Category Archives: Prove Su Strada
Chevrolet Trax: una suv con l’anima della 4X4
La Chevrolet Trax è figlia del colosso americano General Motors (che possiede anche Opel), ma è prodotta a Bupyeong (Corea del Sud), nello stesso stabilimento dove viene realizzata la gemella Mokka. Peraltro, GM ha annunciato da alcune settimane la chiusura dei battenti in Europa di Chevrolet entro la fine del 2015: il biglietto da visita non è quindi dei migliori. Peccato, perché la Trax ha le credenziali giuste per farsi spazio in un segmento affollato di crossover, grazie a buone doti meccaniche, un’elettronica di bordo al passo dei ragazzini mp3 addictede un prezzo di listino che non spaventa.Questo modello nasce per coniugare spazio, compattezza e costi di gestione contenuti: a fronte dei 425 cm di lunghezza, l’abitacolo può ospitare cinque persone di buona statura (in quattro si sta più comodi), che godono di un’ottima visuale per via delle sedute rialzate. L’esemplare in prova ha un propulsore a benzina da 1,4 litri sovralimentato da una turbina a bassa pressione, che permette di racimolare cavalli preziosi senza incidere eccessivamente sui consumi (la media rilevata è di 13 km/l).I 140 CV consentono uno scatto da fermo brillante (0-100 km/h in 9,2 secondi), ma in ripresa l’auto soffre per il peso e per l’assorbimento d’energia della trasmissione 4×4. Prima di un sorpasso impegnativo è meglio scalare marcia e tenere il quattro cilindri in tiro.Questa unità è abbinata ad un sistema di trazione integrale ad inserimento automatico che, nelle situazioni di scarsa aderenza, distribuisce la coppia anche alle ruote posteriori, così da poter soccorrere l’auto senza rischi di perdite di aderenza. Nei tratti offroad meno impervi, infatti, la Trax ha grip in abbondanza. E, in caso di discese ripide, c’è di serie il sistema di gestione della velocità, che evita di perdere il controllo del mezzo sui fondi più insidiosi. In ambito urbano, la presenza del sistema stop&start contribuisce ad abbattere i consumi e le emissioni.Il lunotto piccolo e gli ampi montanti posteriori riducono la visibilità in manovra, ma questa versione è attrezzata anche di sensori e telecamera di parcheggio. Fuori città, il telaio efficace e l’abbondante gommatura garantiscono una buona tenuta di strada.Raggiunto il limite di aderenza, il controllo di stabilità si interpone progressivamente per limitare l’inesorabile sottosterzo. La potenza frenante è nella norma, ma la corsa del pedale è fin troppo lunga: bisogna abituarsi e gli spazi d’arresto con gomme M+S non sono tra i più corti.Lodi, invece, per il cambio meccanico a sei rapporti, che consente di tenere basso il regime di rotazione per ridurre ulteriormente i consumi. Un’interessante dotazione di serie è il sistema di infotainment Chevrolet MyLink, che permette, tra l’altro, l’accesso alla musica memorizzata sul proprio smartphone e l’ascolto tramite l’impianto di bordo, oltre alla gestione dei comandi vocali.In tema di sicurezza attiva e passiva, la Trax è ai vertici della categoria: in caso di ribaltamento, la scocca rinforzata può sostenere quattro volte il peso della vettura, mentre la pedaliera è stata studiata in modo tale da non deformarsi nelle collisioni.
