Monthly Archives: Agosto 2014
Incidenti d’estate: e se li evitassimo, invece di piangerne le vittime?
Nonostante la pioggia, e il freddo, e il vento, e le "bombe d’acqua" (come si divertono a titolare i quotidiani e i telegiornali in questi giorni), l’estate è arrivata.Ed è arrivata da un po’, per quanto le televisioni abbiano avuto poche possibilità di parlare degli anziani nei centri commerciali e delle spiagge troppo care.Con l’estate sono arrivati anche i grandi viaggi in autostrada, e le serate fra amici a divertirsi. E di conseguenza, i tanti incidenti mortali che finiscono per rovinare la vacanza (e non solo) a chi ne è vittima e a chi rimane.Incidenti stradali: un’estate nera?Partiamo da un dato positivo: nel 2013, il numero di incidenti con lesioni (mortali e non) avvenuti in strada è calato del 2,4% rispetto al 2012.Lo dicono i dati ISTAT, in base a uno studio preliminare uscito lo scorso giugno: una stima di 182.700 incidenti in tutta Italia, contro i 186.726 del 2012. Anche i morti sono diminuiti: solo 3.400 contri i 3653 dell’anno precedente.Sono comunque 3.400 morti di troppo.E molti di questi incidenti avvengono durante le vacanze, invernali ed estive. Bollino nero, non solo per il traffico.Come andrà in questo 2014? Dipende da noi: il periodo caldo estivo è alle porte, i lunghi viaggi per raggiungere le mete vacanziere sono già iniziati e toccheranno il culmine nel prossimo week-end, con il Ferragosto alle porte.Dieci cose che dovremmo smettere di dire quando siamo in auto"Dietro le cinture di sicurezza non servono"Noi italiani, si sa, siamo un po’ refrattari alle cinture di sicurezza. Per qualche strano motivo le troviamo una costrizione intollerabile, anziché un sistema che ci salva la vita.Ma se ci a forza di controlli e multe ci siamo adattati all’esistenza di quelle anteriori, facciamo ancora parecchio fatica a capire che le cinturezza di sicurezza servono anche dietro. Non solo con i bambini piccoli.E se cominciassimo a usarle? -"Tranquillo, sono sobrio, riesco a guidare benissimo"È facile perdere il controllo quando si è fra amici e si beve una birra di troppo.Negli ultimi anni, soprattutto i più giovani, hanno imparato la lezione. Siamo più consapevoli e sappiamo bene quali rischi corriamo a guidare da ubriachi.I riflessi rallentano, diventa più difficile mantenere la propria corsia e valutare tempi e rischi.Ciò nonostante c’è ancora tanta gente che sottovaluta il problema. Quante volte abbiamo detto – o abbiamo sentito i nostri amici dire – "sono sobrio" anche quando evidentemente non lo eravamo poi tanto?Ecco, è il momento di diventare molto più rigidi sull’argomento: chi guida non beve, punto. E dovremmo anche impare a dire "no" ad amici e parenti, quando sbagliano. -"Sono un esperto nel mandare messaggi mentre guido"No, non sei un esperto. Al massimo sei fortunato. Più che altro sei stupido.Quello del"text while driving"sta diventando un problema serio, nei paesi anglosassoni e non solo: ormai siamo sempre connessi, e siamo abituati a condividere i nostri pensieri e le nostre foto su Facebook o su Twitter in ogni momento della nostra giornata. Ma dobbiamo farlo proprio mentre guidiamo?Pensate alla storia della 32enne americana che – pochi mesi fa – è morta a causa di un incidente stradale pochi secondi dopo aver postato una selfie su Facebook.Vi credete più intelligenti di lei? Ecco: allora non usate il cellulare alla guida. -"Sono già al limite massimo di velocità, perché dovrei stare a destra?"fgfgfgf"No che non sono troppo attaccato alla macchina davanti, e poi i freni funzionano" -"Vado troppo veloce? Tanto ‘sta strada la conosco…" -"Ma sì che faccio in tempo a superare prima della curva" -"Tanto a quest’ora non c’è mai nessuno per strada" -"Sono cinque minuti di strada, devo solo andare a prendere il pane" -"Vabbè, il tagliando lo faccio dopo le vacanze" –
Promozioni auto agosto 2014: le occasioni del mese
