Monthly Archives: Maggio 2014

Porsche 911 GT3 by Fostla

Car Wrapping, un metodo semplice e non troppo costoso per personalizzare la propria auto.A subire questo trattamento “di bellezza” estetico, effettuato dal tuner specializzato Fostla, è la supercar di Stoccarda Porsche 911 GT3.Livrea bianca con tocchi di verde e neroLa sportiva di Zuffenhausen si ricopre la pelle con una pellicola adesiva in bianco lucido con l’anteriore lavorato, addirittura, con la tecnica tristrato che rende ancora più resistente la colorazione speciale.L’accostamento cromatico scelto è con un eccentrico e molto sportivo verde acceso a contrasto con il nero delle strisce longitudinali che attraversano il cofano anteriore e il tetto della Porsche 911 GT3.Rimane bianca e immacolata, invece, la coda sovrastata dal grande alettone che richiama la bicromia del resto della carrozzeria con predominanza del nero sul verde.Il costo totale di questa personalizzazione Fostla per la Porsche 911 GT3 è di 4.000 euro.I numeri della "Noveunouno" GT3Rimane invariata la motorizzazione originale: il 3,8 litri da 475 CV e 440 Nm che le garantisce uno scatto da 0 a 100 km/h in 3,5 secondi e una velocità massima di 315 km/h.

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Ford: Mark Fields nuovo CEO

Quando un CEO si mette al timone di una grande impresa, uno dei suoi compiti primari è di preparare il suo successore, da subito. Quando Alan Mulally ottenne l’incarico più alto dell’Ovale Blu nordamericano (ormai otto anni fa), Bill Ford gli chiese immediatamente di individuare e formare il suo “erede”. L’”eletto” fu Mark Fields.Quest’ultimo, lavorando nell’ombra durante questi anni è stato, tra le altre cose, uno degli ideatori della strategia One Ford, grazie alla quale la firma statunitense ora produce e vende automobili destinate a tutto il mondo, abbandonando la strada della personalizzazione per ogni mercato. A partire dal 1 luglio sarà lui il nuovo CEO di Ford.In realtà Mulally (68 anni) aveva promesso di rimanere a capo del marchio statunitense per tutto il 2014, ma il fallimento del tentativo di partnership con Microsoft dello scorso anno, ha accelerato le pressioni degli azionisti per anticipare il cambio al vertice.Ad ogni modo, e nonostante la sua età, Alan Mulally non andrà in pensione, rimarrà bensì stoicamente a far parte di qualche consiglio direttivo. E a Mark Fields toccherà una grande responsabilità. One Ford, si, sta funzionando ma bisognerà confermare che la strategia è vincente. Per il momento il nuovo (ancora futuro) CEO ha dichiarato ciò che gli azionisti volevano sentire “Non cambierà nulla, o quasi nulla”. D’altra parte squadra che vince non si cambia.Con il vento in poppa, quindi, il primo traguardo che Fields potrà proporsi è di vedere la divisione europea di Ford tornare ai numeri di una volta – prima della crisi. Sarà, quindi, a medio termine, che vedremo le vere capacità di questo impiegato Ford che da venticinque anni lavora per uno dei più grandi marchi automobilistici al mondo. 


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Se Senna fosse ancora vivo

– Se Ayrton Senna fosse ancora vivo avrebbe vinto l’1 maggio 1994 il GP di San Marino di F1. Era partito dalla pole position ed era avviato verso il primo successo stagionale.- Se Senna fosse ancora vivo avrebbe omaggiato Roland Ratzenberger, scomparso il giorno prima, durante il giro d’onore a Imola. I soccorritori trovarono a bordo della sua Williams una bandiera austriaca.- Se Ayrton Senna fosse ancora vivo non avrebbe vinto il Mondiale F1 1994: quell’anno la Benetton e Michael Schumacher erano imbattibili.- Se Senna fosse ancora vivo avrebbe avuto molti più fans in Italia perché avrebbe corso con la Ferrari. Già nel 1991 fu vicino alla Rossa ed è quasi certo che avrebbe chiuso la propria carriera con la Scuderia di Maranello.- Se Ayrton Senna fosse ancora vivo avrebbe fatto di tutto per superare i quattro Mondiali di Prost. Era fermo a quota tre ma nel 1996 e nel 1997 avrebbe potuto tranquillamente portarsi a casa con la Williams i titoli che nel mondo reale andarono a Damon Hill e Jacques Villeneuve.- Se Senna fosse ancora vivo la rivalità con Prost sarebbe stata meno intensa visto che solo la F1 li separava. Ci piace immaginare un Ayrton cinquantenne chiacchierare cordialmente nei paddock con il suo amico Alain.- Se Ayrton Senna fosse ancora vivo avrebbe corso fino alla stagione 2000 (lo dichiarò in un’intervista) e avrebbe trovato un nuovo rivale in Michael Schumacher.- Se Senna fosse ancora vivo avrebbe oggi 54 anni e (forse) dei figli. Farebbe l’imprenditore (aveva già dimostrato in vita di sapere come curare i propri interessi) e ogni tanto si farebbe vedere durante i GP di F1. All’inizio del XXI secolo avrebbe cercato di creare un proprio team come Prost ma senza ottenere grandi successi.- Se Ayrton Senna fosse ancora vivo ci sarebbero stati altri morti nel Circus. La scomparsa del pilota brasiliano e di Ratzenberger ha portato a monoposto più sicure ed è grazie al loro sacrificio se oggi la F1 non è più considerata uno sport pericoloso come in passato.-  Se Senna fosse ancora vivo avrebbe avuto molti meno fans nel mondo. La morte ha cancellato alcune sue caratteristiche negative come la scorrettezza in pista e i rapporti contrastati con i compagni talentuosi. Ron Dennis (responsabile McLaren) ha dichiarato: “…avrebbe avuto esperienze, magari, che si sarebbero ripercosse sulla sua notorietà. Invece finì tutto all’improvviso. Così, oggi, ci si ricorda solo di quanto era grande".