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Lamborghini Aventador: mansueta su strada, devastante in pista
Il nutrito gruppo di persone che si è radunato nel piazzale del paddock mi ricorda, qualora ce ne fosse il bisogno, che sto per mettermi al volante di una Lamborghini Aventador."Dio, quanto è bella…" penso mentre mi calo nell’abitacolo con una buona dose di riverenza mista a incredulità e stupore.Quando me l’hanno detto pensavo a uno scherzo e invece eccomi qui, seduto a pochi centimetri dall’asfalto dentro a una delle supercar più belle, potenti ed esagerate che la mente umana abbia mai concepito e realizzato.In occasione della prima tappa monzese del Lamborghini Super Trofeo 2014 mi è stato affidato il compito di testarla sia su strada che in pista. Scusate se è poco.Interni da "primo appuntamento"Con un minimo sforzo abbasso la portiera che si chiude con un lieve tonfo, lasciando fuori il rumore della gara che sta finendo e il vociferare della piccola folla di appassionati.Ora siamo io e lei nel silenzio, mi sento come a un primo appuntamento. Ho un po’ di tempo per guardarmi intorno.La seduta è bassa, molto bassa ma allo stesso tempo comoda e il parabrezza molto inclinato penalizza leggermente la visuale. Sfioro la pelle del sedile e la plastica della consolle centrale. Un piacere al tatto, materiali di altissima qualità e assemblaggio impeccabile, come da programma.Con la galanteria che si deve mostrare a un primo appuntamento, sollevo con delicatezza il copritasto rosso-fuoco che nasconde il tasto di avviamento. Ci siamo: schiaccio a fondo il pedale del freno, appoggio il polpastrello sullo "start" e poi premo.Alla guidaIl cuore V12 da 6,5 litri e 700CV si risveglia con un boato che invade subito l’abitacolo con le note inconfondibili della casa di Sant’Agata Bolognese; sono subito avvolto da un’overdose di sensazioni.Insieme al motore prende vita anche il bellissimo cruscotto digitale. Le informazioni visualizzate sono tante ma di facile lettura, con il grande contagiri al centro che pare sin da subito assetato di velocità.Innesto la prima marcia sfiorando il paddle con la mano destra. Giusto un filo di gas e la Lamborghini Aventador si muove.Bastano pochi metri ed ecco la prima sorpresa della giornata. Proprio non me l’aspettavo, ma l’auto sembra davvero facile da guidare, trasmette molta sicurezza.Ci ho messo sì e no 30 secondi per entrare in simbiosi con la vettura. Non mi era mai capitato prima d’ora un simile colpo di fulmine.Lo stupore cresce non appena imbocco una via trafficata appena fuori dall’autodromo. Basta sfiorare l’acceleratore e la vettura scivola via silenziosa.Il motore è fluido e non si avverte nessun accenno di saltellamento o esitazione durante le numerose ripartenze da fermo.I dossi non sono un problema (a patto di affrontarli a velocità ragionevoli alzando le sospensioni anteriori con l’apposito pulsante) cosi come la rumorosità.Se non si preme tanto sull’acceleratore, è tanto comoda e silenziosa che sembra quasi di guidare una Bmw 320. Avete letto bene, la Lamborghini Aventador in modalità strada è comoda e rilassante… pazzesco!Mentre mi scervello per cercare di elaborare e metabolizzare l’insensato senso di un’auto da 700 cavalli comoda quanto una grande berlina di lusso, il sopraggiungere di un grosso camion nell’altra corsia di marcia mi riporta alla realtà facendo emergere un primo potenziale problema: la larghezza.Con gli specchietti aperti, siamo oltre il muro dei 2,25 metri. Capita di sentirsi un po’ ingombranti, anche se gli altri automobilisti si spostano e rallentano volentieri ben più del dovuto per poterla ammirare in tutto il suo splendore.Come non capirli: è un’opera d’arte su quattro ruote, ha delle linee e un sound capaci di emozionare nel profondo.Come lo so? Semplice: ho osservato le reazioni dei bambini al suo passaggio. Gli adulti la guardano, vengono catturati e restano scioccati dal fascino della Lambo. Ma hanno troppo autocontrollo per lasciar trasparire ciò che realmente provano. Semplicemente, rimangono imbambolati.I bambini invece no. Le loro reazioni sono spontaneamente sincere, immediate, senza filtro. Sono loro il vero banco di prova e vi garantisco che tutti reagiscono allo stesso modo. Dapprima il loro volto assume la stessa espressione di quando, a Natale, ricevono il regalo che aspettavano da tanto tempo. Poi iniziano subito ad indicarla. Ecco che si agitano, tirano la giacchetta del papà perché vogliono vederla da vicino. Come dargli torto…è semplicemente pazzesca da qualunque prospettiva la si osservi. Punto.Il momento della pistaGiusto il tempo per qualche scatto davanti alla Villa Reale e nel parco di Monza ed ecco che il grosso contagiri pare sempre più assetato di velocità, i 700 purosangue italiani scalpitano… non potrei chiedere di meglio!