Monthly Archives: Ottobre 2014
Alberto Ascari, l’ultimo campione del mondo italiano di F1
Alberto Ascari è senza ombra di dubbio il pilota italiano più forte di sempre: ha conquistato due Mondiali F1 ed è stato l’ultimo iridato in questa categoria proveniente dal nostro Paese. Scopriamo insieme la storia di questo “figlio d’arte”, scomparso tragicamente a Monza nel 1955 e capace di ottenere risultati migliori – anche fuori dal Circus – di quelli del padre Antonio, altrettanto talentuoso alla guida.Alberto Ascari: la storiaAlberto Ascari nasce il 13 luglio 1918 a Milano (Italia). Orfano di padre (Antonio, uno dei più grandi piloti degli anni Venti, scompare in un incidente nel 1925) dall’età di sette anni, decide di seguire le sue orme e debutta nelle corse – quelle motociclistiche, però – nel 1936. La prima vittoria arriva quasi subito – il 4 luglio dello stesso anno – sul Circuito del Lazio.La carriera con le due ruote prosegue per tutti gli anni Trenta: nel 1937 porta a casa la Biella-Oropa mentre l’anno successivo viene ingaggiato dalla Bianchi come pilota ufficiale.Il passaggio alle quattro ruoteL’esordio di Alberto Ascari in una competizione automobilistica risale al 1940: prende parte alla Mille Miglia al volante di una Auto Avio fornitagli da Enzo Ferrari ma è costretto al ritiro dopo essere stato in testa al termine del primo giro.Lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale mette temporaneamente fine alla carriera di Alberto: durante il conflitto si occupa della riparazione di mezzi militari nella sua officina e in società con l’amico Luigi Villoresi (anch’esso pilota, che nel dopoguerra gli procura un contratto con la Maserati) fornisce benzina all’esercito italiano.Il dopoguerraAlberto Ascari torna a correre sul circuito di Modena nel 1947: porta al debutto la Maserati A6 GCS e sale sul gradino più alto del podio. Il primo successo in F1 – in una gara minore – arriva il 27 giugno 1948 al GP di Sanremo.Nel mese di luglio viene chiamato dall’Alfa Romeo per rimpiazzare Achille Varzi (scomparso pochi giorni prima) nel GP di Francia ma rientra subito dopo a vestire i colori del Tridente portando a casa la Coppa Acerbo.L’incidente e la FerrariLa stagione 1949 si apre con la vittoria di Alberto Ascari a Buenos Aires ma un paio di mesi dopo in Brasile il pilota milanese è vittima di un brutto incidente nel quale riporta la frattura di una scapola.Dopo aver firmato un contratto con la Ferrari inizia a correre con la Scuderia di Maranello già a partire da luglio conquistando i primi due GP importanti della sua carriera: quello della Svizzera e quello d’Italia.Il Mondiale F1Alberto Ascari prende parte al Mondiale F1 1950, la prima stagione di sempre, al volante della Ferrari: conquista un secondo posto al debutto a Monte Carlo e ottiene la piazza d’onore anche a Monza (in coppia con Dorino Serafini).Nel 1951 tenta nuovamente di vincere la Mille Miglia, sempre con una Rossa, ma viene accusato di omicidio colposo (assolto con formula piena nel 1954) quando durante un tratto in notturna investe e uccide uno spettatore. Decisamente migliore la stagione in F1, terminata al secondo posto nella classifica generale grazie a due successi in Germania e in Italia.Il primo titolo iridatoAlberto Ascari diventa campione del mondo F1 nel 1952 e porta alla Ferrari il primo titolo iridato della sua lunga storia. Salta il primo GP (quello della Svizzera) per prepararsi alla tappa di Indianapolis (conclusasi con un ritiro) ma nelle restanti sei corse (Belgio, Francia, Gran Bretagna, Germania, Olanda e Italia) sale sul gradino più alto del podio surclassando gli avversari.Il secondo (e ultimo) mondialeIl secondo titolo per Ascari arriva l’anno successivo: trionfa in Argentina, salta Indianapolis e domina anche in Olanda e in Belgio mentre nella seconda parte della stagione porta a casa altri due successi (in Gran Bretagna e Svizzera) ma deve lottare più del previsto