Monthly Archives: Ottobre 2014
Takeo Fujisawa, il cofondatore della Honda
Takeo Fujisawa ha contribuito a fondare la Honda e a tenerla in vita (è stato il responsabile finanziario della Casa giapponese) ma il suo nome non è famoso come quello di Soichiro, che si occupava soprattutto di prodotto senza preoccuparsi dei costi. Scopriamo insieme la storia di quest’uomo, uno dei personaggi più rilevanti dell’automobilismo nipponico.Takeo Fujisawa, la biografiaTakeo Fujisawa nasce il 10 novembre 1910 a Tokyo (Giappone). Il padre, imprenditore specializzato nella pubblicità nelle sale cinematografiche, perde tutto nel grande terremoto del Kantō del 1923 e successivamente si ritrova invalido.Per aiutare economicamente la famiglia Takeo cerca un impiego: fallisce il concorso per diventare insegnante e si ritrova a scrivere indirizzi sulle buste per lavoro. Nel 1930 trascorre un anno nell’esercito mentre nel 1934 diventa venditore per la Mitsuwa Shokai, azienda specializzata nella realizzazione di prodotti in acciaio: diventa in breve tempo uno dei migliori dipendenti della società.Mettersi in proprioTakeo Fujisawa si mette in proprio nel 1939 quando crea la Nippon Kiko Kenkyujo, impresa produttrice di oggetti da taglio che inizia la propria attività solo tre anni più tardi a causa della scarsità di conoscenze tecniche da parte del suo fondatore.Nel 1945, per evitare i bombardamenti, trasferisce la propria fabbrica a Fukushima e dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale decide di investire anche nel business del legnameL’incontro con Soichiro HondaNel 1948 Takeo Fujisawa si reca a Tokyo per acquistare componenti per la sua azienda di oggetti da taglio e grazie ad un incontro con un suo vecchio cliente scopre che un mago della tecnica di nome Soichiro Honda sta progettando motori ausiliari per biciclette.Takeo torna a Fukushima, vende la Nippon Kiko Kenkyujo e si stabilisce nella capitale nipponica dove apre un negozio di legname. L’anno successivo avviene l’incontro tra i due uomini e scocca immediatamente la scintilla.L’avventura in HondaTakeo Fujisawa viene nominato direttore finanziario della Honda mentre Soichiro si occupa di migliorare sempre più il prodotto: una combinazione perfetta che permette alla Casa giapponese di crescere rapidamente.Nel 1964 diventa addirittura vicepresidente e nel 1973 va in pensione insieme a Soichiro rimanendo comunque all’interno dell’azienda. Negli ultimi anni della sua vita apre e gestisce un negozio di antiquariato a Tokyo, città nella quale perde la vita – il 30 dicembre 1988 – per un attacco cardiaco.