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Ernesto Maserati: il più giovane della famiglia del Tridente

Ernesto Maserati era il più giovane dei sette fratelli che fecero nascere la Casa del Tridente. Gestì l’azienda nei primi anni, ottenne buoni risultati come pilota e contribuì a fondare un’altra Casa automobilistica destinata a segnare un’epoca: la OSCA. Scopriamo insieme la sua storia.Ernesto Maserati: la biografiaErnesto Maserati nasce il 4 agosto 1898 a Voghera (Pavia) e inizia la propria attività lavorativa già a 16 anni, quando insieme ai fratelli Alfieri ed Ettore crea a Bologna un’officina specializzata in elaborazioni di motori Diatto e Isotta Fraschini.Durante la Prima Guerra Mondiale si ritrova da solo a gestire l’azienda in quanto è l’unico a non essere stato chiamato al fronte e tra la fine degli anni Dieci e l’inizio degli anni Venti si interessa di motorsport lavorando come meccanico sulle auto portate in gara dal fratello Alfieri.Nasce un pilotaErnesto Maserati vuole diventare un protagonista nel mondo delle corse e nella seconda metà degli anni Venti si esercita sulle colline pistoiesi insieme ad Alfieri. La sua guida pulita e prudente gli consente di conquistare due titoli italiani (nel 1927 e nel 1930). Nel 1931 prende parte al GP di Francia con una Maserati 26M insieme a Luigi Fagioli ma è costretto al ritiro dopo 45 giri per un problema ai freni.L’azienda in primo pianoCon la morte di Alfieri – avvenuta nel 1932 dopo un intervento chirurgico per salvare l’unico rene rimasto – la Casa del Tridente perde il suo uomo più significativo. Ernesto abbandona la carriera di pilota per concentrarsi sull’azienda e la gestisce insieme ai fratelli Bindo ed Ettore.Già nel 1933 Ernesto Maserati può dirsi soddisfatto dai risultati sportivi della Casa che porta il suo cognome: Giuseppe Campari in Francia ottiene il primo successo del marchio in una delle Grandes Épreuves, Tazio Nuvolari si aggiudica il GP del Belgio dopo essere partito per ultimo e lo statunitense Whitney Straight a Brooklands diventa il primo driver non europeo a conquistare una gara rinomata per il brand emiliano.L’arrivo delle fortissime tedesche Auto Union e Mercedes nel 1934 lascia le briciole alla Casa del Tridente, che nel 1937 viene venduta all’imprenditore modenese Adolfo Orsi. Liberi dal fardello gestionale i fratelli Maserati – ancora impiegati in azienda con un contratto di dieci anni – si concentrano sulla progettazione della 8CTF, la prima auto italiana – e l’unica dotata di motore “tricolore” – ad aggiudicarsi la prestigiosa 500 Miglia di Indianapolis (1939 e 1940, pilota Wilbur Shaw).Gli ultimi capolavori del TridenteAl termine della Seconda Guerra Mondiale Orsi perde interesse per le corse a differenza dei fratelli Maserati (Bindo, Ernesto ed Ettore), che continuano a tenere vivo il loro sogno grazie ad alcune 4C tenute nascoste a Milano durante il conflitto. La prima vittoria rilevante postbellica arriva nel 1946 con Raymond Sommer (primo straniero a vincere una delle Grandes Épreuves al volante di un’auto del Tridente) alla Coppa René le Begue.L’ultima Maserati progettata dai tre fratelli prima di uscire dall’azienda (che preferisce puntare sui modelli di serie) e fondare la OSCA è la A6 GCS, caratterizzata da parafanghi di ispirazione motociclistica e da un singolo faro anteriore centrale.La OSCACon la creazione della OSCA (Officine Specializzate Costruzione Automobili) nel 1947 Ernesto Maserati, insieme ai fratelli Bindo ed Ettore, intende proseguire con la produzione di automobili da corsa (senza però trascurare i modelli di serie). Questa Casa ottiene numerosi successi di categoria ma pochi assoluti: la vittoria più rilevante è senza dubbio quella conquistata dalla MT4  – dotata di un motore 2.0 da 165 CV a distribuzione desmodromica – guidata da Stirling Moss alla 12 Ore di Sebring del 1954.Tra la fine degli anni Cinquanta e l’inizio dei Sessanta i motori OSCA equipaggiano alcuni modelli Fiat come la 1500 S e la 1600 S. Nel 1964 l’azienda viene ceduta alla MV Agusta.Gli ultimi anniMentre Ettore e Bindo si ritirano a vita privata Ernesto Maserati non intende abbandonare il mondo della meccanica. Si dedica alla progettazione di un motore a quattro tempi e continua a disegnare fino al giorno della sua morte, avvenuta il 12 gennaio 1975 a Bologna.

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Alfa Romeo, la storia della Casa del Biscione

Nel corso dei suoi oltre 100 anni di storia l’Alfa Romeo ha rappresentato per l’Italia e per gli italiani il simbolo della sportività accessibile. I clienti delle vetture del Biscione hanno sempre potuto contare su mezzi dalle prestazioni superiori, capaci di offrire il massimo piacere di guida a prezzi tutto sommato abbordabili. Scopriamo insieme l’evoluzione di questa Casa, che sta cercando di risollevarsi dopo un periodo buio.Alfa Romeo: la storiaLa storia dell’Alfa Romeo inizia ufficialmente il 10 giugno 1910, quando un gruppo di imprenditori lombardi rileva la Società Italiana Automobili Darracq (filiale tricolore di una Casa automobilistica francese) e la ribattezza ALFA (Anonima Lombarda Fabbrica Automobili).Il primo direttore tecnico della nuova società – Giuseppe Merosi – disegna il logo (il biscione simbolo dei Visconti, famiglia che governò Milano nel Medioevo, unito allo stemma del capoluogo lombardo: una croce rossa in campo bianco), utilizzato ancora oggi, e progetta la prima vettura del brand. La 24 HP – dotata di un motore 4.1 a quattro cilindri da 42 CV – può già vantare un DNA sportivo che negli anni successivi farà la fortuna di quesra Casa.Gli anni DieciNegli anni Dieci – grazie al lancio di nuovi prodotti e all’ingresso nel mondo delle corse – si assiste ad una costante crescita delle immatricolazioni dell’ALFA, interrotta però dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. L’azienda lombarda non è in grado di convertire la produzione a scopi militari e per questo motivo viene venduta al’imprenditore – e ingegnere – napoletano Nicola Romeo.Quest’uomo – già attivo nella fornitura di commesse per l’Esercito – interrompe la produzione di mezzi a quattro ruote e usa la fabbrica del Portello per realizzare munizioni e motori aeronautici su licenza Isotta Fraschini.Nasce l’Alfa RomeoNel 1918 la società cambia nome in Alfa Romeo e ricomincia a produrre automobili ma il primo modello nuovo – la 20-30 HP – vede la luce solo nel 1920. Le vendite latitano: la gestione della società non è delle migliori, le concessionarie sono poche e i modelli lanciati all’inizio del decennio non convincono il pubblico.La svolta arriva nel 1923 quando una RL guidata da Ugo Sivocci porta al Biscione la prima vittoria importante: la Targa Florio. L’anno successivo arrivano due successi ancora più rilevanti – Giuseppe Campari al GP di Francia e Tazio Nuvolari in Italia – che amplificano il blasone della Casa milanese.Nonostante le scarse immatricolazioni Benito Mussolini – all’epoca al potere – decide di salvare l’Alfa Romeo dal fallimento usando le vittorie sportive per dare risalto all’Italia. Nel 1925 il brand lombardo conquista il primo mondiale di automobilismo della storia con la P2, progettata da Vittorio Jano e guidata da Antonio Ascari (primo in Belgio) e Gastone Brilli-Peri (sul gradino più alto del podio a Monza).Gli anni Venti si chiudono alla grande (dal punto di vista del motorsport) con le due vittorie di Campari alla Mille Miglia nel 1928 e nel 1929 al volante di una 6C.Gli anni TrentaNegli anni Trenta i successi dell’Alfa Romeo sono ancora più numerosi: otto Mille Miglia (1930, 1932-1938), sei vittorie alla Targa Florio (1930-1935) e ben quattro 24 Ore di Le Mans (1931-1934).Da non sottovalutare, inoltre, la categorie Grand Prix: più precisamente i due titoli europei piloti con Ferdinando Minoia (1931) e Nuvolari (1932) e i tanti gradini più alti del podio ottenuti dalle vetture del Biscione nella prima metà del decennio.La situazione societaria non è però altrettanto florida: nel 1933 l’Alfa Romeo – in piena crisi finanziaria – diventa ufficialmente un’azienda statale dopo che Mussolini (appassionato di corse automobilistiche) decide di salvare un’altra volta l’azienda milanese. Le quote azionarie precedentemente nelle mani delle banche vengono acquistate dall’IRI (Istituto per la Ricostruzione Industriale, ente pubblico creato per evitare i fallimenti delle aziende private).Il dirigente e ingegnere Ugo Gobbato viene nominato presidente e riesce a risollevare il brand ritirandolo dal mondo delle corse (le vetture vengono cedute ad una certa Scuderia Ferrari, che dal 1929 era il reparto corse ufficiale del Biscione) e lanciando una serie di modelli che conquistano finalmente il pubblico.La seconda metà degli anni Trenta è segnata dall’addio all’Alfa Romeo di Jano (“colpevole” di non essere riuscito a realizzare vetture da corsa più veloci di quelle tedesche), rimpiazzato alla direzione tecnica dallo spagnolo Wifredo Ricart, che decide di introdurre nella produzione di serie il ponte De Dion. Questa particolare soluzione tecnica – caratterizzata dal differenziale collegato alla scocca (idea che consente di ridurre il peso delle masse non sospese – verrà utilizzata dal Biscione fino alla fine degli anni Ottanta.La Seconda Guerra MondialeQuella che si prepara alla Seconda Guerra Mondiale è un’Alfa molto più solida di quella che affrontò il primo conflitto. La Casa milanese, che ha già diversificato la produzione qualche anno prima puntando sui veicoli industriali, si occupa anche di motori aeronautici da destinare all’Esercito.Gli stabilimenti dell’Alfa Romeo di Pomigliano d’Arco e del Portello vengono praticamente distrutti (nel 1943 e nel 1944) ma la scelta di trasferire buona parte dei macchinari nella periferia milanese permette al marchio lombardo di riprendere le forze in breve tempo.Il secondo dopoguerraNel 1946 la Casa del Biscione si ritrova senza i suoi due uomini più importanti: Gobbato, assolto dall’accusa di collaborazionismo, viene assassinato il 28 aprile 1945 da un operaio insoddisfatto dell’esito del processo mentre Ricart torna in Spagna in seguito alla caduta del fascismo.Il posto di direttore tecnico dell’ingegnere iberico viene preso dal torinese Orazio Satta Puliga che impiega poco tempo a modernizzare l’Alfa Romeo: abbatte i costi di gestione esternalizzando la produzione dei componenti secondari e in attesa del primo vero nuovo modello – la 1900 del 1950 – le numerose vittorie sportive permettono ancora una volta all’azienda di essere salvata dal fallimento.Nel 1946 Giuseppe Farina si aggiudica il GP delle Nazioni a Ginevra e quello di Torino e nel 1947 (anno in cui Clemente Biondetti porta a casa l’ultima Mille Miglia del Biscione) tocca a Jean-Pierre Wimille (Svizzera e Belgio) e a Carlo Felice Trossi (Italia) salire sul gradino più alto del podio. I successi proseguono nel 1948, con Trossi primo in Svizzera e Wimille davanti a tutti in Francia e in Italia.Gli anni CinquantaGli anni Cinquanta si aprono bene per l’Alfa Romeo: la 1900 – prima vettura del marchio milanese dotata di telaio monoscocca – conquista il pubblico grazie al buon rapporto prezzo/prestazioni.Tra il 1950 e il 1951 la Casa lombarda domina anche nelle corse aggiudicandosi i primi due Mondiali F1 della storia: il primo anno Giuseppe Farina conquista l’iride grazie ai trionfi nel Regno Unito, in Svizzera e in Italia mentre l’anno seguente tocca a Juan Manuel Fangio laurearsi campione prevalendo in Svizzera, in Francia e in Spagna.La Giulietta del 1955 – meno costosa (da comprare e da produrre) della 1900 – contribuisce a rimpinguare ulteriormente le casse dell’Alfa Romeo e impiega poco tempo a sedurre gli italiani alla ricerca di una berlina sportiveggiante.Gli anni SessantaSiamo in pieno boom economico, le vetture del Biscione si vendono come il pane e la fabbrica del Portello non riesce a sfornare abbastanza automobili per soddisfare la domanda. Per questo motivo nel 1963 (un anno prima della presentazione del circuito prova di Balocco) viene inaugurato lo stabilimento di Arese.Tra i modelli Alfa Romeo destinati a segnare la storia di questo brand segnaliamo la Giulia del 1962 – erede della Giulietta e caratterizzata da un design aerodinamico e da prestazioni superiori alla media – e la sexy Spider del 1966: l’ultima vettura realizzata da Battista Farina.La Casa del Biscione continua anche in questo decennio ad essere una protagonista delle corse: tra il 1966 e il 1970 arriva un campionato europeo turismo assoluto piloti (con l’olandese Toine Hezemans) e sei titoli (tre driver e tre costruttori) nella Divisione 2. Tutti ottenuti con le versioni coupé della Giulia.Gli anni SettantaGli anni Settanta per l’Alfa Romeo si aprono con l’Alfasud del 1972, una compatta prodotta nello stabilimento di Pomigliano d’Arco. Il modello più accessibile nella gamma del marchio milanese – nonché il primo dotato di trazione anteriore e motore boxer – impiega pochissimo tempo a sedurre il pubblico.È dello stesso anno l’Alfetta: una berlina più evoluta della Giulia ricca di “chicche” tecniche come le sospensioni anteriori a quadrilateri (usate soprattutto nelle vetture da corsa), il transaxle (cambio e frizione montati in blocco nel retrotreno per ripartire meglio i pesi tra l’asse anteriore e quello posteriore) e il ponte posteriore De Dion (soluzione che migliora il comportamento stradale).Le Alfa Romeo di questo periodo non vendono quanto quelle degli Sessanta e anche i successi sportivi (due Mondiali Sportprototipi nel 1975 e nel 1977) sono meno rilevanti rispetto al passato. I modelli lanciati nella seconda metà degli anni ’70 non convincono completamente: la Giulietta, erede della Giulia, ha un design che fatica a sedurre mentre l’ammiraglia Alfa 6 soffre la concorrenza delle proposte tedesche.Gli anni OttantaLa crisi del Biscione continua: le vetture del marchio milanese conservano prestazioni superiori a quelle delle rivali ma sono penalizzate da numerosi problemi di affidabilità dovuti alla bassa qualità degli assemblaggi.Il lancio, nel 1983, della 33 – che rimpiazza l’Alfasud mantenendo la stessa base tecnica ma proponendo forme più affascinanti – migliora un po’ la situazione dell’Alfa Romeo mentre è dello stesso anno la “cugina” Arna (realizzata in collaborazione con la Nissan), che si rivela un flop: le colpe sono da ricercarsi più nell’estetica che nella meccanica.La seconda metà di questo decennio porta buone notizie: nel 1985 la berlina 75  – la prima dotata di motore Twin Spark a doppia accensione – sostituisce la Giulietta e si distingue per un design più aggressivo e l’anno seguente il marchio lombardo – con i conti in rosso – diventa privato con la cessione alla Fiat.Il primo modello della nuova gestione Alfa Romeo è l’ammiraglia 164: realizzata sullo stesso pianale della Fiat Croma, della Lancia Thema e della Saab 9000 e dotata di trazione anteriore, è contraddistinta da un design riuscito (opera di Pininfarina). La prima vettura del Biscione realizzata interamente sotto la supervisione del colosso torinese è invece la coupé SZ.Gli anni NovantaLa berlina 155 del 1992 – dotata dello stesso pianale della Lancia Dedra e della Fiat Tempra – è il primo nuovo modello della Casa milanese realizzato negli anni Novanta. Non convince il pubblico ma vince nelle corse aggiudicandosi nel 1993 con Nicola Larini il prestigioso campionato turismo tedesco DTM.La situazione migliora nella seocnda metà del decennio con il lancio dell’erede: la 156, disegnata da Walter de Silva e ancora oggi considerata una delle automobili più belle del XX secolo, diventa la prima Alfa Romeo a conquistare il riconoscimento di Auto dell’Anno. Merito dello stile, certo, ma anche di un pianale riuscito e di diverse soluzioni tecniche innovative come il cambio con palette al volante e il motore turbodiesel common rail.Il XXI secoloIl nuovo millennio si apre con la conquista da parte della compatta 147 – nel 2001 – del titolo di Auto dell’Anno. La vettura riprende gli stilemi della sorella maggiore 156 e seduce il pubblico grazie anche alla qualità degli interni.Dopo una serie di modelli contraddistinti da un design sexy ma poco convincenti sotto il profilo dell’agilità – come la 159 e la Brera del 2005 – l’arrivo della supercar 8C Competizione nel 2007 segna il ritorno della trazione posteriore in casa Alfa Romeo.La piccola MiTo  – realizzata sulla stessa base della Fiat Grande Punto – del 2008 rappresenta il modello più accessibile della Casa del Biscione mentre in occasione del centenario, nel 2010, tocca all’erede della 147: la Giulietta. Risale al 2013, invece la sexy 4C, una supercar compatta a trazione posteriore dal prezzo relativamente accessibile.

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Roland Ratzenberger: la morte dimenticata della F1

Il nome di Roland Ratzenberger è strettamente legato a quello di Ayrton Senna, anche se quando si parla della morte del pilota brasiliano in pochi si ricordano che il giorno prima – durante il tragico weekend di Imola – perse la vita anche lui. Entrambi nati nel 1960, entrambi accomunati da un triste destino.La sua scomparsa è stata pressoché dimenticata da tutti: solo gli appassionati di motorsport ogni 30 aprile si ricordano di questo piccolo grande driver austriaco che raggiunse tardi il sogno di correre in F1. Scopriamo insieme la sua storia.Roland Ratzenberger: la biografiaRoland Ratzenberger nasce il 4 luglio 1960 a Salisburgo (Austria). Inizia tardi a gareggiare – nel campionato tedesco 1983 di Formula Ford – e per questo motivo dice di essere del 1962 in modo da potersi garantire una carriera più lunga del motorsport. I primi successi rilevanti arrivano nel 1985 quando si aggiudica la serie austriaca e quella centroeuropea.Salto di qualitàNel 1986 conquista il prestigioso Formula Ford Festival (evento vinto da driver del calibro di Jenson Button). Questo successo gli apre numerose porte: nella seconda metà degli anni Ottanta si cimenta – senza brillare particolarmente – in numerosi campionati britannici (Formula 3, turismo e Formula 3000) e nel Mondiale Turismo.La 24 Ore di Le Mans e il GiapponeTra il 1989 e il 1993 Roland Ratzenberger prende parte alla 24 Ore di Le Mans: il migliore risultato arriva in occasione dell’ultima edizione, quando al volante di una Toyota 93C-V arriva quinto assoluto insieme al nostro Mauro Martini e al giapponese Naoki Nagasaka.Nello stesso periodo si trasferisce in Giappone, dove ottiene qualche risultato rilevante in numerosi campionati locali: sportprototipi, turismo e Formula 3000.La F1 e la morteRoland Ratzenberger realizza il sogno di correre in F1 nel 1994 quando firma un contratto della durata di cinque GP per gareggiare con la neonata scuderia britannica Simtek. Nella prima prova della stagione, in Brasile, non riesce a qualificarsi mentre due settimane dopo nel GP del Pacifico porta a casa un interessante 11° posto e si rivela più veloce del compagno di scuderia, l’australiano David Brabham.Roland muore il 30 aprile 1994 durante le prove del GP di San Marino sul circuito di Imola (Bologna) a causa di una frattura cranica: alle 13:16, durante la seconda sessione di qualifiche, la sua monoposto (priva di una parte dell’alettone anteriore in seguito ad un contatto precedente) si schianta contro un muretto alla curva Villeneuve.

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Imola 1994: l’ultimo weekend nero della F1

Nel 1994 a Imola si consumò l’ultimo weekend tragico della F1: nei tre giorni del GP di San Marino – dal 29 aprile all’1 maggio di vent’anni fa – il Circus vide morire (per l’ultima volta) dei piloti e si registrò una quantità impressionante di episodi sfortunati in pista e fuori.Gli incidenti tragici di Roland Ratzenberger e Ayrton Senna hanno aumentato la sicurezza delle monoposto: se oggi questo sport non è più considerato rischioso come un tempo molto dipende da quei tre giorni. Scopriamo insieme cosa successe.GP San Marino 1994: la storiaIl favorito assoluto del GP di San Marino – terza prova del Mondiale F1 1994 – è il tedesco Michael Schumacher su Benetton: dopo due vittorie nelle prime due gare punta ad ottenere il tris e vuole dimostrare al mondo che i suoi successi non sono dovuti esclusivamente alle disavventure di Ayrton Senna.Il pilota brasiliano della Williams ha iniziato la stagione con due pole position ma ha ancora zero punti in classifica: in Brasile è andato in testacoda mentre nel GP del Pacifico è stato colpito da Mika Häkkinen e Nicola Larini.Le F1 del 1994 sono molto diverse – e più difficili da guidare – rispetto a quelle del 1993: per rendere più importante il ruolo del pilota sono state adottate numerose modifiche. Qualche esempio? L’abolizione delle sospensioni attive (che ha portato meno stabilità), dell’ABS e del controllo di trazione (guida più difficile), la larghezza degli spoiler anteriori scesa da 100 a 90 cm, l’altezza da suolo aumentata da 2,5 a 4 cm (minor carico aerodinamico), l’introduzione dei rifornimenti (che consentono di partire con 70 litri di benzina invece di 210), la sezione delle gomme posteriori ridotta da 457 a 381 mm (minor appoggio sull’asfalto) e altezza massima dell’alettone posteriore scesa da 100 a 95 cm.Venerdì 29 aprile 1994
Prove libere 1  09:30-10:15
Prove libere 2  10:30-11:15Qualifiche 1  13:00-14:00La prima sessione di qualifiche di Imola 1994 si apre con un pauroso incidente che vede protagonista Rubens Barrichello: alle 13:15 la sua Jordan decolla a oltre 200 km/h sul cordolo, si schianta contro le barriere di protezione e atterra capovolta. Il pilota brasiliano rimane fermo nell’abitacolo con il volto sanguinante e viene intubato.Una volta liberato dall’abitacolo viene trasportato al centro di soccorso, sottoposto ad una radiografia alla colonna cervicale e quindi ad una TAC. Portato in elicottero all’Ospedale Maggiore di Bologna per altri accertamenti, riporta una frattura al naso e contusioni ad una mano e alle costole.Dopo la prima giornata di qualifiche del GP di San Marino 1994 la classifica vede al primo posto Ayrton Senna, seguito da Schumacher, Berger (Ferrari), Lehto (Benetton) e Larini (Ferrari).Sabato 30 aprile 1994
Prove libere 3  09:30-10:15
Prove libere 4   10:30-11:15Qualifiche 2  13:00-14:00Alle 13:16, durante la seconda sessione di qualifiche, la Simtek di Roland Ratzenberger – priva di una parte dell’alettone anteriore in seguito ad un contatto precedente – si schianta contro un muretto alla curva Villeneuve.Il pilota austriaco viene portato in elicottero all’ospedale ma perde la vita dopo poco a causa di una frattura alla base cranica. Nonostante questo lo show continua. Ayrton Senna conquista ancora una volta la pole: la quarta consecutiva.GP SAN MARINO 1994: QUALIFICHE
1 Ayrton Senna (Williams)   1:21.548
2 Michael Schumacher (Benetton) 1:21.885
3 Gerhard Berger (Ferrari)   1:22.113
4 Damon Hill (Williams)   1:22.1685 JJ Lehto (Benetton)    1:22.717Domenica 1 maggio 1994
Gara    14:00
Lunghezza circuito 5,040 km
Giri    61Lunghezza totale 307,440 kmLa morte di Ratzenberger durante le qualifiche di Imola 1994 segna Ayrton Senna: alla mattina si reca nella curva Villeneuve per capire le cause dell’incidente e decide di portare nella sua monoposto una bandiera austriaca per sventolarla in onore del pilota della Simtek in caso di vittoria.Al via si sfiora un altro dramma: la Benetton del pilota finlandese JJ Lehto resta ferma e viene travolta dalla Lotus del portoghese Pedro Lamy. I frammenti delle due vetture volano sulle tribune e feriscono quattro persone: tre vengono dimesse la mattina dopo dall’ospedale di Imola, una rimane in coma per diversi giorni dopo essere stata sottoposta ad un intervento neurochirurgico per un ematoma frontale dopo essere stata colpita al capo da una gomma.La safety-car viene fatta rientrare al quinto giro: Ayrton scatta ma dopo pochi chilometri la sua Williams nella curva del Tamburello invece di girare a sinistra va dritta verso il muretto. Alle 14:17 lo schianto e la morte, dovuta ad una frattura multipla della base cranica provocata da un braccio della sospensione spezzato.Patrick Head, progettista della monoposto britannica, dichiara che Ayrton ha perso carico aerodinamico togliendo il piede dall’acceleratore, Lo stesso Patrick Head responsabile, secondo la giustizia italiana, della morte del driver brasiliano: la causa dell’incidente è infatti dovuta alla rottura di un mezzo di modifica aggiunto al piantone originale per abbassare il volante. Il reato è tuttavia prescritto.Gli eventi drammatici del GP di San Marino 1994 non si concludono con la morte di Senna: a dieci giri dal termine, durante un pit-stop, la Minardi guidata da Michele Alboreto perde una ruota. Lo pneumatico travolge e ferisce sei persone: tre tecnici Ferrari, uno Lotus, uno Benetton e un addetto ai soccorsi.La corsa viene vinta da Michael Schumacher: il terzo successo consecutivo permette al pilota tedesco di avvicinarsi sempre più al suo primo Mondiale F1.GP di San Marino 1994: la classifica
1 Michael Schumacher (Benetton) 1h28’28”642
2 Nicola Larini (Ferrari)   + 54.942 s
3 Mika Häkkinen (McLaren)  + 1:10.679 s
4 Karl Wendlinger (Sauber)  + 1:13.658 s5 Ukyo Katayama (Tyrrell)   + 1 giro

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Maybach 57 (2002): la Rolls-Royce tedesca

La Maybach 57, nata nel 2002, è destinata ad avere un futuro migliore del suo passato. Il tentativo (fallito) della Mercedes di rubare clienti alla Rolls-Royce ha conquistato pochi facoltosi clienti ma la sua rarità la renderà un’auto d’epoca molto apprezzata nei prossimi anni.I primi esemplari dell’ammiraglia tedesca si portano a casa con meno di 100.000 euro: non è semplice trovarli ma con un po’ d’impegno ci si può riuscire. Le sue quotazioni sono però destinate a salire con il passare degli anni: stiamo pur sempre parlando dell’auto più esclusiva mai realizzata da una delle Case automobilistiche più prestigiose del mondo.Maybach 57 (2002): le caratteristiche principaliAll’inizio del XXI secolo il mercato delle superammiraglie è monopolizzato dalla BMW, che possiede Rolls-Royce e Bentley (dal 2003 passata ufficialmente nelle mani del Gruppo Volkswagen). Per non essere da meno la Mercedes decide di risuscitare un marchio in suo possesso – Maybach (attivo dal 1909 fino all’inizio della Seconda Guerra Mondiale nella produzione di modelli estremamente lussuosi) – e nel 2002 svela al mondo la 57 (la lunghezza – 5,73 metri – espressa in decimetri).Realizzata sul pianale – opportunamente modificato – della Mercedes classe S W220 e con un design molto (troppo) somigliante a quello della sorella minore, può vantare un abitacolo molto accogliente e rifinito alla perfezione.Nonostante la notevole cavalleria a disposizione la Maybach 57 è una berlinona che predilige il comfort: il cambio automatico a cinque rapporti non è molto rapido nei passaggi marcia quando si cerca il brio, i freni sono poco potenti e lo sterzo non è il massimo della precisione.La tecnicaRispetto alle rivali l’ammiraglia teutonica si distingue per un motore decisamente più cattivo: un possente 5.5 V12 da 551 CV e 900 Nm di coppia in grado di offrire prestazioni impressionanti (250 km/h di velocità massima e 5,2 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri orari).Questo non basta alla Maybach 57 per conquistare gli automobilisti facoltosi, che la considerano (sbagliando) una Mercedes un po’ più lussuosa del solito.Le quotazioniDifficilmente le quotazioni di questa vettura – 80.000 euro – scenderanno più di così. Da nuova non è stata apprezzata (dal 2003 al 2010 il marchio tedesco ha fatto registrare 1.112 immatricolazioni, sarebbero dovute essere 2.000… all’anno secondo le previsioni del marketing) ma in futuro assisteremo sicuramente ad una rivalutazione.La Maybach 57 è (e resterà) il prodotto più raffinato mai prodotto dalla Mercedes: un concentrato di eleganza che nessun’altra Casa tedesca ha mai provato ad eguagliare. Tra una quarantina d’anni questa vettura sarà una sicura protagonista delle aste: ora i primi esemplari (quelli che, a nostro avviso, manterranno meglio il valore) si trovano abbastanza facilmente nelle concessionarie in Germania.

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Mercedes 300 SLR: la regina del 1955