Ad agosto 2014 le promozioni auto non vanno in vacanza, anzi. Questo mese abbiamo trovato sconti molto interessanti anche sui modelli più amati dagli automobilisti italiani.Le proposte più "succose" che troverete nei paragrafi seguenti riguardano soprattutto veicoli giapponesi appartenenti ai segmenti delle piccole e delle SUV. Non mancano, tuttavia, mezzi di altre nazioni e di altre categorie. Scopriamoli insieme.Abarth 500La Abarth 500 con il cambio Competizione costa ufficialmente 19.900 euro ma grazie alle offerte della Casa torinese è possibile acquistarla con 17.800 euro. Questa promozione è valida in caso di permuta o rottamazione ed è abbinabile alla formula Abarth 50+GO (TAN fisso 0%, TAEG 1,73%): anticipo di 8.584,33 euro e rata finale residua di 9.215,67 euro.Ford C-Max3.750 euro: è questo lo sconto previsto, a fronte di rottamazione o permuta di una vettura immatricolata entro il 31/12/2008 e posseduta da almeno sei mesi, per la Ford C-Max 1.0 Ecoboost 125 CV. Il finanziamento abbinato (TAN 2,95%, TAEG 4,17% e zero anticipo) è composto da 36 rate da 278,67 euro e da una quota finale di 8.917,50 euro.Honda JazzFino a fine settembre sarà possibile comprare la Honda Jazz 1.2 Trend con 11.250 euro anziché 14.100. La piccola giapponese è acquistabile anche a rate (TAN fisso 6,90%, TAEG 9,60%): anticipo di 3.060 euro, 36 quote mensili da 149 euro e un versamento finale di 4.900 euro.Kia SportageBastano 17.750 euro (invece di 20.250 euro) per portarsi a casa la Kia Sportage “base” (la 1.6 GDI Active). il finanziamento (TAN fisso 3,90%, TAEG 5,84%) prevede un anticipo di 4.945 euro, 23 rate mensili di 169 euro e una maxiquota finale di 10.125 euro.Mitsubishi Space Star2.540 euro di sconto incondizionato Mitsubishi e 1.660 di incentivi statali fino ad esaurimento dei fondi: è questa la ricca offerta – valida fino alla fine di settembre – prevista per chi acquista una Space Star GPL Invite, il cui listino recita 13.150 euro.Nissan QashqaiAnche la Nissan Qashqai, la SUV più amata dagli italiani, è in offerta (a fronte del ritiro, in permuta o rottamazione, di un veicolo di proprietà da almeno sei mesi): gli esemplari in stock della versione “entry-level” 1.2 DIG-T Visia costano infatti 18.500 euro anziché 20.300. Ma non è tutto: c’è anche un finanziamento (TAN fisso 4,99%, TAEG 6,50%) composto da un anticipo di 5.390 euro, da 36 rate da 220 euro (comprensive, in caso di adesione, di finanziamento protetto e due anni di assicurazione furto e incendio con valore a nuovo a 599 euro) e da una maxirata finale di 8.120 euro.Peugeot 2008Tempo di offerte anche per la Peugeot 2008: la variante 1.6 e-HDi 92 CV Allure impreziosita dai cerchi in lega da 17”, dal Grip Control e dal navigatore costa ufficialmente 22.200 euro ma fino a fine mese – in caso di rottamazione di vetture immatricolate ante 2005 intestate al proprietario da almeno sei mesi – sono sufficienti 19.000 euro per acquistarla. Il finanziamento abbinato (TAN fisso 4,75%, TAEG 6,59%) prevede un anticipo di 7.810 euro, 59 rate mensili da 199 euro e una maxirata finale da 3.785 euro.Renault ClioIn caso di ritiro di un usato con immatricolazione antecedente al 31/12/2004 o da rottamare e di proprietà del cliente da almeno sei mesi si può comprare la Renault Clio più accessibile, la 1.2 Wave, con 9.450 euro anziché 13.600. L’offerta è valida solo in caso di apertura di un finanziamento (TAN fisso 5,99%, TAEG 9,15%): 1.450 euro di anticipo e 48 rate da 198,69 euro (comprensive di finanziamento protetto e Pack Service a 1 euro con tre anni di assicurazione furto incendio).Subaru BRZProseguirà fino al 20 settembre lo sconto di 2.500 euro (da 30.150 a 27.650 euro) sulla Subaru BRZ. La promozione è valida solo per gli esemplari disponibili in stock.Volvo V70Difficile trovare uno sconto più corposo di quello offerto dalla Volvo sulla V70 D2 Polar: fino a fine mese la grande station wagon scandinava costa infatti 29.950 euro. Il listino ufficiale recita 39.400 euro…
Mercedes C63 AMG by Mcchip-dkr