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Jeep, la storia del 4×4
Il ruolo della Jeep nella storia delle fuoristrada è fondamentale: non è un caso, infatti, che molte persone poco esperte di automobili associno questo marchio a tutte le 4×4 in commercio. Impossibile trovare in listino un brand di veicoli “off-road” più significativo, difficile rintracciare in commercio marchi che rispecchino meglio una filosofia di vita.Di seguito troverete l’evoluzione dei modelli della Casa statunitense, tutti capaci di affrontare qualsiasi superficie senza difficoltà. Dalla Willys MB alla Renegade passando per altre 4WD che hanno permesso a questa azienda – attualmente nelle mani del Gruppo Fiat – di entrare nel mito.Jeep: la storiaLa Jeep come la conosciamo oggi nasce ufficialmente durante la Seconda Guerra Mondiale quando l’esercito statunitense invita 135 costruttori a partecipare ad una gara d’appalto finalizzata alla realizzazione di un mezzo di ricognizione dotato di trazione integrale.Solo tre aziende (la American Bantam, la Ford e la Willys) accettano la sfida: l’offerta più vantaggiosa arriva da quest’ultima ma è la prima a vincere la commessa in quanto è l’unica che riesce a rispettare i tempi di consegna (domanda di partecipazione entro 11 giorni, un prototipo prodotto entro 49 e 70 esemplari costruiti in 75 giorni).La Bantam, però, non è in grado da sola di far fronte alle necessità del Dipartimento della Guerra USA e per questa ragione i suoi progetti vengono rivelati alle due aziende rivali, che subito allestiscono modelli simili. All’inizio degli anni ’40 i tre mezzi (Bantam BRC-40, Ford GP e Willys MA) vengono ordinati in 1.500 esemplari ciascuno ma nel 1941 viene deciso di puntare esclusivamente sulla Willys MB (più potente e più economica da produrre), che viene assemblata su licenza anche dalla Ford.Uso civileNel 1944 gli Alleati – in procinto di vincere la Seconda Guerra Mondiale – permettono alla Willys di progettare una Jeep (l’origine del nome dovrebbe essere legata alla pronuncia della sigla GP, “general purpose”, usata per identificare i veicoli destinati ad impieghi multipli) per uso civile.La CJ -2A (Civilian Jeep) entra in commercio nel 1945 e si distingue dalla versione militare per i fari più grandi, per il portellone posteriore, per la ruota di scorta montata lateralmente e per il serbatoio esterno.L’anno successivo è la volta della Jeep Station Wagon, una spaziosa familiare a sette posti che diventa disponibile a trazione integrale nel 1949.L’era KaiserNel 1953 la Willys viene venduta alla Kaiser Motors, che due anni più tardi lancia la Jeep CJ-5 (versione destinata al pubblico del veicolo M38 – evoluzione dell’MB – usato durante la Guerra di Corea). Più grande, più spaziosa, più affidabile e con un design più moderno, impiega pochissimo tempo a conquistare gli appassionati di fuoristrada.Il modello più rilevante degli anni Sessanta è invece la Wagoneer del 1962, antesignana delle moderne SUV di lusso e dotata di sospensioni anteriori a ruote indipendenti e del cambio automatico.Gli anni SettantaLa Kaiser-Jeep, in crisi economica, viene acquistata dalla AMC (American Motors Corporation) nel 1970. I nuovi proprietari migliorano la gamma riducendo i costi di produzione e incrementando il comfort su asfalto delle 4×4 “yankee”. Nel 1973 debutta il primo sistema automatico di trazione integrale permanente – il Quadra-Trac – e tre anni più tardi tocca alla CJ-7, più spaziosa della CJ-5 e progettata in modo da poter accogliere un cambio automatico.Gli anni OttantaNel 1979 la Renault diventa partner della AMC e inizia a progettare – insieme ai tecnici statunitensi – una SUV compatta che vede la luce cinque anni dopo: la Cherokee XJ, dotata anche di propulsori francesi.La prima Wrangler – più confortevole delle CJ – vede invece la luce nel 1987, pochi mesi prima dell’acquisto della American Motors da parte della Chrysler. In quello stesso anno Jeep diventa ufficialmente un brand.L’era ChryslerSotto la Chrysler la Jeep amplia la propria gamma con la Grand Cherokee, un’ingombrante Sport Utility nata nel 1993 per rubare clienti alla Range Rover. Nel 1997 la Wrangler TJ abbandona le balestre per le più moderne molle.Nel 1998 il colosso americano si fonde con il gruppo Daimler: le 4×4 statunitensi iniziano ad adottare motori e componentistica Mercedes ma il modello che meglio simboleggia questa fusione – la Grand Cherokee WK2 del 2007 sviluppata su una piattaforma con molti elementi in comune con quella della classe M W164 – vede la luce nello stesso anno in cui termina l’accordo tra le due multinazionali.Con l’acquisto di Chrysler da parte di Fiat nel 2009 iniziano le sinergie tra il colosso torinese e la Jeep. La Cherokee KL del 2014, ad esempio, sfrutta la stessa piattaforma dell’Alfa Romeo Giulietta mentre la Renegade dello stesso anno ha diversi elementi in comune con la 500L.