contro Juan Manuel Fangio.Nel 1953 Alberto Ascari si fa valere anche nelle gare extra F1 andando a vincere – in coppia con Nino Farina – la 1.000 km del Nürburgring.L’avventura LanciaAscari lascia la Ferrari nel 1954 per passare alla Lancia e inizia subito a vincere conquistando la Mille Miglia. La Casa torinese non ha ancora terminato la monoposto di F1 e quindi il driver milanese si ritrova costretto a correre in Francia e in Gran Bretagna con una Maserati e in Italia con la Rossa (tre ritiri). La D50 esordisce nell’ultima gara stagionale – in Spagna – ma abbandona la corsa dopo soli dieci giri per un guasto alla frizione.Il 1955 e la morteL’ultimo anno di vita di Alberto Ascari – il 1955 – non inizia nel migliore dei modi. Nella prima gara del Mondiale F1, in Argentina, esce di pista a causa di una macchia d’olio mentre a Monte Carlo finisce addirittura in mare in seguito ad un pauroso incidente.Quattro giorni più tardi – il 26 maggio 1955 – mentre si trova nella sua casa di Milano riceve una telefonata dai colleghi (e amici) Villoresi e Luigi Castellotti che lo invitano a recarsi sul circuito di Monza dove stanno testando una Ferrari. Alberto chiede di poter guidare la vettura ma dopo tre giri perde il controllo del mezzo (in circostanze mai chiarite), che sbanda e si capovolge.Alberto Ascari muore sul colpo schiacciato dalla Ferrari 750: in seguito alla sua scomparsa la Lancia si ritira dal mondo delle corse e cede tutto il suo materiale alla Scuderia di Maranello.
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Volvo, la storia della Casa svedese
Fin dalla sua nascita, avvenuta quasi 90 anni fa, la Volvo ha sempre puntato sulla sicurezza: in questa materia le vetture della Casa svedese sono sempre state un passo avanti rispetto alla concorrenza e grazie a questa filosofia hanno conquistato tantissimi clienti in tutto il mondo. Scopriamo insieme la storia di questo marchio, l’unico brand “nordico” di massa ancora in attività.Volvo: la storiaLa Volvo nasce ufficialmente a Göteborg (Svezia) nel 1927 come sussidiaria della SKF, azienda specializzata nella produzione di cuscinetti a sfera che intende cimentarsi nella realizzazione di automobili.La prima vettura prodotta – la ÖV 4 (una cabriolet dotata di un motore 1.9 a benzina) – esce dalla catena di montaggio il 14 aprile. Ottiene maggiore successo la variante chiusa PV 4, più adatta al rigido clima nordico.Negli anni Trenta le Volvo conquistano il pubblico svedese ma faticano ad affermarsi oltre i patri confini. La situazione cambia al termine della Seconda Guerra Mondiale.Il dopoguerraLa PV444 – nata nel 1944 e commercializzata nel 1947 – è la prima auto di grande diffusione della Casa svedese nonché la prima ad essere dotata di telaio a scocca portante. Contraddistinta da un design “americaneggiante” e da dimensioni esterne relativamente compatte, presenta un’importante innovazione in termini di sicurezza: il parabrezza in vetro laminato. Questa soluzione – che prevede due lastre unite da uno strato di materiale plastico – consente, in caso di rottura, di mantenere insieme le componenti danneggiate impedendo quindi alle schegge di entrare nell’abitacolo.Gli anni CinquantaGli anni Cinquanta per Volvo si aprono con il lancio – nel 1953 – della Duett, una delle prime station wagon della storia. Due anni più tardi iniziano le esportazioni negli USA.Il 1959 è un anno importantissimo per la Casa scandinava: viene mostrata per la prima volta la coupé P1800 (in vendita dal 1961) e vengono introdotte le cinture di sicurezza a tre punti, oggi adottate da tutte le automobili in commercio.Gli anni SessantaNegli anni Sessanta la Volvo si espande: nel 1964 apre un nuovo stabilimento a Torslanda (ancora oggi attivo) e l’anno seguente è la volta di un altro stabilimento in Belgio.Continuano, intanto, le ricerche sulla sicurezza: viene proposto il cruscotto imbottito per ridurre i danni agli occupanti anteriori