Monthly Archives: Agosto 2014

Tec-Mec F415: la meteora della F1

Alla fine degli anni Cinquanta la Tec-Mec F415 cercò di ritagliarsi un proprio spazio nel mondo della F1, senza però riuscirci. Questa monoposto tricolore, evoluzione della Maserati 250F (una delle vetture più vincenti del Circus) realizzata dallo storico progettista del Tridente Valerio Colotti, disputò un solo GP nel 1959. Scopriamo insieme la storia di questa meteora del motorsport.Tec-Mec F415: la storiaLa storia della Tec-Mec F415 inizia nel 1957, quando la Maserati decide di ritirarsi ufficialmente dal mondo delle competizioni. Uno dei più importanti progettisti della Casa modenese – Valerio Colotti – si ritrova senza lavoro e decide quindi di realizzare una monoposto di F1 usando come base la mitica 250F, vettura capace di conquistare due Mondiali (nel 1954 e nel 1957 con Juan Manuel Fangio), otto vittorie e otto pole position.Grazie all’aiuto finanziario dello statunitense Lloyd Casner, proprietario del team Camoradi, crea lo Studio Tecnica Meccanica (da qui il nome Tec-Mec) e perfeziona la vettura conservando il motore 2.5 a sei cilindri in linea e intervenendo soprattutto sulla riduzione del peso.Il debutto in F1La Tec-Mec F415 prende parte al GP degli USA del 1959 sul circuito di Sebring con il pilota brasiliano Fritz d’Orey: il driver sudamericano si qualifica al 17° posto su 19 partecipanti con un ritardo di oltre 33 secondi dal poleman Stirling Moss e in gara, dopo una buona partenza (12° al termine del primo giro), sale rapidamente la classifica fino ad arrivare in decima posizione alla sesta tornata prima di ritirarsi per una perdita d’olio.L’addio al CircusIn seguito al risultato deludente ottenuto negli States Valerio Colotti decide di mollare tutto: vende la società e si concentra esclusivamente sulle trasmissioni, fornendo cambi alle scuderie Lotus e BRM.

Fonte

Ferrari 156: la F1 bella e vincente

La Ferrari 156 non è solo una delle F1 più belle di sempre ma anche una delle più vincenti. Nella prima metà degli anni Sessanta questa monoposto ha rivoluzionato il Circus conquistando tre titoli iridati (tra cui i primi due Mondiali Costruttori della Scuderia di Maranello) e mettendo fine allo strapotere dei team britannici. Scopriamo insieme la sua storia.Ferrari 156: la storiaIl progetto della 156 prende forma a cavallo tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60: le monoposto del Regno Unito, grazie al motore posteriore (che consente di ridurre il peso della trasmissione e di avere una migliore aerodinamica), dominano sui circuiti di tutto il mondo e costringono la Ferrari a puntare su questa nuova soluzione tecnica.Carlo Chiti si occupa di realizzare la vettura basandosi su due monoposto utilizzate l’anno precedente rivelatesi ancora poco competitive (la 246P e la 156P) e per quanto riguarda il motore decide di adattare alla F1 il già noto propulsore “Dino” 1.5 V6 (con angolo tra le bancate di 65°) da F2.Viene incrementato l’alesaggio e ridotta la corsa mentre la scelta di adottare una nuova testata sulla Ferrari 156 consente di aumentare la potenza da 180 a 185 CV. Nello stesso tempo viene sviluppato un altro propulsore con l’aiuto di Mauro Forghieri: un altro 1.5 V6 con angolo di 120° più leggero e più potente (190 CV). Il caratteristico frontale “shark nose” (a muso di squalo) della monoposto emiliana è composto da due enormi prese d’aria che hanno il compito di raffreddare il radiatore, montato in posizione anteriore.1961La 156 debutta in gara il 14 maggio 1961 al GP di Monaco e occupa due gradini del podio con due piloti statunitensi: Richie Ginther (2°) e Phil Hill (3°). Il primo successo arriva una settimana dopo in Olanda con il tedesco Wolfgang von Trips (trionfatore anche in Gran Bretagna e deceduto a Monza) mentre è Hill a conquistare il Mondiale Piloti grazie a due vittorie in Belgio e in Italia. Degno di nota anche l’exploit di Giancarlo Baghetti, sul gradino più alto del podio in Francia nel suo primo GP disputato. Grazie a questi risultati la Ferrari conquista il primo Mondiale Costruttori della sua storia.1962Lo sviluppo della 156 subisce un brusco arresto quando Carlo Chiti abbandona la Ferrari per fondare la ATS. La monoposto porta al debutto un nuovo cambio a sei marce anziché cinque ma non riesce ad essere competitiva come l’anno precedente: nessuna vittoria e solo quattro podi. Il miglior piazzamento arriva da Hill, secondo a Monte Carlo.1963Nonostante l’età “avanzata” la monoposto del Cavallino si rivela più convincente rispetto alla stagione precedente: i podi totali sono solo tre ma arriva una vittoria con John Surtees in Germania.1964Nell’ultimo anno di attività la Ferrari 156 continua a stupire con Lorenzo Bandini, terzo in Austria e sul gradino più alto del podio in Austria. Grazie anche a questi risultati arriva il secondo Mondiale Costruttori per la Rossa.