È arrivato il momento di scendere in pista e, semplicemente, non sto più nella pelle.Voi vi chiederete perché tanta emozione e adrenalina?Vedete, ci sono persone che adorano il profumo di gomma bruciata misto a olio e benzina e che solo la pista può offrire. Io sono una di quelle persone. Ci chiamano appassionati.Ho vissuto tante giornate emozionanti all’autodromo di Monza, quasi sempre appollaiato sugli spalti.Amo le corse automobilistiche, amo la velocità e sempre, quando varco i cancelli di ingresso del "Tempio della velocità", un brivido mi corre lungo la schiena.Sì, perché se uno ci pensa, qui sono state scritte alcune delle più indimenticabili e importanti pagine della storia dell’automobilismo, qui ogni cosa e ogni persona hanno una storia da raccontare, dal decadente e arrugginito vecchio tracciato ai coraggiosi commissari. Qui il Motor Sport è preso dannatamente sul serio.Pronti a partireViene aperto il cancello di fronte a me e un commissario di pista si sbraccia per incanalarmi correttamente in corsia box. Ci siamo, tocca a me.Impugno saldamente il volante con entrambe le mani e innesto la prima marcia.Premo a fondo l’acceleratore, la spinta è da subito pazzesca, vertiginosa ed esplosiva. Sento il motore dietro di me che inizia a urlare, ma siamo appena all’inizio.Già dalla prima frenata intuisco che i freni in carbonceramica di cui è dotata la Lamborghini Aventador sono tanta roba.Anche in pista avverto un feeling immediato. La Aventador accelera come una furia e stacca ancora più forte senza scomporsi minimamente.Le sue reazioni sembrano sempre prevedibili e facilmente gestibili, a conferma che questo è il suo vero habitat.In un attimo sono già alla parabolica. Esco in terza marcia, cercando di sfruttare la totalità della pista e mi lancio sul rettilineo. L’accelerazione mi francobolla al sedile e l’urlo del V12 aspirato posizionato a due spanne dalle mie orecchie è incredibile.Il motore della Aventador è davvero un capolavoro: è impressionante la facilità con la quale l’Aventador prenda velocità e ancora più sconcertante è la spinta incessante, costante e inesauribile.Poco prima di approcciare la prima staccata lancio una rapida occhiata al tachimetro digitale, che indica 269 km/h… non male, ma si può fare di meglio.Col piede? Andateci piano…Aspetto il cartello dei 300 metri e poi premo con tutta la mia forza il pedale del freno. La decelerazione è devastante e immediata, roba da far staccare la testa e spappolare gli organi interni.La Aventador oscilla e si scompone leggermente, ma ho sempre la sensazione di avere tutto sotto controllo.Le sospensioni push-rod in stile Formula 1 giocano in casa, il telaio monoscocca in fibra di carbonio è perfettamente integrato con la meccanica.Il tutto si traduce in sensazioni di guida semplicemente spettacolari.Affronto la prima variante e poi imbocco la curva Biassono, dove per istinto diminuisco leggermente la pressione sul pedale dall’acceleratore.La staccata alla seconda variante è meno intensa della prima e porta alle curve di Lesmo, dove cerco di anticipare l’apertura del gas senza perdere la corda.La staccata della Ascari, con quel dislivello mentre si passa sotto il vecchio anello dell’Alta Velocità toglie letteralmente il fiato.Sempre più veloceMacino un giro dopo l’altro, il cuore della Aventador spinge sempre fortissimo, senza esitazione, il battito dei suoi 12 cilindri a V si mescola alle mie crescenti pulsazioni come in una folle danza.Avverto sempre più sicurezza, la simbiosi auto-pilota è totale e sento che ogni giro posso spingermi un po’ oltre, con uno sforzo enorme riesco a dominare l’istinto e a ritardare le frenate, arrivando a staccare in fondo al rettilineo principale a oltre 280 km/h (sapendo di poter sempre contare sugli instancabili freni).Continuo a girare, le mani sudano, il sottoscritto suda (ho spento l’aria condizionata per sfruttare ogni cavallo a disposizione) e anche le gomme iniziano a lamentare qualche segno di surriscaldamento.Il fenomeno si osserva soprattutto in percorrenza di parabolica, dove gli pneumatici iniziano a fischiare e la trazione integrale è costretta a fare gli straordinari per tenere in traiettoria la vettura.Comunque se dipendesse da me, continuerei a girare sfruttando fino all’ultima goccia di benzina.Dopo una decina di giri, all’ennesima uscita "a bomba" dalla parabolica, noto sulla destra un commissario che sventola la bandiera a scacchi. Nonostante abbia a disposizione ancora un giro veloce, sollevo il piede dall’acceleratore.Sorrido, poi inizio a ridere fragorosamente mentre il motore scoppietta in rilascio… la felicità è tale che non riesco a trattenere una lacrima.Caro Gotthold Ephraim Lessing, mi dispiace ma ora sono sicuro che l’attesa del piacere non è essa stessa il piacere.Guidare questo “diavolo sputafuoco” nel “Tempio della velocità” è il Piacere, unione perfetta di sacro e profano, godimento allo stato puro, estasi e appagamento di tutti i sensi. Ma in fondo tu non potevi saperlo…Gli ultimi chilometri me li godo cosi, ad un’andatura molto più rilassata, ascoltando il motore che sale e scende di giri tra una curva e l’altra, e penso che tutti dovrebbero avere la possibilità di provare un’emozione cosi almeno una volta nella vita.Domare questa belva, sentire la rabbia del motore scatenarsi al tuo comando, essere felici come non mai, vivi come non mai.Dovrebbe essere un diritto, come l’assistenza sanitaria o la scuola pubblica.Parcheggio la Aventador, alzo il copritasto per spegnere il motore, ma prima di premerlo lascio passare ancora alcuni secondi, per godermi fino in fondo il borbottio cupo e sommesso dei 700 cavalli che rifiatano dopo tanto correre.Sospiro leggermente, poi premo il bottone e subito cala il silenzio.
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Dacia Duster 1.5 dCi 90 CV, la prova su strada
La Dacia Duster è praticamente una scelta obbligata per chi vuole risparmiare sull’acquisto di una SUV turbodiesel nuova. La 1.5 dCi 90 CV della nostra prova su strada è la più economica Sport Utility a gasolio in commercio: costa solo 14.050 euro ma il prezzo basso non è il suo unico punto di forza.Come nel caso della Logan MCV – realizzata sulla stessa base – chi si appresta ad acquistare una vettura della Casa rumena (appartenente al Gruppo Renault) deve mettere in conto qualche rinuncia (clacson a levetta, dotazione di serie povera, plastiche della plancia rigide, volante non regolabile in profondità). Si tratta però di inezie, se rapportate ai contenuti di qualità presenti a bordo.FunzionalitàLa Dacia Duster è un mezzo perfetto per una coppia con un paio di figli: il bagagliaio è molto capiente (475 litri che diventano 1.636 quando si abbattono i sedili posteriori) e nell’abitacolo solo gli occupanti più alti potrebbero desiderare qualche centimetro in più per le gambe.Le finiture – caratterizzate da plastiche rigide ma impeccabili dal punto di vista dell’assemblaggio – possono deludere automobilisti abituati a vetture più curate e la dotazione di serie dell’allestimento intermedio Ambiance (l’unico disponibile con questo propulsore) potrebbe essere più ricca visto che comprende, in pratica, solo le barre sul tetto e il climatizzatore manuale.Bastano meno di 1.000 euro, però, per integrarla. Consigliamo i fendinebbia (150 euro), il sistema di infotainment Media Nav (450 euro) che comprende la radio CD Mp3 con Bluetooth, comandi al volante e prese Aux-in e USB e il navigatore touchscreen da 7” e il Pack Modularità: quest’ultimo costa 250 euro e prevede la regolazione in altezza delle cinture di sicurezza anteriori, dei sedili anteriori e del volante e il divano posteriore sdoppiato.ComfortGli ammortizzatori morbidi della Dacia Duster assorbono senza problemi qualsiasi sconnessione ma nei viaggi autostradali la SUV rumena si rivela un po’ rumorosa a velocità da Codice.Il climatizzatore manuale è potente ma bisogna tener conto che molte rivali offrono (a pagamento o di serie) il più comodo impianto automatico: irrinunciabile per molti automobilisti.Piacere di guidaIl punto di forza della Dacia Duster 1.5 dCi 90 CV si trova sotto il cofano: il propulsore (lo stesso montato dalla Mercedes classe A, la 160 CDI per la precisione) da 200 Nm di coppia è un piccolo gioiello in grado di offrire una spinta adeguata già sotto quota 2.000 giri.Ottima la scelta di adottare un cambio manuale a sei marce (anche se la leva tende ad impuntarsi nella guida sportiva) mentre lo sterzo potrebbe essere più sensibile. Prestazioni discrete: 156 km/h di velocità massima e 14,2 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri orari.SicurezzaAlti e bassi alla voce sicurezza per la Dacia Duster: la dotazione comprende airbag frontali e laterali, ESP e controllo di trazione ma nei crash test Euro NCAP sono state solo tre le stelle rimediate dalla Sport Utility “low-cost” esteuropea.Come tutte le trazioni anteriori tende ad allargare la traiettoria quando si esagera con la velocità nelle curve (per fortuna i controlli elettronici vedono e provvedono) e i freni sono potenti quanto basta per arrestare senza problemi la vettura. Buona la visibilità: merito delle ampie superfici vetrate e di dimensioni esterne non troppo esagerate.EconomiaCon la Dacia Duster 1.5 dCi 90 CV si risparmia sempre: dal concessionario (con un prezzo imbattibile di 14.050 euro) e dal benzinaio. I consumi dichiarati recitano 21,3 km/l e adottando una guida normale si rimane abbondantemente sopra quota 15. Buona la garanzia di tre anni o 100.000 chilometri.