Il preparatore Mcchip-dkr ha rilasciato un esteso programma di modifiche aftermarket dedicato alla berlina cattiva di Casa Mercedes Benz, la C63 AMG. In realtà si tratta del secondo tuning dedicato a questa gamma (che ha ormai lasciato il posto alla nuova generazione), ma questo supera di gran lunga quello visto lo scorso anno.La priorità su questo nuovo lavoro era una: spremere al massimo tutte le potenzialità del V8 aspirato da 6,3 litri che praticamente raddoppia la sua potenza… dai 463 CV iniziali, in seguito all’upgrade, la cavalleria schizza in alto fino a raggiungere la bellezza di 830 CV.La “magia” è stata resa possibile grazie all’installazione di un compressore tutto nuovo, grandi radiatori dell’olio e dell’acqua, con una pompa più grande per il sistema dell’aria.Inoltre questa Mercedes C63 AMG by Mcchip-dkr è stata dotata di un sistema di bloccaggio del differenziale Drexler per una trazione ancora più efficace. La Berlina dopata, inoltre, cavalca su cerchi OZ Racing Ultraleggera da 19 pollici.Altre chicche sono le sospensioni KW Clubsport, dischi freno ad alte prestazioni, nonché un estintore di sicurezza nel caso qualcosa vada storto…
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Aprilia Caponord 1200, il test sulle alpi francesi
Sportiva e turistica. Due anime, una moto sola: Aprilia Caponord 1200.L’abbiamo provata tra le meravigliose strade della Route Napoleon e della Route de Gran Alpes, raggiungendo il Col de la Bonette (2.800 metri di altitudine). E ci siamo divertiti davvero tanto.Guarda chi si rivedeL’Aprilia Caponord 1200 l’abbiamo ritrovata così come l’avevamo lasciata in Sardegna diversi mesi fa, in occasione del lancio sul mercato italiano: in splendida forma e nell’allestimento Travel Pack (con ADD, ACC, Cruise Control, cavalletto centrale e valigie laterali) impreziosita però (nel 2014) dal nuovo scarico Arrow, che quando si spinge fa la voce grossa.Viene proposta sul mercato a 16.500 euro, mentre la variante base costa 14.100 euro (con sospensioni tradizionali e senza valigie)Il bicilindrico da 125 CV che sa far tuttoIl motore dell’Aprilia Caponord 1200 è sempre un poderoso bicilindrico a 90° da 125 CV a 8.250 giri/min e 11,7 kgm a 6.800 giri/min di coppia massima.Un propulsore perfetto per questo tipo di moto, capace di regalare emozioni se si va forte ma dotato di un’erogazione estremamente lineare e adatta anche alle classiche andature da passeggio, magari con passeggero e bagagli.Aprilia – che è stata la prima a credere nel Ride by Wire introducendolo su Shiver 750 già nel 2007 – ha dotato la Caponord 1200 di tre mappe proprio per consentire al pilota di regolare l’erogazione della potenza in funzione al tipo di guida e condizioni dell’asfalto: in Sport apertura decisa, in Touring più docile e in Rain – che abbiamo avuto modo di testare in condizioni quasi estreme – dolcissima con un taglio anche sulla potenza complessiva (100 CV). Sospensioni semiattive ADD, che meravigliaMa la vera novità e ciò che lascia esterrefatti – ancora una volta, ed è quello il bello – è il funzionamento del nuovissimo sistema dinamico di sospensioni semiattive (Aprilia Dynamic Damping) sviluppato da Aprilia e coperto da quattro brevetti.Come funziona? Il sistema ADD misura l’energia trasmessa al veicolo dalle asperità dell’asfalto e adegua, in tempo reale, la taratura dell’idraulica di forcella e ammortizzatore per minimizzare le accelerazioni sul telaio e quindi massimizzare il comfort.E non solo: il sistema riconosce anche le fasi di guida (accelerazione, rilascio del gas, frenata, gas costante) e adatta il setting di base di forcella e ammortizzatore.Che su strada si traduce in: se voglio andar forte mi basta spingere e la moto si "trasformerà" in una sportiva, senza la necessità di dover regolare manualmente la taratura di forcella e mono; e se dopo 10 minuti voglio rallentare e passeggiare, basterà ridurre andatura e violenza delle staccate e la Aprilia Caponord 1200 si adeguerà di conseguenza al nuovo ritmo, offrendo un livello di comfort elevatissimo su qualsiasi tipo di strada.Insomma, non c’è settaggio da impostare o cambiare: lo farà la moto per voi. Niente chiavi e cacciaviti da portarsi dietro. E il divertimento, cari smanettoni, è assicurato davvero. Fidatevi.Aprilia Multimedia PlatformAprilia Caponord 1200 può essere equipaggiata (in opzione al costo di 190 euro) con l’Aprilia Multimedia Platform (AMP), software installato sulla moto capace di dialogare via Bluetooth allo smartphone da poter fissare attraverso uno specifico supporto sul manubrio.L’AMP fornisce allo smartphone in tempo reale una serie di interessanti informazioni, come i dati sul consumo medio, la potenza erogata, l’angolo di piega e ovviamente il percorso e le mappe grazie all’utilizzo del GPS.