in caso di urto e nel 1967 viene introdotto come optional il seggiolino per bambini montato in senso opposto a quello di marcia.Gli anni SettantaNel 1972 la Volvo acquista la sezione automobilistica della Casa olandese Daf con l’obiettivo di ampliare la propria gamma verso il basso. Due anni più tardi debutta la serie 200, che in vent’anni conquista quasi tre milioni di automobilisti.Al termine del decennio, nel 1979, la Renault diventa azionista di minoranza del marchio svedese.Gli anni OttantaUno dei modelli più rappresentativi della storia Volvo, l’ammiraglia 760, viene svelata nel 1982: le sue forme squadrate e i suoi contenuti seducono il pubblico e consentono a questa vettura di diventare la prima alternativa alle classiche vetture di lusso tedesche.La coupé 480 del 1985 – anno in cui vengono lanciate le station wagon della serie 700 – è invece la prima vettura del brand scandinavo dotata di trazione anteriore.Gli anni NovantaQuesto decennio inizia con l’annuncio dell’accordo tra Volvo e Renault e con il lancio della 960. Nel 1991 è invece la volta della 850 e del debutto degli airbag laterali.Nel 1995 sbarcano in listino la berlina S40 e la variante familiare V40 e nello stesso anno apre il museo della Casa scandinava. L’anno seguente tocca invece alle eredi della 850 – la S70 e la V70 – e all’affascinante sportiva C70.La Volvo entra nel mondo dell’off-road con la sigla XC nel 1997 e nel 1998 abbandona il design squadrato con la sexy berlinona S80. Nel 1999 il reparto automobilistico del marchio nordico viene venduto alla Ford.Il terzo millennioNel terzo millennio la Casa svedese continua a lavorare sulla sicurezza: nel 2004, ad esempio, lancia il BLIS (sistema che monitora l’angolo cieco attraverso telecamere montate sugli specchietti retrovisori).Nel 2009 la Ford vende la Volvo alla Casa cinese Geely: sotto la direzione asiatica il brand svedese continua a realizzare prodotti di qualità. Uno dei più rilevanti è la compatta V40, che ottiene dei risultati strabilianti nei crash test Euro NCAP.
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Le dieci auto più costose di sempre battute all’asta
Le dieci auto più costose di sempre battute all’asta? Tutte Ferrari, o quasi. La “top ten” delle vetture più pregiate della storia è composta soprattutto da modelli del Cavallino e l’unica intrusa è una tedesca che può vantare un palmarès sportivo di tutto rispetto.Di seguito troverete la classifica completa, composta esclusivamente da capolavori a quattro ruote battuti all’asta negli ultimi cinque anni. A dimostrazione della “bolla” che si sta creando (o che forse si è già creata) nel mondo delle auto d’epoca.1° Ferrari 250 GTO (1962) 28.501.458 euroLa Ferrari 250 GTO del 1962 – venduta da Bonhams il 14 agosto 2014 – ha avuto come primo proprietario il gentleman driver Ernesto Prinoth. Fino al mese scorso è appartenuta alla collezione Maranello Rosso dell’imprenditore romano Fabrizio Violati (ex proprietario dei marchi di acque minerali Sangemini e Ferrarelle, ceduti alla Danone nel 1987), scomparso nel 2010.2° Mercedes W196R (1954) 21.638.000 euroLa Mercedes W196R del 1954 – venduta da Bonhams il 12 luglio 2013 – non è solo l’unica vettura straniera presente nella classifica delle dieci auto più costose di sempre ma è anche quella che può vantare il più ricco palmarès sportivo essendo la monoposto di F1 che ha permesso – grazie alle due vittorie in Germania e in Svizzera – al pilota argentino Juan Manuel Fangio di diventare Campione del Mondo.3° Ferrari 275 GTB/4 *S Nart Spider (1967) 20.103.000 euroSolo dieci esemplari prodotti per questa Ferrari 275 GTB/4 *S Nart Spider del 1967 venduta da RM il 17 agosto 2013: l’intero ricavato della vendita è andato in beneficenza.4° Ferrari 275 GTB/C Speciale (1964) 19.723.730 euroLa Ferrari 275 GTB/C Speciale del 1964 – prodotta in soli tre esemplari e venduta da RM il 16 agosto 2014 – è la prima auto del Cavallino dotata di sospensioni posteriori a ruote indipendenti. Destinata all’impiego stradale in seguito alla mancata omologazione per partecipare alle gare GT, monta una carrozzeria in alluminio, un telaio con tubi più sottili per ridurre il peso e un motore a carter secco con sei carburatori. È stata più volte riverniciata.5° Ferrari 375 Plus Spider Competizione (1954) 13.448.000 euroLa Ferrari 375 Plus Spider Competizione del 1954 – venduta da Bonhams il 27 giugno 2014 – è stata prodotta in soli cinque esemplari realizzati appositamente per le competizioni. Questo modello in particolare ha preso parte alla Mille Miglia, alla 24 Ore di Le Mans e alla Carrera Panamericana ma non ha mai trionfato.6° Ferrari 250 Testa Rossa (1957) 11.981.000 euroLa prima Ferrari 250 Testa Rossa di sempre – costruita nel 1957 e venduta da Gooding il 21 agosto 2011 – ha debuttato in gara alla 1.000 km del Nürburgring e ha ottenuto piazzamenti rilevanti (senza tuttavia portare mai a casa vittorie) al GP del Venezuela e a Le Mans.7° Ferrari 250 GT SWB California Spyder (1961) 11.369.122 euroQuesta Ferrari 250 GT SWB California Spyder del 1961 – venduta da Gooding il 16 agosto 2014 – è stata la protagonista del film “Una pazza giornata di vacanza” del 1986 con Matthew Broderick.8° Ferrari 250 LM (1964) 10.683.687 euroLa Ferrari 250 LM del 1964 – carrozzata Scaglietti e venduta da RM il 21 novembre 2013 – è il 24° esemplare dei 32 costruiti. Acquistata inizialmente da un facoltoso californiano che non era intenzionato ad usarla in pista, fu ceduta tre anni più tardi a Chris Cord, nipote del fondatore della defunta Casa automobilistica statunitense.9° Ferrari 340/375 MM Berlinetta (1953) 9.322.000 euroL’auto più cara mai venduta in Italia? La Ferrari 340/375 MM Berlinetta del 1953, battuta all’asta da RM il 25 maggio 2013 in occasione del Concorso d’Eleganza di Villa d’Este. Si tratta di uno dei tre esemplari che ha preso parte alla 24 Ore di Le Mans.10° Ferrari 250 Testa Rossa (1957) 8.913.000 euroAnche la Ferrari 250 Testa Rossa (la quarta costruita) del 1957 – venduta da RM il 17 maggio 2009 – è stata battuta all’asta in Italia e più precisamente a Maranello. Il primo proprietario di questa vettura è stato il pilota e carrozziere Pietro Drogo.
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Prairie e Almera Tino, la storia delle monovolume compatte Nissan
Sono ormai quasi dieci anni che la Nissan non produce più monovolume compatte: eppure in passato la Casa giapponese ha dimostrato di saper realizzare prodotti di qualità in questo segmento apprezzati in tutto il mondo. Scopriamo insieme la storia di questi modelli, nata negli anni Ottanta.Nissan Prairie M10 (1982)La prima generazione della Nissan Prairie, denominata M10, debutta ufficialmente nel 1982: disponibile a trazione anteriore o integrale, può vantare numerose soluzioni versatili come la possibilità di far scorrere le portiere posteriori e il divano.Grazie alle forme squadrate della carrozzeria l’abitacolo, che può ospitare fino a sette passeggeri, è molto ampio e la gamma motori – tutti a benzina – ha cilindrate comprese tra 1,5 e 2 litri.Nissan Prairie M11 (1988)In occasione del lancio della seconda generazione della Prairie – la M11 – i designer Nissan realizzano una vettura dalle linee più moderne e arrotondate. Dotata di motori più potenti (da 2 a 2,4 litri) e leggermente più grande dell’antenata, conquista soprattutto il pubblico nordamericano.Nissan Almera Tino (2000)La Nissan Almera Tino, costruita in Spagna e realizzata per gli automobilisti del Vecchio Continente, non è altro che la variante monovolume della seconda serie della Almera. Tre i motori al lancio: due a benzina (1.8 da 114 CV e 2.0 da 136 CV) e un 2.2 DI turbodiesel da 114 CV.Con il restyling del 2003 – che porta qualche leggera modifica ai gruppi ottici – vengono rivisti i propulsori: un 1.8 a benzina da 115 CV e due 2.2 turbodiesel dCi da 112 e 136 CV.