La Mercedes 300 SLR corse per una sola stagione – nel 1955 – ma cambiò per sempre la storia del motorsport. Si aggiudicò il Mondiale sportprototipi vincendo Mille Miglia, Tourist Trophy e Targa Florio e l’incidente di Le Mans che la vide protagonista stravolse il mondo delle corse.Scopriamo insieme la storia di questa vettura, una F1 sotto mentite spoglie in grado di regalare tante emozioni agli appassionati.Mercedes 300 SLR: la storiaLa Mercedes 300 SLR, prodotta in soli nove esemplari, non ha niente in comune con la 300 SL (la famosa “ali di gabbiano”). Il nome simile è dovuto esclusivamente a ragioni di marketing visto che la base è praticamente la stessa della W196, vettura di F1 capace di aggiudicarsi due Mondiali Piloti e nove GP su 12 tra il 1954 e il 1955.Il motore – montato in posizione anteriore – 2.9 a otto cilindri con distribuzione desmodromica consente alla scoperta della Stella di superare i 300 km/h di velocità massima e il telaio ultraleggero pemette di avere un peso inferiore ai 1.000 kg.Mille MigliaDopo aver saltato le prime due gare del Mondiale sportprototipi (Buenos Aires e Sebring) la Mercedes 300 SLR debutta nella serie iridata alla Mille Miglia l’1 maggio 1955. Quattro i piloti al via per la Casa teutonica: l’argentino Juan Manuel Fangio, i tedeschi Hans Herrmann (navigato dal connazionale Hermann Eger) e Karl Kling e il britannico Stlrling Moss, accompagnato dal giornalista Denis Jenkinson.Le due vetture guidate da driver tedeschi sono costrette al ritiro a causa di incidenti (Kling fuori Roma e Herrmann tra Firenze e Bologna) mentre Fangio – nonostante numerosi problemi tecnici – riesce ad ottenere il secondo posto. Moss vince la gara e realizza il record assoluto della corsa: 1.597 km percorsi in 10 ore, 7 minuti e 48 secondi alla media di 157,650 km/h.Le MansIn occasione della 24 Ore di Le Mans – in programma l’11 e  il 12 giugno 1955 – la Mercedes schiera tre equipaggi per la 300 SLR: Fangio e Moss, Kling con il francese André Simon e il transalpino Pierre Levegh con lo statunitense John Fitch.Al 34° giro della corsa endurance più famosa del mondo si consuma la più grande tragedia dello sport automobilistico: sul rettilineo principale la vettura di Levegh tocca la Austin-Healey guidata da Lance Macklin (spostatosi per evitare la Jaguar di Mike Hawthorn, rientrato di colpo ai box con una manovra pericolosa). La sportiva della Stella decolla, prende fuoco e alcuni suoi pezzi volano sulla tribuna: 84 morti (83 spettatori più Levegh) e 120 feriti.Per non ostacolare l’arrivo delle ambulanze la gara non viene interrotta ma mentre le due rimanenti 300 SLR sono al comando i responsabili Mercedes optano per il ritiro tra il 130° e il 134° giro in segno di rispetto per le vittime. I britannici (fino a quel momento a due giri di distanza dalle frecce d’argento) continuano a gareggiare e salgono sul gradino più alto del podio addirittura festeggiando.La vittoria del MondialeTre mesi dopo la tragedia consumatasi a Le Mans il Mondiale sportprototipi riprende con un dominio della Mercedes: al Tourist Trophy – disputatosi a settembre – arriva una tripletta (primi Moss e Fitch, secondi Fangio e Kling e terzi il tedesco Wolfgang von Trips, Simon e Kling).Il titolo iridato per la 300 SLR arriva in Italia alla Targa Florio, in occasione dell’ultima prova della stagione in programma nel mese di ottobre: la Mercedes si sbarazza agevolmente delle Ferrari con una doppietta (primi il britannico Peter Collins con Moss, secondi Fangio e Kling). Al termine della stagione la Casa della Stella decide di ritirarsi ufficialmente dal mondo delle corse (tornerà intorno alla fine degli anni Ottanta), rendendo così inutile lo sviluppo della versione coupé della SLR, inizialmente pensata per affrontare il Mondiale 1956.

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Alfieri Maserati, l’uomo del Tridente

Alfieri Maserati non è solo il nome – invertito – della concept mostrata a Ginevra 2014 dalla Casa modenese per celebrare il suo centenario ma anche, e soprattutto, il fondatore del marchio del Tridente.Nel corso della sua breve vita ha creato un brand che oggi è uno dei punti di forza del “made in Italy” nel mondo ed è entrato nel cuore degli appassionati – soprattutto di motorsport – grazie alla realizzazione di vetture da corsa (quelle di serie arriveranno dopo la sua morte) belle e vincenti. Scopriamo insieme la sua storia.Alfieri Maserati: la biografiaAlfieri Maserati nasce il 23 settembre 1887 a Voghera (Pavia). Quarto di sette fratelli, inizia ad appassionarsi al mondo della meccanica già da bambino. Nel 1899 trova lavoro in una fabbrica di biciclette e tre anni più tardi si trasferisce a Milano alla Isotta Fraschini.Scalata verso il successoIn pochi anni Alfieri fa carriera all’interno della Casa lombarda: nel 1908 è il meccanico della vettura vincitrice della Targa Florio guidata da Vincenzo Trucco, poco dopo viene inviato in Argentina e nel Regno Unito come capotecnico e nel 1912 si trasferisce definitivamente a Bologna.La creazione della MaseratiNella città emiliana Alfieri Maserati fonda, nel 1914 insieme ai fratelli Ettore ed Ernesto, un’officina specializzata in elaborazioni di propulsori Isotta Fraschini e Diatto. Durante la Prima Guerra Mondiale brevetta un’innovativa candela d’accensione e al termine del conflitto si concentra sul mondo delle corse creando una vettura nata dalla fusione di una carrozzeria Isotta Fraschini e di un motore Hispano-Suiza di derivazione aeronautica.Questa vettura consente ad Alfieri di vincere la sua prima corsa nel 1921 e tre anni più tardi – in seguito ad altri importanti successi – viene assunto dalla Diatto come pilota ufficiale e direttore sportivo. L’avventura con il marchio torinese non è delle più fortunate: i risultati scarseggiano e Maserati viene addirittura squalificato durante una gara per aver sostituito di nascosto un motore 2.0 con un 3.0.La Tipo 26La prima automobile realizzata da Alfieri Maserati è la Tipo 26 del 1926, costruita su base Diatto e dotata di un motore 1.5 a otto cilindri in linea da 120 CV. Con questa vettura, nel 1927, Alfieri rimane coinvolto in un gravissimo incidente alla Coppa Messina nel quale perde un rene.La V4La mostruosa V4 del 1929 – dotata di un possente motore 3.0 V16 da oltre 300 CV – è la seconda vettura progettata dalla Casa del Tridente. Questo modello si rivela estremamente vincente grazie al pilota Baconin Borzacchini, che nel 1929 ottiene il record di velocità sui 10 km lanciati e l’anno seguente porta a casa il GP di Tripoli. Quest’ultimo trionfo consente ad Alfieri di ricevere il titolo di cavaliere.Gli anni TrentaNella prima metà degli anni Trenta Alfieri Maserati progetta altre vetture da corsa valide ma lo stato di salute dell’imprenditore pavese non è dei migliori. Il 3 marzo 1932 perde la vita a Bologna durante un intervento chiurgico per salvare l’unico rene rimasto.

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