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L’auto che non c’è (più)
Le auto d’epoca non hanno solo il compito di ricordarci il passato ma possono esserci utili per comprendere il futuro di un marchio. Analizzando la gamma attuale di dieci importanti brand e confrontandola con le vetture presenti in listino negli scorsi anni abbiamo notato numerose assenze: segmenti prima coperti e ora abbandonati che non ci dispiacerebbe rivedere.Non è un caso che in questo elenco manchino le Case tedesche “premium”: se sono riuscite ad affrontare la crisi e a superarla senza strascichi è stato anche grazie ad un’offerta completa di modelli in grado di soddisfare qualsiasi esigenza. Di seguito troverete invece esempi di aziende a cui manca una vettura “chiave”.Alfa RomeoDa anni si parla di una SUV Alfa Romeo ma, salvo una concept mostrata nel lontano 2003, non si è mai visto finora niente di concreto. E pensare che all’inizio degli anni Cinquanta il Biscione si cimentò nel segmento delle fuoristrada con la Matta: una 4×4 adatta ai percorsi più duri basata sul pianale della Jeep. A quando un nuovo incontro tra questi due brand? In fondo ora fanno parte della stessa famiglia…CitroënApprezziamo il fatto che la Citroën abbia deciso di riproporre il nome DS per ribattezzare modelli esclusivi. Ora resta solo da creare una rivisitazione in chiave moderna di una delle ammiraglie più seducenti di sempre.FiatLa gamma delle vetture tradizionali Fiat oggi si ferma alla Bravo: chi vuole un mezzo più spazioso deve necessariamente puntare sulle monovolume o sulle SUV. Molti, però, rimpiangono le vecche berline della Casa torinese: dalla 131 alla Marea passando per la Regata e la Tempra.FordUna piccola coupé – erede della Ford Puma – realizzata sullo stesso pianale della Fiesta ridarrebbe vita al segmento delle piccole sportive, molto in voga negli anni ’90.LanciaCerchiamo di essere realisti: nei prossimi anni la Lancia opererà solo in Italia e venderà esclusivamente Ypsilon. Inutile, quindi, sognare sportive grintose ed eleganti che non vedremo mai. Voliamo basso, quindi: una berlina su pianale Delta allungato (naturalmente disponibile anche station wagon, segmento inspiegabilmente abbandonato dal Gruppo Fiat) – erede di Dedra e Lybra – non sarebbe una cattiva idea.NissanCon il lancio della compatta Pulsar la Nissan ha dimostrato al mondo di voler puntare nuovamente sulle auto “normali” dopo averci riempiti di SUV e crossover. Il passo successivo potrebbe essere quello di sfruttare un pianale del “segmento D” per realizzare una nuova Primera, berlina abbandonata nel 2008.OpelLa Opel Insignia ha un buon pianale e un design sportivo. Basterebbe, a nostro avviso, davvero poco per realizzare su questa base una grande coupé a due porte in grado di ripercorrere le orme della Calibra.PeugeotCosì come le Case italiane hanno dimenticato le station wagon quelle francesi hanno smesso di produrre ammiraglie. In questi ultimi anni la Peugeot – con la 308 e la 508 – ha dimostrato di poter competere ad armi pari con le tedesche. Sarebbe un’ottima mossa – a nostro avviso – riprendere il discorso della 607, un’auto tanto valida quanto sottovalutata: contribuirebbe secondo noi a migliorare ulteriormente l’immagine del brand.RenaultStesso discorso per la Renault. Manca una vettura di rappresentanza transalpina: non è possibile che il presidente francese debba viaggiare su un’auto come la Citroën DS5, ottima ma pur sempre lunga solo quattro metri e mezzo. La Latitude – non commercializzata nel nostro Paese – non basta, anche perché è assemblata in Corea. Ci vuole un modello più raffinato, che simboleggi la “grandeur”: una berlinona a cinque porte simile nell’impostazione alla 25 e alla Safrane.ToyotaL’auto che vorremmo nel listino della Toyota? Una spider a trazione posteriore erede della MR2. Non sarebbe una cattiva idea riproporre il motore centrale ma in tempi di crisi ci accontentiamo del pianale della GT86.
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Classe V e Viano, la storia delle grandi monovolume Mercedes
Da diciott’anni le grandi monovolume Mercedes classe V e Viano soddisfano le esigenze di padri di famiglia che cercano spazio ma non possono rinunciare all’eleganza. L’ultima proposta del marchio della Stella, la seconda generazione della “V” (disponibile a trazione posteriore o integrale), è in commercio dal 2014: spaziosissima, raffinata e ricca di tecnologia, ha una gamma motori che comprende un 2.1 turbodiesel in tre configurazioni di potenza (136, 163 e 190 CV). Scopriamo insieme la storia delle ingombranti MPV della Casa tedesca, l’unico marchio “premium” (insieme a Lancia) a puntare su questo segmento.Mercedes classe V prima generazione (1996)La prima generazione della classe V rappresenta il debutto della Mercedes nel segmento delle grandi monovolume. Realizzata sulla stessa base – a trazione anteriore – del veicolo commerciale Vito, ha una gamma motori al lancio composta da tre unità: due a benzina (2.0 da 129 CV e 2.3 da 143 CV) e un 2.3 turbodiesel da 72 CV.Nel 1998 debutta un 2.8 a benzina da 174 CV mentre l’anno seguente è la volta di un 2.2 a gasolio da 122 CV. Il diesel “base” abbandona le scene nel 2000 mentre il 2.0 e il 2.8 a ciclo Otto lasciano i listini due anni dopo.Mercedes Viano (2004)La Mercedes Viano si distingue dall’antenata per le forme più arrotondate, per le dimensioni esterne più ingombranti e per la possibilità di accogliere fino a otto passeggeri. Senza dimenticare la trazione posteriore.La versione pre-restyling – in commercio fino al 2010 – ha una gamma motori molto ricca che comprende quattro unità V6 a benzina (3.0 da 190 CV, 3.2 da 218 CV, 3.7 da 231 CV e 3.5 da 258 CV) e quattro turbodiesel CDI (2.2 da 109, 116 e 150 CV e 3.0 V6 da 204 CV).La Mercedes Viano beneficia di un profondo lifting nel 2010, che porta un frontale più elegante, una plancia più raffinata e un comfort migliorato (grazie anche alla riprogettazione delle sospensioni). Tre propulsori – tutti CDI a gasolio – in gamma (2.2 da 136 e 183 CV e 3.0 V6 da 224 CV), rimpiazzati nel 2013 da un 2.2 da 163 CV e da un tre litri da 224 CV, affiancato da altre due unità V6 a ciclo Otto (3.2 da 190 CV e 3.5 da 258 CV).
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Robert Bamford, il cofondatore dell’Aston Martin
All’inizio del XX secolo Robert Bamford contribuì, insieme a Lionel Martin, a fondare l’Aston Martin. Scopriamo insieme la storia di questo ingegnere britannico, creatore di uno dei marchi europei più blasonati.Robert Bamford, la storiaRobert Bamford nasce nel 1883 a Lamarsh (Regno Unito). Figlio di un reverendo anglicano e fratello maggiore di Edward Bamford (che diventerà un eroe di guerra durante il primo conflitto mondiale), inizia fin da giovane a mostrare interesse per il mondo della meccanica.L’Aston MartinIl 15 gennaio 1913 Robert crea a Londra insieme al pilota Lionel Martin la Bamford & Martin, una concessionaria di automobili Singer dotata anche di officina. L’anno seguente i due creano un prototipo destinato alle corse dotato di telaio Isotta Fraschini e di un motore Coventry: al volante di questo veicolo Lionel conquista la cronoscalata Londra-Aston Clinton e per questo motivo viene deciso di usare il nome Aston Martin per battezzare il neonato brand.La prima vettura della Casa “british”, la Coal Scuttle, vede la luce nel 1915: si tratta di una scoperta biposto dotata di un propulsore 1.4 a quattro cilindri. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, però, blocca tutte le attività dei due imprenditori e i loro macchinari vengono requisiti dal governo per essere destinati a scopi bellici.L’addioIl conflitto lascia cicatrici profonde nell’Aston Martin: la crisi economica impedisce di trovare i fondi necessari per investire in nuovi modelli e per questa ragione Robert Bamford decide di abbandonare l’attività nel 1920. Scompare nel 1942.
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Alpine A110: la prima regina dei rally
La Alpine A110 è una delle auto da rally più famose: ha conquistato il primo Mondiale WRC di sempre (nel 1973) ma ha anche ottenuto altre vittorie prima e dopo questo trionfo. Scopriamo insieme la sua storia.Alpine A110: la storiaLa versione di serie della Alpine A110 nasce nel 1961 per rimpiazzare la A108: contraddistinta, come l’antenata, da un design seducente e aggressivo (in particolar modo nel frontale), condivide numerosi elementi meccanici con la Renault 8.Estremamente leggera (merito della carrozzeria in vetroresina) e quindi agilissima nelle curve lente, non è molto facile da guidare per via della configurazione “tutto dietro” (motore e trazione). Solo i piloti più talentuosi a partire dal 1964 (anno del debutto nelle corse) riescono ad ottenere il meglio da lei, soprattutto nelle gare su asfalto (ma non solo).Il primo motore montato dalle Alpine A110 da gara è un 1.1 da 60 CV (successivamente portati a 86) derivato da quello della Renault 8 Major mentre nel 1968 debuttano i 1.3 e i 1.4 (con potenze fino a 110 CV). Due anni più tardi è la volta delle mitiche 1.6 (propulsore derivato da quello della Renault 16 con potenze fino a 155 CV), leggermente più pesanti e con il radiatore spostato nella parte anteriore.Nel 1973 – anno in cui la Casa transalpina viene acquistata dalla Renault, che incrementa il budget destinato al motorsport – vengono lanciate le versioni 1800 (175 CV), destinate esclusivamente alle corse e anticipate da alcuni prototipi 1.860 portati in gara l’anno prima.1964La Alpine A110 debutta in gara al Tour de Corse con il pilota francese Roger de Lageneste, che taglia il traguardo in settima posizione.1965L’anno del primo podio in un rally, ottenuto dal belga (nato in Italia) Mauro Bianchi (secondo, sempre in Corsica).1968Dopo un paio d’anni privi di risultati rilevanti arrivano i primi successi per la Alpine A110: il driver transalpino Jean Vinatier sale sul gradino più alto del podio al Rally Vltava (Cecoslovacchia) e alla Coppa delle Alpi. Jean-Claude Andruet conquista invece il Tour de Corse e diventa campione di Francia.1969Vinatier diventa campione francese grazie a due vittorie: Lione-Charbonnières e Coppa delle Alpi.1970Le Alpine A110, grazie al nuovo motore 1.6, iniziano a dominare nei rally. Jean Claude Andruet diventa campione europeo, Jean-Luc Thérier vince il Sanremo e l’Acropoli mentre Bernard Darniche trionfa al Tour de Corse.1971La Casa francese conquista il Campionato Internazionale Costruttori (antesignano del WRC) grazie a cinque vittorie: quattro ottenute dallo svedese Ove Andersson, ex Ford (Monte Carlo, Sanremo, Austria e Acropoli) e una di Darniche alla Coppa delle Alpi. Da non sottovalutare, inoltre, il ruolo di Jean-Pierre Nicolas: campione transalpino e vincitore del Rally di Ginevra e della Lione-Charbonnières (quest’ultima conquistata al volante di un prototipo dotato di un propulsore 1.860).1972Nessun successo rilevante ma tanti trionfi minori per la Alpine A110: il prototipo 1.860 (questa volta guidato da Andruet, sul gradino più alto del podio anche al Tour de Corse) vince nuovamente la Lione-Charbonnières, Nicolas conquista l’Olympia Rally in Germania e un esemplare con compressore condotto da Thérier prevale al Criterium des Cévennes.1973L’anno più importante per la sportiva transalpina si conclude con la conquista del primo Mondiale Rally della storia: la stagione si apre con una tripletta a Monte Carlo (Andruet, Andersson e Nicolas) e prosegue con i tre successi di Thérier (Portogallo, Acropoli e Sanremo), diventato oltretutto campione di Francia, e con Darniche davanti a tutti in Marocco. L’annata si chiude come si era aperta, con una tripletta: al Tour de Corse il podio è occupato da Nicolas, Jean-François Piot e Thérier.1974L’unico podio iridato per la Alpine A110 arriva al Tour de Corse grazie al secondo posto di Nicolas, vincitore però in Marocco.1975I migliori piazzamenti nel Mondiale rally sono due secondi posti conquistati dal greco “Siroco” Livieratos all’Acropoli e da Nicolas in Corsica. Nello stesso anno Jacques Henry si aggiudica il titolo francese.1976Nella sua ultima stagione importante la Alpine A110 abbandona le scene con un altro secondo posto, ottenuto sempre dall’ellenico “Siroco” nella gara di casa.
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BMW, la storia a quattro ruote della Casa bavarese
La BMW è la Casa automobilistica “premium” più amata nel mondo (almeno stando ai dati delle immatricolazioni relativi all’anno 2013). In 85 anni di carriera con le quattro ruote il marchio tedesco (fondato ufficialmente nel 1916 ma impegnato nella produzione di vetture dal 1929) ha saputo unire sportività e prestigio realizzando prodotti di qualità e ottenendo numerose vittorie sportive. Scopriamo insieme la sua storia.BMW: la storia a quattro ruoteLa BMW inizia a produrre motori aeronautici e motociclette e decide di ampliare il proprio business con l’assemblaggio di automobili alla fine degli anni Venti. Nel 1928 la Casa bavarese acquista il brand Dixi e l’anno seguente inizia a commercializzare con il proprio marchio l’unico modello realizzato da questa azienda: una Austin 7 assemblata su licenza ribattezzata 3/15.La vettura – dotata di un motore 750 a quattro cilindri in linea in grado di generare una potenza di 15 CV – è lunga solo tre metri e conquista numerosi clienti che cercano un mezzo dal prezzo non troppo elevato.Gli anni TrentaIn seguito alla scadenza del contratto con la Austin nel 1932 la BMW lancia il suo primo modello “fatto in casa”: la 3/20 – disponibile anche scoperta – è più grande dell’antenata e monta un motore 800 a quattro cilindri derivato da quello della Seven. L’anno seguente debutta la più elegante 303, la prima sei cilindri del marchio tedesco nonché la prima a poter vantare la mascherina con il “doppio rene”.Il 1936 è un anno importante per il brand teutonico: vedono infatti la luce la 326 (la prima dotata di porte posteriori) e, soprattutto, la sportiva 328, che tre anni più tardi conquista il rally RAC con il driver britannico Abiegeg Fane e nel 1940 si aggiudica la Mille Miglia con il pilota tedesco Huschke von Hanstein.La Seconda Guerra MondialeDurante la Seconda Guerra Mondiale la BMW si ritrova obbligata dal governo nazista ad abbandonare la produzione di auto (nel 1940) e di moto (nel 1942) per concentrarsi sui motori aeronautici, costruiti sfruttando spesso come manodopera i prigionieri dei campi di concentramento.Il dopoguerraAl termine del conflitto lo stabilimento di Monaco viene requisito dagli Alleati mentre le tre fabbriche situate nella parte orientale della Germania finiscono nelle mani dei sovietici. Dal 1946 al 1951 dall’impianto di Eisenach (Germania Est) escono modelli marchiati BMW basati su vetture costruite prima della guerra, oltre questa data – in seguito ad una battaglia legale vinta dalla BMW di Monaco, nuovamente autorizzata dal governo statunitense a produrre automobili e unica depositaria del marchio originale – vengono ribattezzati EMW.Gli anni CinquantaL’elegante berlina 501, svelata al Salone di Francoforte del 1951 e commercializzata dal 1952 – è la prima “vera” BMW del dopoguerra. Disponibile anche nelle varianti coupé e cabriolet, ha una gamma motori composta da due unità a sei cilindri (2.0 e 2.1) e da un 2.6 V8.Nella seconda metà del decennio debuttano due modelli molto diversi: nel 1955 tocca alla piccolissima Isetta (antesignana della Smart e variante rivista nella meccanica, ma non nel design, della citycar creata dalla Casa lombarda Iso) mentre l’anno successivo tocca alla spider 507, considerata ancora oggi una delle vetture tedesche più belle della storia.Tempi di crisiAlla fine degli anni Cinquanta la BMW è in crisi profonda (l’unico modello di successo, la Isetta, non genera profitti) e si pensa addirittura alla fusione dell’azienda con la Mercedes. La situazione cambia, in meglio, quando la famiglia Quandt (ancora oggi proprietaria della Casa bavarese) prende possesso della società, non senza rischi.Aria di ripresaNel giro di pochi anni il brand tedesco si riprende: nel 1961 vede la luce la 1500, nel 1963 vengono pagati (per la prima volta dal secondo dopoguerra) i dividendi agli azionisti e nel 1966 acquista il marchio Glas. Questa operazione finanziaria consente alla BMW di avere accesso ai brevetti di questa casa automobilistica e, soprattutto, allo stabilimento di Dingolfing (attualmente il più grande tra tutti quelli del colosso bavarese).Gli anni SettantaImpossibile parlare degli anni Settanta in BMW senza nominare Eberhard von Kuenheim: quest’uomo, nominato amministratore delegato nel 1970, trasforma in breve tempo la Casa tedesca in un’azienda globale e sotto la sua direzione nascono modelli destinati ad ottenere un grandissimo successo: la serie 5 (1972), la serie 3 (1975), la serie 6 (1976) e la serie 7 (1977).Nella seconda metà del decennio arriva la prima vittoria sportiva rilevante: nel 1976 una 3.0 CSL guidata dai britannici John Fitzpatrick e Brian Redman e dallo statunitense Peter Gregg conquista la 24 Ore di Daytona.Gli anni Ottanta e NovantaNegli anni Ottanta la BMW rafforza il proprio DNA sportivo attraverso il lancio di modelli focalizzati sul piacere di guida e porta a casa parecchi successi. Nel 1983 il pilota brasiliano Nelson Piquet diventa Campione del Mondo di F1 con una Brabham dotata di un propulsore bavarese mentre due anni più tardi nascono due vetture destinate alla grandezza: la M3 e la M5.La versione più cattiva della serie 3 conquista immediatamente gli automobilisti alla ricerca di un mezzo sportivo utilizzabile tutti i giorni e domina nel motorsport, specialmente tra le vetture Turismo: nel 1987 il nostro Roberto Ravaglia si aggiudica il campionato del mondo, il belga Eric van de Poele conquista il titolo tedesco DTM e il francese Bernard Béguin trionfa nei rally salendo sul gradino più alto del podio al Tour de Corse. Degno di nota anche il campionato DTM portato a casa da Ravaglia nel 1989.Nei primi anni del decennio successivo arrivano due titoli britannici per la BMW, sempre nella categoria Turismo BTCC (1991 e 1993). La più grande soddisfazione “racing” di questo periodo risale però al 1999 con il trionfo alla 24 Ore di Le Mans della V12 LMR (realizzata in collaborazione con la Williams) guidata dal francese Yannick Dalmas, dal nostro Pierluigi Martini e dal tedesco Joachim Winkelhock.Per quanto riguarda la produzione di serie della Casa tedesca negli anni Novanta segnaliamo l’acquisto del gruppo Rover nel 1994 (ceduto nel 2000 – conservando solamente il redditizio brand Mini – dopo sei anni poveri di soddisfazioni) e il lancio di tre modelli particolarmente rilevanti: le spider Z3 (1996) e Z8 (1999) e, sempre nel 1999, la X5.Il presenteL’inizio del terzo millennio per la BMW coincide con il debutto dei primi modelli disegnati da Chris Bangle: lo stile del designer americano contribuisce a svecchiare il marchio e ad incrementare le immatricolazioni ma non tutti apprezzano le forme di alcune vetture. Una su tutte l’ammiraglia serie 7 E65 del 2001.Nel 2002 il marchio Rolls-Royce entra a fare parte della famiglia mentre nella seconda metà del decennio la dirigenza decide di tornare nuovamente nel mondo del motorsport. Dal 2006 al 2010 la Casa bavarese gareggia in F1 come costruttore con il nome BMW Sauber (in seguito all’acquisizione della scuderia elvetica) e tra il 2005 e il 2007 arrivano ben sei Mondiali Turismo WTCC (tre Piloti e tre Marche) con una 320 guidata dal britannico Andy Priaulx.Gli ultimi anni sono caratterizzati da pochi trionfi sportivi (il canadese Bruno Spengler vincitore del campionato turismo tedesco DTM nel 2012 con una M3) e da tanta ricerca ingegneristica: nel 2013 debutta la piccola elettrica i3 mentre l’anno successivo è la volta della supercar ibrida plug-in i8.
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Subaru Outback (1999): station wagon o SUV?
La Subaru Outback è una station wagon rialzata o una SUV più bassa delle rivali? A quindici anni dal debutto sul mercato della prima generazione – nel 1999 – è ancora difficile dare una risposta definitiva. La prima serie della familiare nipponica a trazione integrale si trova senza problemi a circa 2.000 euro ed è un mezzo perfetto per chi cerca un veicolo affidabile e robusto.Subaru Outback (1999): le caratteristiche principaliLa Subaru Legacy Outback (questo il nome ufficiale al lancio) non è altro che una variante della Legacy station wagon contraddistinta dall’assetto rialzato e da un aspetto più rustico ottenuto grazie alla presenza di protezioni in plastica grezza. Debutta ufficialmente nei listini italiani nel 1999, cambia nome in Outback due anni più tardi e abbandona le scene intorno alla fine del 2003 per lasciare spazio alla seconda generazione.Caratterizzata da uno stile moderno ancora oggi gradevole, è ricca di punti di forza (affidabilità del motore e delle altre componenti meccaniche in primis) ma non mancano i lati negativi: la plancia è realizzata con plastiche rigide – però robuste e ottimamente assemblate – e in caso di guasti non è facile trovare un’officina in grado di metterci le mani che sia anche economica.La tecnicaIl motore al lancio della Subaru Legacy Outback è un 2.5 quattro cilindri boxer (cilindri contrapposti, una soluzione tecnica raffinata che consente di abbassare il baricentro) da 156 CV abbinato ad un cambio automatico a quattro rapporti. Alla fine del 2000 viene affiancato da un più potente 3.0 – sempre boxer e sempre con trasmissione automatica – a sei cilindri da 209 CV. Il cambio manuale viene introdotto nel 2001 ma solo sulle unità a quattro cilindri.Le quotazioniLa station wagon nipponica a trazione integrale non ha un futuro come auto d’epoca e per questo motivo le sue quotazioni, particolarmente basse (2.000 euro), non sono destinate a salire. Questa vettura ha comunque un discreto interesse storico visto che è la prima generazione di uno dei modelli più apprezzati della Casa delle Pleiadi.
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