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Asia Motors Rocsta (1992): la Jeep coreana
L’Asia Motors Rocsta sta alla Corea del Sud come la Jeep Wrangler agli USA. Questa fuoristrada asiatica (non chiamatela SUV), presente nei nostri listini dal 1992 al 2000, è infatti la versione civile della 4×4 usata dall’esercito coreano alla fine degli anni ’80. Si trova facilmente, anche se a prezzi leggermente più alti di quelli delle quotazioni ufficiali: 1.000 euro.Asia Motors Rocsta (1992): le caratteristiche principaliL’Asia Motors Rocsta debutta ufficialmente nel 1990 ma bisogna aspettare due anni prima di vederla in Italia. Dotata di trazione integrale inseribile e di marce ridotte, è disponibile esclusivamente con la carrozzeria a due porte e può ospitare fino a cinque passeggeri.Nei percorsi in fuoristrada se la cava egregiamente mentre su asfalto è scomoda e rumorosa. I consumi di carburante non sono molto alti (a differenza di quelli di olio) mentre i freni sono tutt’altro che potenti.La tecnicaI motori della Asia Motors Rocsta sono due, entrambi a quattro cilindri: un 1.8 da 86 CV e un 2.2 a gasolio da 67 CV. Il primo è di origine Mitsubishi e il secondo – quello che ci sentiamo di consigliare in quanto più robusto e affidabile – deriva da un’unità Mazda.Le quotazioniNon fidatevi delle quotazioni che recitano 1.000 euro. Le cifre corrette per portarsi a casa questa 4×4 asiatica nata per essere maltrattata sono comprese tra 2.000 e 3.000 euro. Rintracciarla con entrambi i propulsori è molto semplice.
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Nissan Patrol GR TD (1988): l’inarrestabile
La Nissan Patrol GR TD del 1988 è la fuoristrada perfetta per chi ha bisogno di un mezzo “da maltrattare”: inarrestabile e affidabile, può affrontare qualsiasi superficie. È molto facile da trovare (le quotazioni si aggirano intorno ai 3.500 euro) e non fatevi spaventare dagli esemplari con oltre 100.000 chilometri: se tenuti bene possono percorrerne molti altri. P.S. Non azzardatevi a chiamarla SUV: non lo è.Nissan Patrol GR TD (1988): le caratteristiche principaliLa Nissan Patrol GR TD debutta ufficialmente nel 1988 e impiega pochissimo tempo a conquistare gli appassionati di fuoristrada. Eccellente nei percorsi off-road, se la cava egregiamente anche su asfalto e monta un motore a gasolio particolarmente brillante che le consente di affrontare anche l’autostrada.Alti e bassi alla voce “piacere di guida”: se è vero, infatti, che offre prestazioni vivaci e può vantare un cambio (con ridotte, ovviamente) molto maneggevole è altrettanto vero che nelle curve lo sterzo è poco preciso. Senza dimenticare i freni, con poco mordente.La Nissan Patrol GR TD – in commercio dal 1988 al 1996 – viene proposta inizialmente solo in versione a tre porte: la più versatile (e ingombrante) variante a cinque porte entra in listino nel 1990 ma abbandona le scene già nel 1994. Il design di questa vettura è ancora oggi gradevole ma le numerose bombature della carrozzeria rendono molto difficile percepire gli ingombri durante le manovre di parcheggio.La tecnicaIl motore 2.8 turbodiesel a sei cilindri in linea da 115 (o 116) CV era – a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 – uno dei più briosi della categoria e anche oggi non delude: spinge forte già ai bassi regimi e consente di superare anche gli ostacoli più insidiosi. Peccato solo per i consumi altissimi: il valore dichiarato si aggira intorno agli 8 km/l ma nell’uso quotidiano è un’impresa rimanere sopra quota 5. Esistono supercar che se la cavano meglio…La Nissan Patrol GR TD del 1988 ha un sistema di trazione integrale inseribile anche con il veicolo in movimento (a velocità di non oltre 40 km/h) ed è inoltre possibile bloccare elettricamente il differenziale posteriore (fino a 7 km/h).Le quotazioniSono tantissimi gli esemplari della fuoristrada giapponese disponibili ancora oggi: merito delle loro doti di robustezza e affidabilità. Le quotazioni di 3.500 euro sono simili ai prezzi reali ma per i modelli tenuti in maniera impeccabile vale la pena spendere anche 5.000 o 6.000 euro.
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Alpine Renault A108 Berlinetta (1960): sportività e leggerezza
La Alpine Renault A108 Berlinetta, svelata nel 1960, non è famosa come l’erede A110 ma è una piccola sportiva altrettanto divertente: merito della trazione posteriore, del motore dietro e della leggerezza del corpo vettura. Scopriamo insieme la storia di questa coupé, facile da trovare (in Francia, però) a meno di 20.000 euro.Alpine A108 Berlinetta (1960): la storiaLa Alpine A108 Berlinetta – erede della A106 – viene presentata al Salone di Parigi del 1960, due anni dopo la versione scoperta Cabriolet: una sportiva compatta in grado di offrire un piacere di guida elevato grazie alla configurazione “tutto dietro” (motore e trazione).Agilissima nelle curve – grazie al peso contenuto – e portata per i traversi, offre prestazioni di tutto rispetto nonostante i tre motori in gamma non siano molto "cavallati". Perfetta per piloti esperti che vogliono riscoprire le emozioni al volante di un’auto d’epoca, non è consigliata ai guidatori alle prime armi: il sovrasterzo, infatti, è sempre in agguato.La tecnicaLa gamma motori della Alpine Renault A108 Berlinetta è composta da tre unità a benzina di piccola cilindrata: un 845 da 37 CV strettamente derivato da quello della Renault Dauphine, un 904 da 53 CV e un più potente 1.0 da 70 CV. Nel 1961 il telaio a trave centrale rimpiazza la precedente soluzione tubolare.Le quotazioniNon è semplice rintracciare questa vettura in Italia (nel nostro Paese la passione per il marchio transalpino iniziò con la A110), più facile – invece – trovarla in Francia. Le quotazioni sono inferiori a 17.000 euro e solo per esemplari tenuti in maniera impeccabile vale la pena spendere più di 20.000 euro.
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Renault Alpine A442B: l’ultima vittoria tutta francese a Le Mans
La Renault Alpine A442B è uno dei simboli della “grandeur” francese: questa vettura, infatti, conquistò la 24 Ore di Le Mans nel 1978 con piloti (Jean-Pierre Jaussaud e Didier Pironi) e pneumatici (Michelin) transalpini. Un evento – mai più ripetuto da nessun’altra nazione – che non si verificava dalla prima edizione della più importante corsa di durata del mondo, nel 1923. Scopriamo insieme la storia di questa sportiva.Renault Alpine A442B: la storiaLa Renault Alpine A442B non è altro che un’evoluzione della Renault Alpine A442, nata nel 1976 (anno in cui la Alpine viene acquistata dalla Régie) per conquistare la 24 Ore di Le Mans ma reduce da due ritiri nel 1976 e nel 1977.Dotata di un telaio in alluminio rinforzato con elementi in acciaio e di una carrozzeria in vetroresina, monta un motore 2.0 V6 sovralimentato con potenze comprese tra 496 e 503 CV. La A442B si distingue dalla A442 per la presenza di un curioso parabrezza avvolgente a forma di bolla che consente di migliorare l’aerodinamica e di incrementare la velocità in rettilineo. Molti piloti, però, non apprezzano la scarsa visibilità e la sensazione di claustrofobia all’interno dell’abitacolo.La 24 Ore di Le Mans 1978In occasione della 24 Ore di Le Mans del 1978 la Renault Alpine schiera un solo esemplare di A442B, affidato ai driver transalpini Didier Pironi e Jean-Pierre Jaussaud, e affiancato da due A442 e da una A443 (un’evoluzione della A442B più pesante di 30 kg, dotata di un passo più lungo di 15 cm e di un propulsore 2.1 da 520 CV).Quest’ultima vettura – guidata da Jean-Pierre Jabouille e da Patrick Depailler – balza subito al comando della gara e per 18 ore, prima di essere costretta al ritiro, forza il ritmo per spingere le Porsche a sollecitare il motore più del dovuto. La tattica funziona, le vetture di Zuffenhausen accusano problemi tecnici e la A442B trionfa con cinque giri di vantaggio sulla seconda classificata: una Porsche 936/78 guidata dal trio composto dal tedesco Jürgen Barth, dal belga Jacky Ickx e dal francese Bob Wollek.
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Le mille doti di W. O. Bentley
Walter Owen Bentley (meglio noto come W. O. Bentley) è noto per aver fondato la Casa automobilistica che ancora oggi porta il suo cognome. Tuttavia nel corso della sua (lunga) vita questo ingegnere (nonché progettista e imprenditore) britannico ha realizzato tante altre cose: scopriamo insieme la sua storia.W. O. Bentley, la biografiaW. O. Bentley nasce il 16 settembre 1888 ad Hampstead (Regno Unito). Appassionato di treni fin da ragazzo, lascia gli studi a 16 anni per lavorare come apprendista ingegnere alla Great Northern Railway a Doncaster. In questa azienda impara a progettare componenti meccaniche e dopo cinque anni viene assunto come fuochista. Poco tempo dopo, però, decide di abbandonare il settore ferroviario per concentrarsi sulle automobili.Le automobiliDopo aver studiato ingegneria presso il King’s College di Londra Walter si occupa per breve tempo di gestire una flotta di 250 vetture di una compagnia di taxi. Nel 1912 fonda insieme al fratello Horace Millner Bentley la “Bentley and Bentley”, specializzata nella commercializzazione di vetture della Casa francese DFP.Per incrementare le vendite di questo brand W. O. Bentley decide di puntare sulle competizioni: elabora i motori di questi veicoli adottando diverse soluzioni tecniche tra cui i pistoni in lega di alluminio e ottiene diversi record di velocità prima dello scoppio della Prima Guerra Mondiale.La Prima Guerra MondialeDurante la Prima Guerra Mondiale la tecnologia dei pistoni in lega di alluminio (più affidabili e in grado di sopportare velocità elevate) viene utilizzata in ambito militare e più precisamente sui motori aeronautici: Rolls-Royce e Sunbeam decidono di adottare la soluzione di Walter, che nel frattempo realizza il propulsore BR.1, un’evoluzione (oltretutto meno costosa da produrre) del Clerget 9B.Nasce la BentleyLa Casa automobilistica Bentley – fondata da W. O. insieme al fratello Horace – vede la luce nel gennaio del 1919. Il primo motore viene completato nel mese di ottobre mentre bisogna aspettare il 1921 per vedere la prima vettura del brand: la 3 Litre, dotata di un motore 3.0 a quattro cilindri.Questo modello – tanto veloce (160 km/h) quanto pesante – conquista due edizioni della prestigiosa 24 Ore di Le Mans, nel 1924 e nel 1927, ma non impedisce alla Casa britannica di entrare in crisi. Nel 1926 Walter cede la maggioranza delle azioni della sua società al pilota e imprenditore britannico Woolf “Babe” Barnato ma continua a lavorare in azienda come impiegato.Vetture più potentiNella seconda metà degli anni Venti W. O. Bentley continua a progettare automobili per la Casa automobilistica da lui fondata: nel 1926 è la volta della 6 1/2 Litre – con un motore 6.5 a sei cilindri – mentre l’anno successivo tocca alla 4 1/2 Litre (propulsore 4.4 a quattro cilindri), che nel 1928 si aggiudica la terza 24 Ore di Le Mans del marchio britannico. La Speed Six, variante sportiva della 6 1/2 Litre, trionfa in due occasioni (1929 e 1930) nella celebre corsa di durata francese.La seconda crisiLa Bentley si ritrova nuovamente in crisi all’inizio degli anni Trenta a causa della Grande Depressione: la Napier & Son (Casa automobilistica inglese attiva anche nella produzione di motori aeronautici) tenta di acquistarla ma l’offerta di questa società viene superata all’ultimo momento da quella della Rolls-Royce.L’azienda britannica è obbligata dal tribunale a mantenere fino al 1935 W. O. Bentley ma gli affida ruoli di secondo piano: rapporti con la clientela e collaudi di veicoli.La LagondaNella seconda metà del decennio Walter diventa direttore tecnico della Lagonda e nel 1937 progetta un motore 4.5 V12 da 182 CV. Durante la Seconda Guerra Mondiale si occupa di forniture militari e al termine del conflitto lavora su un nuovo propulsore a sei cilindri in linea: un 2.6 da 106 CV che inizia ad essere commercializzato nel 1948.L’Aston MartinNel 1948 la Lagonda viene acquistata dall’imprenditore britannico David Brown, che decide di montare il sei cilindri progettato da W. O. Bentley sulla nuova Aston Martin (marchio acquistato dallo stesso Brown l’anno prima) DB2, svelata nel 1950.Gli ultimi anniNella prima metà degli anni Cinquanta Walter progetta il suo ultimo motore per il marchio “british” Armstrong Siddeley. Scompare a Woking (Regno Unito) il 13 agosto 1971.