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Riley 1500 (1957): compatta e "british"
La Riley 1500 (nota anche con il nome One-Point-Five) del 1957 è il classico esempio di compatta britannica: lunga meno di quattro metri e realizzata sullo stesso pianale a trazione posteriore della Morris Minor, offre tanta eleganza e buone prestazioni a meno di 5.000 euro. In Italia, però, è introvabile.Riley 1500 (1957): le caratteristiche principaliLa Riley 1500 debutta nelle concessionarie del Regno Unito alla fine del 1957 e viene prodotta (anche in Australia) per dieci anni. Si differenzia dalla gemella Wolseley 1500 per la presenza di un carburatore doppio corpo (anziché monocorpo), per la strumentazione più ricca e posizionata davanti al pilota e per i freni più potenti.Il tentativo di creare un’auto di piccole dimensioni “chic” è chiaramente percepibile nel frontale, contraddistinto da una calandra raffinata che contribuisce ad aumentare la sensazione di prestigio. Nel 1960 la vettura beneficia di alcune modifiche estetiche agli interni mentre due anni più tardi viene irrobustito il propulsore grazie ad alcune componenti provenienti dalla Austin A60 Cambridge.La tecnicaIl motore 1.5 quattro cilindri a benzina della Riley 1500 del 1957 – montato in posizione anteriore e abbinato ad un cambio (lo stesso della MG Magnette) manuale a quattro marce (con la prima non sincronizzata) – genera una potenza massima di 68 CV. Le sospensioni e lo sterzo sono gli stessi della Morris Minor.Le quotazioniLe quotazioni della Riley 1500 (4.500 euro) non sono molto alte: questa vettura è stata prodotta in meno di 40.000 esemplari ma può risultare interessante solo per gli appassionati di veicoli provenienti da oltremanica. In Italia trovarla è impossibile, più semplice rintracciarla nel Regno Unito: buona disponibilità di ricambi meccanici.
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Henry M. Leland, il fondatore di Cadillac e Lincoln
Le due Case automobilistiche più prestigiose degli USA sono la Cadillac e la Lincoln: attualmente questi due brand appartengono a due gruppi differenti (rispettivamente GM e Ford) ma sono entrambi stati fondati da un’unica persona, Henry M. Leland. Scopriamo insieme la storia di questo imprenditore statunitense, creatore del lusso in salsa “yankee”.Henry M. Leland, la biografiaHenry M. Leland nasce il 16 febbraio 1843 a Barton (USA). Ultimo di otto figli e appassionato di meccanica fin da giovane, inizia a lavorare alla Brown & Sharpe (azienda del Rhode Island specializzata in macchine utensili) e successivamente collabora con numerose società produttrici di armi come la Colt.Dopo aver imparato in queste ditte a sviluppare metodi di produzione efficienti decide di mettersi in proprio alla fine del XIX secolo: fornisce motori alla Olds Motor Vehicle Company (che successivamente cambierà nome in Oldsmobile) e produce trenini giocattolo.La CadillacNel 1902 Henry M. Leland viene assunto dalla Casa automobilistica Henry Ford Company per gestire il processo di liquidazione della società ma lui suggerisce ai vertici dell’azienda di produrre un nuovo modello dotato di un motore monocilindrico originariamente sviluppato per la Oldsmobile.L’impresa – che viene ribattezzata con il nome Cadillac – introduce numerose innovazioni nel mondo delle quattro ruote (il più importante riguarda la produzione di parti meccaniche in serie intercambiabili) e viene venduta alla General Motors nel 1909. Henry rimane a capo dell’azienda fino al 1917 e cinque anni prima sviluppa un sistema di avviamento elettrico.La LincolnHenry M. Leland abbandona la GM dopo una disputa con il fondatore del colosso nordamericano – William C. Durant – relativa alla fornitura di motori aeronautici. Nello stesso anno crea insieme al figlio Wilfred la Lincoln, che inizia a costruire propulsori V12 Liberty destinati all’aviazione.Al termine della Prima Guerra Mondiale la società punta sulla produzione di auto di lusso ma senza ottenere grandi successi: nel 1922 dichiara bancarotta e viene acquistata dalla Ford. Leland scompare dieci anni più tardi – più precisamente il 26 marzo 1932 – a Detroit (USA).
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Jochen Mass, non solo Villeneuve
Il nome di Jochen Mass è associato indissolubilmente a quello di Gilles Villeneuve: fu contro la monoposto di questo pilota tedesco, infatti, che il driver canadese andò a schiantarsi mettendo fine alla sua breve vita. Questo avvenimento ha oscurato in parte la carriera di questo bravo driver teutonico, che può vantare nel proprio palmarès numerosi successi importanti: scopriamo insieme la sua storia.Jochen Mass: la storiaJochen Mass nasce il 30 settembre 1946 a Dorfen (Germania). A 17 anni, su consiglio del nonno ufficiale di marina, si arruola e in quel periodo – durante le licenze – inizia a correre nei rally locali. Tre anni più tardi lascia le forze armate per seguire la propria passione per le automobili: comincia a lavorare come meccanico in un’officina specializzata nella preparazione di vetture da corsa e nel 1968 inizia a cimentarsi in pista.La svoltaJochen si fa conoscere nel mondo del motorsport all’inizio degli anni Settanta quando inizia ad ottenere i primi risultati importanti nelle gare di durata e nelle cronoscalate. Il risultato più rilevante di quel periodo è indubbiamente la conquista del campionato europeo turismo del 1972 al volante di una Ford Capri.Le monopostoJochen Mass inizia a vincere con le monoposto nel 1973, anno in cui diventa vicecampione europeo di F2 (dietro a Jean-Pierre Jarier). Risale alla stessa stagione il debutto in F1: partecipa al GP di Gran Bretagna con una Surtees senza riuscire a tagliare il traguardo e disputa tre corse risultando più lento del compagno brasiliano Carlos Pace ma più rapido del britannico Mike Hailwood.Nel 1974 diventa pilota titolare della scuderia inglese ma continua ad ottenere risultati peggiori del coéquipier sudamericano: nelle ultime due corse stagionali in Canada e negli USA trova un sedile più prestigioso alla McLaren, dove viene tuttavia surclassato dai nuovi compagni (un certo Emerson Fittipaldi, che in quell’anno diventerà oltretutto campione del mondo, e il neozelandese Denny Hulme).La prima (e unica) vittoriaJochen Mass viene promosso driver titolare della McLaren nel 1975: le sue prestazioni non sono al livello di quelle di Fittipaldi ma nonostante questo arrivano la prima vittoria in F1 (Spagna, corsa interrotta dopo 29 giri a causa dell’incidente di Rolf Stommelen, che provoca quattro morti tra gli spettatori) e due podi (Brasile e Francia).Il 1976 è l’anno in cui Jochen si ritrova un nuovo compagno di squadra: James Hunt, che diventerà campione iridato in quello stesso anno. Il driver tedesco, invece, si deve accontentare di altri due podi in Sudafrica e in Germania. Il 1977 è la sua migliore stagione: termina al 6° posto nel Mondiale grazie a due podi in Svezia e in Canada ma resta meno rapido di Hunt.Il declinoLa parabola discendente di Jochen Mass nel Circus inizia nel 1978 con il passaggio alla ATS: pur essendo il più veloce tra i piloti della scuderia tedesca (Alberto Colombo, Jarier e l’allora debuttante Keke Rosberg) non riesce a portare a casa punti. La situazione migliora nel 1979 (tre sesti posti e più veloce del compagno Riccardo Patrese) e nel 1980 (una quarta piazza ma più lento complessivamente del coéquipier padovano), anno in cui rimane vittima di un pauroso incidente in Austria che lo costringe a saltare due gare, alla Arrows.Il 1982 e VilleneuveNel 1982, dopo un anno di pausa, Jochen torna in F1 e affronta la sua ultima stagione nel Circus al volante della March: non ottiene punti, se la cava meglio dei compagni di scuderia (il brasiliano Raul Boesel e lo spagnolo Emilio de Villota) ma non si può certo parlare di un’annata memorabile.L’annus horribilis di Jochen Mass inizia l’8 maggio durante le prove del GP del Belgio sul circuito di Zolder: mentre sta procedendo lentamente nel giro di rientro si sposta sulla destra per lasciare spazio a Gilles Villeneuve, il quale – lanciatissimo alla ricerca della pole position – decide però di seguire la stessa traiettoria. Il pilota canadese perde la vita nello scontro con la March dell’incolpevole driver teutonico.Un paio di mesi più tardi, in occasione del GP di Francia, è vittima di un pauroso incidente: tocca la Arrows di Mauro Baldi a forte velocità e la sua monoposto decolla verso gli spalti. Jochen se la cava con qualche leggera bruciatura ma decide di abbandonare di punto in bianco il Circus.Oltre la F1Jochen Mass si concentra sulle vetture Sport (da lui guidate spesso anche in concomitanza con la carriera in F1) e nella seconda metà degli anni ’80 arrivano per lui dei successi rilevanti. Nel 1987 vince con la Porsche la 12 Ore di Sebring insieme al pilota statunitense Bobby Rahal e due anni più tardi porta addirittura a casa la 24 Ore di Le Mans con una Sauber insieme allo svedese Stanley Dickens e al connazionale Manuel Reuter.Tempi moderniNegli anni Novanta Mass diventa commentatore di F1 per la TV tedesca e da diverso tempo collabora con il Museo Mercedes, dove si occupa anche di guidare le vetture storiche nelle più prestigiose manifestazioni internazionali.
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Le Porsche "segrete" in mostra a Stoccarda
La mostra “Porsche: Secret!” in programma fino all’11 gennaio 2015 al Museo Porsche di Stoccarda (Germania) è un evento da non perdere per gli appassionati delle vetture della Casa di Zuffenhausen. I visitatori potranno ammirare infatti 16 auto “segrete” che per motivi tecnici o economici non sono mai approdate alla produzione di serie, modelli che solitamente sono custoditi nei caveau dell’azienda tedesca.Con questi veicoli è possibile viaggiare attraverso la storia dell’automobile e del marchio teutonico: la concept ecologica FLA del 1973, ad esempio, fu progettata in risposta alla crisi energetica mentre in rappresentanza degli anni Ottanta segnaliamo un prototipo aerodinamico basato sulla 959, una 928 Cabriolet, una roadster mai messa in produzione (la 984) e la velocissima 965, dotata di un motore V8 posteriore raffreddato ad acqua.La mostra “Porsche: Secret!” a Stoccarda presenta anche due vetture interessanti ideate alla fine del XX secolo: la 986 A4 (concept basata sulla 911 Targa 964 impiegata per testare il concetto di motore centrale della Boxster) e, soprattutto, la 989 a quattro porte, “mamma” della Panamera. Dalle 14:00 alle 17:00 delle domeniche 28/09, 19/10, 16/11, 14/12, 28/12 e 04/01 è inoltre prevista una caccia al tesoro per famiglie: per registrarsi basta inviare una mail a info.museum@porsche.de.Il Museo Porsche è aperto dal martedì alla domenica dalle 09:00 alle 18:00. I prezzi dei biglietti? 8 euro l’intero, 4 euro il ridotto. Per maggiori informazioni www.porsche.com/museum/en.
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Restyling per il Museo dell’Automobile di Torino
Il MAUTO si rinnova: tre anni dopo la riapertura il Museo dell’Automobile di Torino beneficia di un restyling che porta parecchie novità. Più interattività, più multimedialità e nuovi spazi espositivi per ammirare ancora meglio le vetture più significative della storia.Il percorso è ora più ricco: merito di 32 iPad fissi all’ingresso di ciascuna sezione e a disposizione dei visitatori, del QRcode su tutte le automobili e i pannelli di sezione, dei 20 nuovi video, delle tre nuove vetture e di una serie di completamenti scenografici. Senza dimenticare uno spazio interamente dedicato al design, il grande garage visitabile (su prenotazione) e un’officina che accoglierà la Scuola di restauro.Il Museo Nazionale dell’Automobile (MAUTO) si trova a Torino in Corso Unità d’Italia 40 ed è aperto il lunedì dalle 10 alle 14, il martedì dalle 14 alle 19, il mercoledì, il giovedì e la domenica dalle 10 alle 19 e il venerdì e il sabato dalle 10 alle 21. Per maggiori informazioni www.museoauto.it.
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406, 407 e RCZ, la storia delle coupé moderne Peugeot
Negli ultimi vent’anni la Peugeot ha lanciato tre sportive coperte che hanno conquistato gli amanti delle prestazioni e gli appassionati di car design: le varianti Coupé di 406 e 407 e la RCZ. Quest’ultima, presentata al Salone di Francoforte del 2009 e in listino dal 2010, è realizzata sullo stesso pianale della 308 CC e ha uno stile originale caratterizzato da due gobbe sul tetto.Assemblata in Austria, ha una gamma motori al lancio – tutti sovralimentati – composta da due 1.6 a benzina da 156 e 200 CV e da un 2.0 a gasolio da 163 CV. Nel 2012 arriva un restyling che porta un frontale meno aggressivo e più raffinato mentre due anni più tardi è la volta della cattivissima variante R, dotata di un propulsore 1.6 turbo a benzina da ben 270 CV. Di seguito troverete la storia delle antenate di questa vettura.Peugeot 406 Coupé (1997)La Peugeot 406 Coupé, disegnata e assemblata da Pininfarina, è ancora oggi considerata una delle più belle auto degli anni Novanta. Debutta in listino nel 1997 con due motori a benzina (2.0 da 132 CV e 3.0 V6 da 190 CV), che beneficiano di un aumento di potenza (rispettivamente 137 e 194 CV) nel 1999.Nel 2000 il tre litri sale fino a quota 210 CV mentre un anno più tardi il 2.0 a benzina scende a 136 CV e si aggiunge alla gamma un 2.2 turbodiesel HDi da 133 CV. Il 2002 è l’anno in cui il due litri a ciclo Otto viene rimpiazzato da un 2.2 da 158 CV mentre l’anno successivo è la volta di un leggero restyling, che coinvolge soprattutto il paraurti anteriore e i gruppi ottici posteriori.Peugeot 407 Coupé (2005)La Peugeot 407 Coupé del 2005 non convince come l’antenata: il design presenta alcuni spunti interessanti (come ad esempio le “branchie” posizionate vicino alle ruote anteriori) ma è nel complesso meno armonioso.La gamma motori al lancio è composta da tre unità – due a benzina (2.2 da 163 CV e 3.0 V6 da 211 CV) e un 2.7 V6 turbodiesel HDi da 204 CV – affiancate nel 2008 da un 2.0 a gasolio da 136 CV. Nel 2009 si assiste ad una rivoluzione sotto il cofano visto che solo due propulsori – entrambi diesel – rimangono in listino: il 2.0 portato a 163 CV e un inedito 3.0 da 241 CV.
