta a livello mondiale: il marchio giapponese ha infatti conquistato nel corso degli anni una serie di riconoscimenti per il lavoro svolto. Uno dei più rilevanti – primo posto nella classifica relativa alla soddisfazione dei clienti italiani realizzata da J.D. Power and Associates – risale al 2011.Mazda è stata inoltre la prima Casa automobilistica al mondo ad utilizzare per le proprie vetture acciai ad altissima resistenza da 1.800 MPa: una soluzione – parte integrante della tecnologia SKYACTIV – che ha consentito di irrobustire (ma al tempo stesso alleggerire) tutte le componenti principali del corpo vettura risparmiando peso e migliorando la protezione degli occupanti in caso di collisione.La gamma della Mazda è attualmente composta da cinque modelli: la piccola Mazda2, la compatta Mazda3, la Mazda6 (disponibile berlina o station wagon), la spider MX-5 (con capote in tela o in metallo) e la SUV CX-5.


Fonte: