Monthly Archives: Luglio 2014

Peugeot 205 Grand Raid, la regina della Dakar

Nella seconda metà degli anni ’80 la Peugeot 205 dominò il mondo delle corse: prima nei rally e successivamente alla Dakar con la versione Grand Raid. Scopriamo insieme questa particolare versione della piccola transalpina, capace di aggiudicarsi due edizioni della massacrante corsa africana.Peugeot 205 Grand Raid: la storiaLa Peugeot 205 Grand Raid nasce nel 1987 in seguito alla decisione presa dalla FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) l’anno prima di abolire le pericolose Gruppo B dal Mondiale Rally. Questa vettura, basata sulla T16 dominatrice del WRC nel 1985 e nel 1986, si differenzia per l’incremento delle dimensioni esterne e del passo (scelta adottata per migliorare la stabilità e per poter accogliere un serbatoio da 400 litri), per il telaio rinforzato e per il motore meno potente: un 1.9 da 300 CV.1987La prima vittoria in assoluto alla Dakar per la Casa del Leone arriva nel 1987 con il pilota finlandese Ari Vatanen, campione del mondo rally 1981 ma considerato da molti “finito” dopo un brutto incidente in Argentina nel 1985.1988La 205 Grand Raid non ha molte speranze di conquistare la seconda Dakar: la Peugeot intende infatti privilegiare la 405 T16 (realizzata sulla stessa base ma con una carrozzeria diversa) e lascia alla piccola del Leone il ruolo di comprimaria. La situazione, però, cambia al bivacco di Bamako: durante la notte la 405 viene… rubata (successivamente ritrovata ma non in tempo per arrivare puntuale alla partenza il giorno dopo) e questo intoppo permette alla piccola del Leone di ottenere il secondo successo consecutivo, questa volta con un altro driver finnico: Juha Kankkunen.

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Harley Earl, il più grande designer americano

Harley Earl è, senza ombra di dubbio, il più grande designer automobilistico americano di tutti i tempi. Ha inventato le concept car e le pinne posteriori e ha inoltre creato la prima Chevrolet Corvette. Scopriamo insieme la sua storia.Harley Earl: la biografiaHarley Earl nasce il 22 novembre 1893 a Hollywood (USA). Figlio di un produttore di carrozze (convertitosi successivamente alla realizzazione di componenti per automobili), inizia a lavorare nell’azienda del padre – la Earl – realizzando mezzi di locomozione per il mondo del cinema.Il salto di qualitàQuando la Earl viene acquistata da Don Lee – rivenditore Cadillac per la costa occidentale degli USA – Harley conserva il proprio ruolo di responsabile delle personalizzazioni delle carrozzerie. Lawrence Fisher, presidente del lussuoso marchio “yankee”, nota i suoi lavori e decide di affidargli lo stile del primo modello del più economico brand LaSalle.La vettura si rivela un successo e il presidente della General Motors Alfred Sloan decide di creare un centro stile interno e di affidarne la responsabiltà ad Harley Earl, che nel 1937 viene addirittura nominato vicepresidente del colosso statunitense.La prima concept carLa Buick Y-Job del 1939 – universalmente riconosciuta come prima concept car della storia – viene realizzata dal Centro Stile GM sotto la supervisione di Earl. Questa vettura è rivoluzionaria sotto molti aspetti (gruppi ottici a scomparsa e paraurti avvolgenti) ma la cosa più stupefacente è che le sue forme anticipano lo stile che sarà utilizzato da buona parte delle vetture statunitensi una decina d’anni più tardi.La guerra e il dopoguerraNel corso della Seconda Guerra Mondiale Harley Earl crea alla General Motors un reparto dedicato esclusivamente alla mimetizzazione dei veicoli militari. Nel dopoguerra – e più precisamente nel 1948 – rivoluziona il design automobilistico lanciando le pinne posteriori sulle Cadillac, una soluzione estetica inventata dal suo sottoposto Frank Hershey e ispirata all’aereo Lockheed P-38 Lightning.La Chevrolet Corvette e la pensioneL’ultimo capolavoro di Earl è la prima generazione della Chevrolet Corvette: una spider nata nel 1953 per contrastare le proposte europee (soprattutto inglesi) e diventata rapidamente un mito dell’automobilismo statunitense.Harley Earl va in pensione nel 1959 e scompare il 10 aprile del 1969 a West Palm Beach (USA) in seguito ad un infarto.

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Cadillac Eldorado, la storia della sportiva lussuosa statunitense

Per quasi mezzo secolo (49 anni per l’esattezza) la Cadillac Eldorado ha rappresentato il massimo dell’esclusivita “made in USA”. Sono ben undici le generazioni della sportiva statunitense, nota al grande pubblico per essere stata una delle tante auto possedute da Elvis Presley e per aver sempre montato solo motori V8. Scopriamo insieme la storia di questa vettura.Cadillac Eldorado prima generazione (1953)La prima generazione della Cadillac Eldorado viene prodotta in pochissimi esemplari (532) nel 1953. Disponibile esclusivamente cabriolet e con quattro colori, è lunghissima (5,61 metri) e monta un motore 5.4.Realizzata sulla stessa base della Series 62 Convertible, viene venduta al doppio del prezzo (7.750 dollari, per la prima serie della Chevrolet Corvette ne bastano 3.500) per via delle finiture più curate.Cadillac Eldorado seconda generazione (1954)Per risparmiare sui costi di produzione la seconda generazione della Eldorado  – mostrata nel 1954 – condivide la stessa carrozzeria con altri modelli Cadillac. La gamma motori comprende un 5.4 e un 6.0.L’anno successivo il design diventa più personale con l’introduzione di forme più squadrate (in un panorama automobilistico contraddistinto da linee curve), del parabrezza avvolgente e delle pinne posteriori – ispirate agli aerei e corredate da gruppi ottici simili a razzi – mentre nel 1956 è la volta della coupé Seville.Cadillac Eldorado terza generazione (1957)La terza generazione della Cadillac Eldorado nel 1957 si distingue dall’antenata nella zona posteriore, profondamente rivista. Disponibile nelle varianti scoperta e chiusa, monta un motore 6.0.La versione più nota di questa serie è senza dubbio la Brougham, ancora oggi considerata l’auto americana più raffinata di sempre: quattro porte senza montante centrale (con quelle posteriori ad apertura controvento), prezzo di oltre 13.000 dollari (più di una Rolls-Royce dell’epoca) e una dotazione di serie che comprende, tra le altre cose, le sospensioni pneumatiche e i sedili anteriori con memoria di posizione.Cadillac Eldorado quarta generazione (1959)Le Cadillac Eldorado appartenenti alla quarta generazione del 1959 sono note per essere quelle con le pinne posteriori più pronunciate. Disponibili – come sempre – nelle varianti hardtop e Convertible, montano un motore 6.4.Cadillac Eldorado quinta generazione (1961)In occasione della quinta generazione, lanciata nel 1961, la Eldorado viene commercializzata solo nella versione scoperta. Non troppo diversa dalla de Ville, monta un motore 6.4, rimpiazzato tre anni dopo da un 7.0.Cadillac Eldorado sesta generazione (1965)Una versione (Convertible) e un propulsore (7.0): è questa la sesta generazione della Cadillac Eldorado presentata nel 1965. Alla voce “design” segnaliamo l’introduzione di pinne più sobrie.Cadillac Eldorado settima generazione (1967)La vera svolta per la Eldorado arriva nel 1967 in occasione del lancio della settima generazione: spariscono le pinne e buona parte delle cromature, abbandona le scene la variante cabriolet (rimpiazzata da una coupé) e – soprattutto – arriva la trazione anteriore. Una scelta dovuta all’adozione di un nuovo pianale condiviso con la Oldsmobile Toronado.Questa evoluzione della Cadillac Eldorado, caratterizzata da forme squadrate, conquista il pubblico nonostante i prezzi di listino elevati: l’unico motore al lancio è un 7.0, affiancato l’anno seguente da un 7.7 e nel 1970 da un mostruoso 8.2 da ben 405 CV.Cadillac Eldorado ottava generazione (1971)Con l’ottava generazione la Eldorado beneficia di altre importanti modifiche: le più rilevanti sono il pianale completamente rivisto e il ritorno dei passaruota posteriori parzialmente carenati. Sotto il cofano si trova il propulsore 8.2.Nella gamma della Eldorado ritorna la variante Convertibile, uscita dal listino nel 1976: in quell’anno 14.000 clienti la acquistano convinti di fare un investimento (la Cadillac aveva promesso in una pubblicità che sarebbe stata “l’ultima cabriolet americana”) ma quando il marchio ripropone nel 1984 una versione scoperta del suo modello di punta aderiscono ad una “class action” (persa). Nel 1977 entra in commercio un motore 7.0.Cadillac Eldorado nona generazione (1979)Per rispondere alla crisi petrolifera la nona generazione della Eldorado – la più venduta di sempre – è più compatta e monta motori dalla cubatura inferiore (4.1, 4.5, 5.7, 5.7 diesel e 6.0). Nonostante la riduzione degli ingombri esterni è più spaziosa: merito delle nuove sospensioni posteriori a ruote indipendenti.Nel 1981 la gamma propulsori della Cadillac Eldorado si arricchisce con l’arrivo dell’unità 6.0 V8-6-4 (non molto affidabile, a dire il vero) che per ridurre i consumi può attivare quattro o sei cilindri mentre la tenuta di strada viene migliorata posizionando una pesante lastra d’acciaio sotto il sedile del guidatore. Nel 1984 viene invece reintrodotta la cabriolet.Cadillac Eldorado decima generazione (1986)Continua la politica di “downsizing” della Eldorado: progettata in base alle indicazioni di alcuni consulenti GM (che prevedono, sbagliando, l’aumento del prezzo della benzina a 3 dollari al gallone: la cifra si attesterà a 1,5 dollari), si rivela troppo compatta (4,86 metri di lunghezza anziché 5,19 e un motore 4.1, rimpiazzato nel 1988 da un 4.5, a sua volta sostituito da un 4.9 nel 1991) per il pubblico “yankee” e viene snobbata.Non potendo modificare la carrozzeria (esclusivamente coupé) il marketing Cadillac decide l’anno seguente di incrementare la dotazione della Eldorado per attirare la clientela: nel listino degli optional viene introdotto addirittura un telefono cellulare Motorola (2.850 dollari) inserito nel poggiabraccia anteriore con un microfono montato tra le alette parasole per parlare in vivavoce e un sistema che spegne automaticamente la radio durante la conversazione.Cadillac Eldorado undicesima generazione (1992)L’ultima generazione della Eldorado – l’undicesima – vede la luce nel 1992. Più grande della serie precedente, viene lanciata con un motore 4.9, sostituito l’anno successivo da un più evoluto 4.6.

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Vauxhall Velox 3.3 (1964): comodità e prestazioni in salsa "british"

La Vauxhall Velox 3.3 del 1964 non è elegante come altre ammiraglie inglesi ma può vantare – come le sue connazionali più blasonate – prestazioni interessanti e un grande comfort. Introvabile in Italia (più semplice rintracciarla nel Regno Unito), ha quotazioni che si aggirano intorno ai 5.000 euro.Vauxhall Velox 3.3 (1964): le caratteristiche principaliLa Vauxhall Velox 3.3, presentata nel 1964, è la versione più potente dell’ultima generazione della “berlinona” britannica, svelata due anni prima al Salone di Londra. Lunga 4,62 metri e contraddistinta da un design poco originale, ha un abitacolo spazioso (può accogliere sei passeggeri) e un bagagliaio non molto capiente ma dalla forma regolare.Alla guida si rivela molto comoda – merito delle sospensioni dalla taratura morbida – ma anche vivace e sicura (grazie ai freni potenti). Nonostante le dimensioni ingombranti non è difficile da parcheggiare: lo sterzo, infatti, è molto leggero.La tecnicaIl motore della Vauxhall Velox 3.3 del 1964 è un 3.3 a sei cilindri in linea da 117 CV che consente all’ammiraglia “british” di essere, al lancio, una delle vetture più veloci in commercio (164 km/h rilevati).Le quotazioniRintracciare questa vettura nel Regno Unito è abbastanza semplice: i prezzi, oltretutto, non sono distanti dalle quotazioni ufficiali (5.000 euro).

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Ari Vatanen, non solo rally

La carriera di Ari Vatanen non si limita solo ai rally: l’ex pilota finlandese ha infatti conquistato successi importanti anche nei rally raid e nelle corse in salita. Ma non è tutto: è stato anche europarlamentare e ha tentato, senza successo, di diventare presidente della FIA. Scopriamo insieme la sua storia.Ari Vatanen: la biografiaAri Vatanen nasce il 27 aprile 1952 a Tuupovaara (Finlandia), debutta nei rally a 18 anni mentre il suo esordio nel Mondiale risale al 1974 quando partecipa al Mille Laghi con una Opel Ascona (ritirato).Ford EscortCon il passaggio alla Ford (da privato con una Escort), nel 1975, arrivano le prime soddisfazioni: l’anno seguente diventa campione britannico mentre nel 1977 riesce per la prima volta a terminare una gara iridata – in Nuova Zelanda – e conquista un incredibile secondo posto.La vera svolta per Ari Vatanen risale però al 1979: firma con un team ufficiale (Rothmans) e nella stessa stagione ottiene tre podi: un secondo posto in Finlandia e due terze piazze in Nuova Zelanda e Canada. Per la prima vittoria mondiale, in Grecia, bisogna aspettare il 1980, anno in cui si aggiudica il secondo titolo britannico.Il MondialeAri nel 1981 diventa il più giovane campione del mondo rally (record successivamente battuto) grazie a tre vittorie (Grecia, Brasile e Finlandia). L’anno seguente disputa solo tre prove e la situazione migliora nel 1983, quando la Rothmans decide si sponsorizzare le Opel: un successo in Kenya al volante di una Ascona.L’avventura PeugeotNel 1984 Ari Vatanen firma con la Peugeot e disputa due stagioni con la 205: tre trionfi il primo anno (Finlandia, Italia e Gran Bretagna) e due il secondo (Monte Carlo e Svezia) non bastano, però, per conquistare un altro titolo. Anche perché nel Rally d’Argentina 1985 è vittima di un gravissimo incidente che lo tiene lontano dal mondo del motorsport per un anno e mezzo.Oltre i rallyNella seconda metà degli anni Ottanta Vatanen punta su altre discipline trascurando i rally (anche se nel 1987 riesce a portare a casa un secondo posto in Finlandia con una Ford Sierra). Nel 1987 vince la Dakar con la Peugeot 205 mentre con la 405 domina la Pikes Peak del 1988 (trionfo narrato nel video “Climb Dance”) e la Dakar del 1989.Nel 1990 (anno in cui ottiene un altro podio iridato nei rally: in Finlandia con una Mitsubishi Galant) arriva la terza Dakar (sempre con la Peugeot) per Ari Vatanen: successo ripetuto l’anno successivo alla guida di una Citroën ZX.Finale di carriera e vita privataI due anni trascorsi con Subaru nel WRC (1992 e 1993) non portano grandi soddisfazioni: tre secondi posti (Gran Bretagna il primo anno, Australia e Finlandia il secondo). Nel 1994 con una Ford Escort torna a correre in Argentina nove anni dopo l’incidente e sale sul terzo gradino del podio.Ari Vatanen continua a gareggiare saltuariamente fino allo scorso decennio: nel 1998 conquista l’ultimo podio iridato in carriera (3° in Kenya con una Escort) e nel terzo millennio tenta nuovamente l’avventura Dakar – senza brillare particolarmente – con Nissan e Volkswagen.Nel 1999 entra al Parlamento Europeo come rappresentante finlandese del Partito della Coalizione Nazionale (centrodestra). Viene rieletto nel 2004 in Francia (nazione dove vive dal 1993) per l’UMP in un’altra lista di centrodestra.Nel 2009 Ari Vatanen perde la possibilità di entrare per la terza volta a Strasburgo e si candida a presidente FIA (Federazione Internazionale dell’Automobile) ma perde contro Jean Todt, suo capo ai tempi della Peugeot.

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100 anni Maserati: una mostra a Modena per celebrare il mito

La mostra Maserati 100 – A Century of Pure Italian Luxury Sports Cars – in programma a Modena fino a gennaio 2015 – è un evento da non perdere se siete appassionati di automobili. Presso il Museo Enzo Ferrari del capoluogo emiliano sarà infatti possibile ammirare i modelli da strada e da pista che hanno segnato il centenario del Tridente.Le vetture esposte stabilmente sono 21 mentre altre dieci – che dovranno presenziare ad altri eventi simili in giro per il mondo – cambieranno a rotazione. È stato il curatore della mostra – Adolfo Orsi jr. (nipote e figlio di Adolfo e Omer, proprietari della Maserati dal 1937 al 1967) – a scegliere i mezzi, provenienti soprattutto da collezionisti che hanno gentilmente acconsentito a prestarli.Tra i pezzi forti della mostra Maserati 100 – A Century of Pure Italian Luxury Sports Cars di Modena troviamo la prima auto del Tridente – la Tipo 26 – e la V4 Sport Zagato (che ottenne nel 1929 il record di velocità con Baconin Borzacchini ed è stata recentemente premiata al Concorso d’Eleganza di Villa d’Este). Da non dimenticare, inoltre, la 250 F (che ha permesso a Juan Manuel Fangio di conquistare due Mondiali Piloti F1 nel 1954 e nel 1957) e la Tipo 60 “Birdcage” a motore anteriore.Tra le “stradali” segnaliamo invece la prima Maserati utilizzabile tutti i giorni (la A6 1500 del 1947), la 3500 GT del 1957 e la prima generazione della Quattroporte (1965) appartenuta a Marcello Mastroianni.La mostra Maserati 100 – A Century of Pure Italian Luxury Sports Cars presso il Museo Enzo Ferrari di Modena sarà aperta tutti i giorni (tranne il 25 dicembre e l’1 gennaio) dallle 09:30 alle 19:00 (chiusura anticipata alle 18:00 dall’1 ottobre). I prezzi dei biglietti? 15 euro l’intero, 13 euro per il ridotto (studenti over 10 anni, adulti over 65, enti convenzionati, agenzie e tour operator), 11 euro per il ridotto (bambini/ragazzi dai 6 ai 18 anni accompagnati da genitori) e gratuito per i disabili e per i bambini fino a 5 anni. Per maggiori informazioni www.museocasaenzoferrari.it.

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Renzo Rivolta, il fondatore della Iso

Negli anni Cinquanta, Sessanta e Settanta Renzo Rivolta fu un protagonista del motorismo italiano: l’azienda da lui fondata – la Iso – realizzò veicoli a due e a quattro ruote per tutti i gusti e tutte le tasche. Scopriamo insieme la sua storia.Renzo Rivolta: la biografiaRenzo Rivolta nasce il 5 settembre 1908 a Desio (Monza e Brianza). Quinto di otto fratelli, inizia presto a lavorare nella società del padre, specializzata nella lavorazione del legno.Nella seconda metà degli anni Trenta si mette in proprio e acquista la Isothermos (una fabbrica di caloriferi e refrigeratori con sede nel quartiere genovese di Bolzaneto) e con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale – per sfuggire ai bombardamenti – trasferisce la produzione in una villa di sua proprietà a Bresso, in provincia di Milano.Il secondo dopoguerraUna volta terminato il conflitto Renzo Rivolta decide di investire nel settore delle moto, in grande crescita in quel periodo, e alla fine degli anni Quaranta acquista il brevetto di uno scooter chiamato Furetto presentato alla Fiera di Milano del 1947.Nel 1949 vede la luce l’Iso 125, successivamente chiamato Isoscooter, seguito da altri modelli che ottengono un grande successo di pubblico.La IsettaLa svolta per Renzo Rivolta arriva nel 1952: la Isothermos cambia nome in Iso Autoveicoli e l’anno seguente viene presentata la Isetta, una citycar lunga solo 2,29 metri dotata di un motore monocilindrico di origine motociclistica. La vettura viene commercializzata, senza grande successo, con il marchio Iso fino al 1956 ma già l’anno prima inizia ad essere prodotta su licenza da altre Case, tra cui la BMW.La Iso Rivolta e le supercarNegli anni Sessanta Renzo decide di cambiare strategia aziendale: ribattezza la società con il nome Iso Rivolta, abbandona la produzione di moto e si concentra su sportive eleganti. La prima, svelata nel 1962, è la GT 300: disegnata da Giorgetto Giugiaro e progettata da Giotto Bizzarrini, monta lo stesso motore 5.4 V8 da 300 CV della Chevrolet Corvette.Il modello più noto della Casa fondata da Renzo Rivolta – la Iso Grifo – viene presentato nel 1965. Un anno dopo – il 20 agosto 1966 – l’imprenditore lombardo muore, in seguito ad un infarto, a Milano.

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Dynasty, Equus e Genesis, la storia delle ammiraglie Hyundai

Da quasi vent’anni la Hyundai produce e vende lussuose ammiraglie in grado di lottare ad armi pari con le più blasonate rivali tedesche. Vetture eleganti e raffinate che non sono purtroppo commercializzate nel nostro Paese.La gamma attuale delle “berlinone” della Casa coreana è composta da due modelli: la Genesis, giunta alla seconda generazione (presentata nel 2014), punta a sfidare la BMW serie 5 e la Mercedes classe E. Lunga 4,99 metri e disponibile a trazione posteriore o integrale, ha una gamma motori composta da quattro unità a benzina: 3.0 V6 da 257 CV, 3.3 V6 da 282 CV, 3.8 V6 da 315 CV e 5.0 V8 da 425 CV.La seconda serie della Hyundai Equus (svelata nel 2009) – più grande (5,16 metri di lunghezza) e più esclusiva della Genesis – rappresenta un’alternativa più accessibile alla Mercedes classe S. La gamma propulsori al lancio – tutti a benzina – comprende un 3.8 V6 da 290 CV, un 4.6 V8 da 366 CV e un 5.0 V8 da 400 CV (quest’ultimo montato solo dalla variante Limousine, caratterizzata da un passo più lungo di 30 cm).Nel 2010 debutta un’altra unità, un 4.6 V8 da 383 e 390 CV, mentre due anni più tardi – in concomitanza con l’ingresso in listino del cambio automatico a otto rapporti – la gamma motori viene completamente rivista: 3.8 V6 da 290 e 334 CV (ad iniezione diretta), 4.6 V8 da 366 e 385 CV e 5.0 V8 (tutti ad iniezione diretta) da 416, 430 e 435 CV. Scopriamo insieme la storia delle antenate di questi modelli.Hyundai Dynasty (1996)La Dynasty del 1996 è la prima berlina di rappresentanza prodotta dalla Hyundai: realizzata sullo stesso pianale a trazione anteriore della seconda generazione della Grandeur, si distingue per un design più ricercato e per finiture più curate. Tre i motori disponibili, tutti V6 a benzina: 2.5 da 170 CV, 3.0 da 197 CV e 3.5 da 228 CV.Hyundai Equus prima generazione (1999)La prima generazione della Equus – progettata e prodotta in collaborazione con la Mitsubishi (i modelli assemblati dalla Casa giapponese si chiamano Proudia e Dignity) – ha la trazione anteriore e viene lanciata nel 1999 in due varianti (“normale” e Limousine con passo allungato di 25 cm) con due motori a benzina: 3.5 V6 e 4.5 V8.Pochi mesi più tardi la gamma dei propulsori della prima serie della Hyundai Equus si arricchisce con un 3.0 V6 mentre il restyling del 2003 porta numerose modifiche al design esterno e (soprattutto) nell’abitacolo. Due anni più tardi le due unità a sei cilindri vengono rimpiazzate da un 3.3 e da un 3.8.Hyundai Genesis prima generazione (2008)La Genesis nasce nel 2008 per rimpiazzare la Dynasty. Disponibile esclusivamente a trazione posteriore, monta al lancio due motori V6 a benzina: un 3.3 da 262 CV e un 3.8 da 290 CV.Nel 2010 entra nel listino della Hyundai Genesis prima generazione un 4.6 V8 da 383 e 390 CV. Due anni dopo debuttano due V6 ad iniezione diretta (3.3 da 300 CV e 3.8 da 334 e 338 CV), un 4.6 V8 da 366 CV e un 5.0 V8 da 430 e 435 CV. Senza dimenticare il lieve aumento di potenza (da 383 a 385 CV) del 4.6 “intermedio”.

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Amphicar (1961): l’auto anfibia più famosa

La Amphicar – nata nel 1961 – è la prima auto anfibia prodotta in massa destinata ad un uso civile ed è ancora oggi il mezzo più famoso tra quelli in grado di viaggiare senza problemi sulla terra e in acqua.Realizzata in poco meno di 4.000 esemplari (3.878 per la precisione), è abbastanza difficile da trovare (più semplice rintracciarla nel suo paese d’origine: la Germania) e le sue quotazioni reali sono più alte di quelle ufficiali (15.000 euro).Amphicar (1961): le caratteristiche principaliLa Amphicar del 1961 – progettata da Hans Trippel (noto per aver disegnato qualche anno prima le porte ad ali di gabbiano della Mercedes 300 SL) – nasce per offrire agli automobilisti la possibilità di avventurarsi in mare (o nei laghi o nei fiumi) con un veicolo utilizzabile anche su asfalto.Dotata di una carrozzeria in acciaio, presenta due eliche posizionate sotto al paraurti posteriore ma è priva di timone: per cambiare direzione basta agire sul volante.La tecnicaIl motore della Amphicar è un 1.1 quattro cilindri a benzina da 44 CV, lo stesso della Triumph Herald, abbinato ad un cambio manuale a quattro marce.Le prestazioni non sono il suo forte: la cabriolet anfibia tedesca, infatti, raggiunge una velocità massima di 110 km/h su strada e di 7 nodi in acqua.Le quotazioniLe quotazioni ufficiali della Amphicar recitano 15.000 euro ma in realtà preparatevi a spendere molto di più (circa 50.000 euro) per entrare in possesso di questa vettura.L’estrema rarità di questo modello – unita alla sua capacità di attraversare senza problemi superfici ricoperte di acqua – dovrebbe contribuire a mantenere alti i prezzi.

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Porsche: tre giacche vintage per celebrare il ritorno a Le Mans

Da settembre – sul sito www.porsche.com/shop – sarà possibile acquistare tre giacche vintage Porsche create per celebrare il ritorno della Casa di Zuffenhausen alla 24 Ore di Le Mans.Questi capispalla (prezzo non ancora comunicato) sono repliche di quelli utilizzati dal team tedesco tra il 1968 e il 1970 e presentano un portapass sulla tasca destra, un logo Porsche su quella sinistra e – sul retro – una scritta in rilievo identificativa del marchio più vincente (16 successi) nella storia della mitica corsa endurance francese.La giacca Porsche vintage verde è simile a quella indossata da piloti come il britannico Richard Attwood e il tedesco Hans Herrmann (vincitori della 24 Ore di Le Mans del 1970), lo svizzero Jo Siffert e il britannico Brian Redman. Quella rossa ricorda quella usata dai meccanici mentre quella color vino può vantare un cappuccio.

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