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Nicola Romeo, il salvatore dell’Alfa
Nicola Romeo è, per gli appassionati dell’Alfa Romeo, un eroe: senza questo imprenditore campano, infatti, la vita della Casa del Biscione sarebbe terminata già negli anni Dieci del secolo scorso. Scopriamo insieme la storia del salvatore del marchio lombardo.Nicola Romeo, la biografiaNicola Romeo nasce il 28 aprile 1876 a Sant’Antimo (Napoli) da una famiglia di umili origini. Dopo essersi laureato a 23 anni in ingegneria civile nel capoluogo campano si trasferisce in Belgio per specializzarsi nel settore elettrotecnico e successivamente si sposta in Francia e in Germania per operare nel campo ferroviario.Mettersi in proprioAlla fine del XIX secolo Romeo viene assunto dall’azienda britannica Blackwell (specializzata nella realizzazione di tranvie elettriche) e nominato responsabile della neonata filiale italiana. Nel 1906 si mette in proprio e crea, insieme ad altri investitori, la società “Ing. Nicola Romeo & C.” con la quale si occupa di commercializzare nel nostro Paese materiali ferroviari provenienti dal Regno Unito e dagli USA.L’AlfaNel 1915 l’ALFA (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili) si ritrova costretta dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale a convertire la propria produzione a scopi militari. I dirigenti dell’epoca non hanno i mezzi necessari per rivoluzionare i propri stabilimenti e per questa ragione cedono l’azienda a Nicola Romeo.Al termine del conflitto la Casa automobilistica milanese cambia nome in Alfa Romeo e inizia a sviluppare una serie di modelli sportivi che conquistano parecchie vittorie in tutta Europa.Non solo autoLe attività finanziarie di Nicola Romeo non si limitano solo alle auto: nel primo Dopoguerra l’azienda da lui fondata acquisisce altre società ferroviarie italiane e si occupa di realizzare locomotive elettriche e di elettrificare la rete nazionale.Gli ultimi anniNel 1928 Romeo lascia la sua impresa e l’anno seguente viene nominato senatore (carica che ricopre fino al 1934). Scompare il 15 agosto 1938 nella sua casa di Magreglio (Como).
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107, iOn e 108, la storia delle citycar Peugeot
La Peugeot produce citycar da meno di dieci anni ma ha già avuto modo di lanciare tre modelli – la 107, la iOn e la 108 – capaci di riscuotere un discreto successo in Europa. Attualmente il listino della Casa francese comprende due vetture appartenenti a questo segmento.L’elettrica iOn, commercializzata dal 2011, non è altro che la gemella della Citroën C-Zero e della Mitsubishi i-MiEV. Prodotta in Giappone e disponibile esclusivamente a cinque porte, monta un motore ad emissioni zero da 64 CV (67 dal 2012).La Peugeot 108, erede della 107, debutta invece al Salone di Ginevra 2014 insieme alle sorelle Citroën C1 e Toyota Aygo. Disponibile a tre e a cinque porte, assemblata in Repubblica Ceca e acquistabile con un ampio tetto apribile in tela, ospita sotto il cofano due motori tre cilindri a benzina: un 1.0 da 69 CV e un 1.2 da 82 CV.Di seguito troverete invece la storia della capostipite delle citycar del Leone.Peugeot 107 (2005)La Peugeot 107 – che, come la 108, viene assemblata in Repubblica Ceca insieme alla Citroën C1 e alla Toyota Aygo (differenti solo in qualche dettaglio) – debutta sul mercato nel 2005. Nata per offrire un’alternativa più piccola ed economica alla 206, ha una gamma motori al lancio composta da un 1.0 a benzina da 68 CV e da un 1.4 turbodiesel HDi da 54 CV.Nel 2009 è la volta di un restyling che, grazie all’introduzione del paraurti anteriore cromato, contribuisce ad incrementare l’eleganza della citycar transalpina mentre l’anno seguente sparisce dal listino il propulsore a gasolio.La Peugeot 107 beneficia di un secondo lifting nel 2012: le modifiche apportate al frontale rendono il muso più simile a quello delle ultime proposte della Casa del Leone.
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