Fonte

AMC Pacer (1975): una compatta per gli USA

La AMC Pacer, nata nel 1975, è una delle auto più controverse mai realizzate negli USA. Questa vettura, che tentò di convertire gli automobilisti “yankee” alle compatte, era ricca di spunti interessanti ma anche piena di difetti. Molti la considerano un “bidone” – un equivalente a stelle e strisce della nostra Fiat Duna – ma chi ha avuto modo di possederla e di guidarla la rimpiange. Scopriamo insieme la storia di questo modello, facilmente rintracciabile oltreoceano e con quotazioni tutt’altro che elevate: 5.000 euro.AMC Pacer (1975): la storiaIl progetto della Pacer – presentata nel 1975 – vede la luce nel 1971 quando la dirigenza AMC (marchio scomparso alla fine degli anni Ottanta), “fiutando” il possibile incremento dei prezzi dei carburanti, decide di realizzare una compatta a trazione posteriore in grado di soddisfare le esigenze di spazio della clientela statunitense.Il modello viene quindi disegnato partendo dall’abitacolo – ampio quanto quello di una berlina tradizionale, questo spiega la larghezza di quasi due metri – e riducendo il più possibile gli ingombri esterni. Il risultato? Una “segmento C” a tre porte (due più portellone) lunga meno di quattro metri e mezzo contraddistinta da uno stile originale, specialmente nella zona posteriore (dove spicca un enorme parabrezza). Per agevolare l’accesso ai sedili posteriori la portiera del lato passeggero è oltretutto più lunga di 10 centimetri di quella destinata al guidatore mentre il bagagliaio potrebbe essere più capiente.Comoda nei lunghi viaggi come solo le auto americane sanno essere, la AMC Pacer offre anche un piacere di guida superiore alle sue connazionali: merito soprattutto di uno sterzo decisamente più comunicativo di quello delle altre proposte realizzate negli USA in quegli anni. Poco convincente la qualità costruttiva: la plancia ha uno stile moderno ma presenta assemblaggi poco curati ed è difficile trovare esemplari con plastiche non rovinate dalla luce solare (abbondante considerando le ampie superfici vetrate).Nonostante le dimensioni esterne tutt’altro che ingombranti (fatta eccezione per la larghezza) la compatta a stelle e strisce è decisamente pesante: colpa dei motori dalla cubatura considerevole e di diversi accorgimenti adottati per migliorare la sicurezza come i paraurti voluminosi, i pannelli porta rinforzati e persino un roll-bar integrato.La gamma della AMC Pacer si allarga nel 1977 con l’arrivo di una più versatile variante station wagon (dal design più squadrato e più lunga di 13 centimetri) mentre l’anno successivo il frontale assume forme più tradizionali.La tecnicaLe ragioni del fallimento della AMC Pacer sono da ricercarsi soprattutto nella gamma motori: inizialmente progettata per accogliere un propulsore rotativo e successivamente ritrovatasi senza neanche la possibilità di poter adottare unità compatte General Motors, è obbligata ad accogliere al lancio un ingombrante 3.8 a sei cilindri in linea da 91 CV, tutt’altro che parco.Nel 1976 arriva un più prestante 4.2 – sempre a sei cilindri – da 112 CV mentre in occasione del restyling del 1978 – che porta un vano motore più ampio – si aggiunge un 5.0 V8.Le quotazioniLe quotazioni della AMC Pacer si aggirano intorno ai 5.000 euro e non è difficile trovare negli USA modelli disponibili a queste cifre. La compatta “yankee” rappresenta, nel bene e nel male, un pezzo di storia dell’automobilismo americano: ha dimostrato agli statunitensi che non è necessario avere un’auto grande per stare comodi e solo l’avvento delle più parche rivali giapponesi ha causato la sua fine.

Fonte