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Vittorio Jano, il più grande progettista italiano
Vittorio Jano è ancora oggi considerato uno dei più grandi progettisti automobilistici italiani, forse il più grande in assoluto. Ha realizzato le auto da corsa più veloci degli anni ’20 e ’30 e successivamente è passato ai modelli di serie risultando altrettanto geniale. Scopriamo insieme la sua storia.Vittorio Jano, la biografiaVittorio Jano nasce il 22 aprile 1891 a San Giorgio Canavese (Torino). Dopo aver conseguito il diploma tecnico viene assunto nel 1909 dalla Casa automobilistica piemontese STAR. Due anni più tardi si trasferisce alla Fiat: inizia la propria carriera in questa azienda come disegnatore, successivamente si occupa della progettazione di vetture di serie e in un secondo tempo partecipa attivamente alla realizzazione dei modelli da corsa.Le soddisfazioni più importanti con questo brand arrivano all’inizio degli anni ’20: nel 1922 le 804 conquistano i due GP più importanti della stagione (quello di Francia con Felice Nazzaro e quello d’Italia con Pietro Bordino) mentre l’anno seguente Carlo Salamano trionfa a Monza con la 805/405.L’Alfa RomeoNel 1923 – pochi giorni dopo il successo Fiat a Monza – Vittorio Jano riceve una visita da Enzo Ferrari, all’epoca pilota e collaudatore Alfa Romeo, che gli chiede di trasferirsi a Milano per diventare responsabile dell’ufficio progettazione della Casa del Biscione.Il tecnico piemontese accetta la proposta e si concentra immediatamente sul motore 2.0 a otto cilindri della P2: questa vettura debutta in gara nel 1924 portando a casa il GP di Francia con Giuseppe Campari e quello d’Italia con Antonio Ascari e l’anno successivo si aggiudica addirittura il campionato del mondo grazie ai successi di Ascari in Belgio e di Gastone Brilli-Peri in Italia.Questi trionfi, ottenuti grazie a Vittorio Jano, trasformano l’Alfa Romeo nel marchio italiano più vincente nel motorsport e costringono la Fiat a ritirarsi dalle competizioni.Le 6CNel 1927 inizia la produzione della seconda Alfa progettata da Jano: la 6C 1500, un’auto da corsa più compatta e leggera. La versione Sport Spider Zagato guidata da Campari conquista la Mille Miglia del 1928.Nel 1929 è invece la volta della più potente Alfa Romeo 6C 1750, considerata il capolavoro di Vittorio Jano: le versioni di serie conquistano gli automobilisti facoltosi che cercano prestazioni ed eleganza mentre quelle da gara dominano nel motorsport portando a casa due Mille Miglia (1929 con Campari e 1930 con Tazio Nuvolari).Gli anni TrentaNegli anni Trenta Jano continua a progettare automobili ma si occupa anche di sviluppare motori destinati agli aerei. In questo decennio le vetture sviluppate dal tecnico torinese trionfano ovunque: tra il 1930 e il 1938 arrivano otto Mille Miglia, sei vittorie alla Targa Florio, quattro successi alla 24 Ore di Le Mans e due campionati europei nella categoria Grand Prix.Il ritiro ufficiale dalle corse dell’Alfa Romeo nel 1933, unito all’arrivo del nuovo direttore generale Ugo Gobbato, non è una buona notizia per Vittorio Jano. Il progettista piemontese, molto accentratore, si ritrova progressivamente con meno poteri e nel 1937 decide di lasciare la Casa del Biscione per la Lancia.La LanciaIn Lancia Jano si ritrova a realizzare numerosi progetti per vetture di serie: sue sono la Ardea (1939), il camion Esatau (1947) e la Aurelia (1950).Alla fine del 1954 debutta la D50, prima e unica monoposto di F1 della Casa torinese. La vettura, realizzata da Vittorio Jano, è molto innovativa (serbatoi laterali, baricentro più basso rispetto alle rivali, peso contenuto) ma anche molto fragile. Il 27 marzo 1955 ottiene la prima vittoria al GP del Valentino (corsa non valida per il Mondiale) con Alberto Ascari e pochi giorni dopo Vittorio abbandona il marchio piemontese rimanendo consulente tecnico.La morte di Ascari nel maggio 1955 mette fine all’avventura Lancia nel Circus: le monoposto vengono cedute gratuitamente alla Ferrari e la Casa di Maranello ingaggia Jano come consulente.La morteVittorio Jano muore suicida a Torino il 13 marzo 1965 dopo aver scoperto di essere malato di cancro.
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