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Skoda Superb Wagon 2.0 TDI 140 CV, la prova su strada
Se esistesse una classifica delle auto più sottovalutate in commercio la Skoda Superb Wagon si troverebbe sicuramente sul podio. La grande station ceca – realizzata sullo stesso pianale (allungato) della Volkswagen Passat – è ricca di pregi e praticamente priva di difetti: le manca solo un marchio più blasonato sul cofano.In occasione della nostra prova su strada abbiamo avuto modo di testare la versione 2.0 TDI 140 CV Executive: costa poco più di 30.000 euro e offre tanto spazio e un mare di comfort a chi, per lavoro o per piacere, si ritrova a dover percorrere molti chilometri al volante della propria vettura.FunzionalitàImpossibile dare un voto più basso di “dieci e lode” in questa materia alla Skoda Superb Wagon: poche auto sanno offrire così tanto spazio alle gambe dei passeggeri posteriori e il bagagliaio (633 litri che diventano 1.865 in configurazione a due posti) “inghiotte” senza problemi qualsiasi valigia.Le finiture sono oltretutto estremamente curate: le plastiche morbide sono presenti anche nella parte inferiore della plancia e gli assemblaggi interni ed esterni non lasciano spazio a critiche.ComfortLa Skoda Superb Wagon è una di quelle auto fatte apposta per i macinatori di chilometri. Le sospensioni dalla taratura soft assorbono anche le sconnessioni più pronunciate e l’abitacolo è ottimamente insonorizzato.i sedili anteriori regolabili elettricamente consentono al guidatore e al passseggero di trovare in poco tempo la giusta posizione e il climatizzatore automatico bizona (penalizzato esclusivamente dai comandi situati troppo in basso) prevede anche le bocchette posteriori.Piacere di guidaLa Superb Wagon predilige la comodità al divertimento: le prestazioni dell’ammiraglia familiare Skoda sono nella media del segmento (211 km/h di velocità massima e 10,1 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri orari) e il cambio manuale a sei marce si abbina bene ad una guida rilassata.Molto validi lo sterzo (molto sensibile) e il motore 2.0 turbodiesel TDI da 140 CV e 320 Nm di coppia: un’unità briosa già sotto i 2.000 giri e – come tutte i propulsori a gasolio del Gruppo Volkswagen – molto dotata alla voce “allungo”.SicurezzaFreni potenti, tenuta di strada rassicurante e un’ottima visibilità nonostante le dimensioni esterne considerevoli: sulla Skoda Superb Wagon si viaggia protetti.A bordo, poi, c’è tutto quello che serve; airbag frontali, laterali, a tendina e per le ginocchia, assistente alle partenze in salita, attacchi Isofix per il sedile del passeggero anteriore e per il divano posteriore, ESP e controllo di trazione.EconomiaIl prezzo di 31.700 euro della Skoda Superb Wagon 2.0 TDI 140 CV Executive è molto basso, soprattutto alla luce di una dotazione di serie ricchissima che comprende, oltre a quanto precedentemente citato, l’autoradio con Bluetooth, i cerchi in lega da 17”, il cruise control, i fendinebbia, il navigatore satellitare, i sensori di parcheggio posteriori, gli specchietti retrovisori ripiegabili elettricamente e la vernice metallizzata.Molto interessanti anche i consumi: 21,7 km/l dichiarati, mai sotto i 15 guidando in maniera del tutto naturale. Solo di due anni (a chilometraggio illimitato, il minimo di legge) la garanzia.
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Jaguar XF: fascino invariato, niente rinunce ma spese ridotte
Berlina travestita da coupé o coupé travestita da berlina? Ai posteri l’ardua sentenza. Basta che sia Jaguar. L’edizione 2014 della vettura britannica arriva sul mercato con la versione “low profile” del noto 2,2 turbodiesel. L’ingresso in gamma parte, quindi, da quota 163 CV di potenza. Una scelta tesa ad allargare la fetta di pubblico della Casa del Giaguaro, consapevole che oggi anche il lusso deve fare inevitabilmente i conti con la crisi.La matematica sentenzia una sottrazione di 37 cavalli, ma senza impoverire la meccanica: si tratta soltanto di una rimappatura elettronica. E le prestazioni? Rispetto alla versione più potente, il passaggio da 0 a 100 km/h rilevato è ben diverso: la nuova variante ferma il cronometro a 10,2 secondi contro gli 8,7 della XF da 200 CV. In ripresa le differenze sono minori: con 163 CV a disposizione si passa da 90 a 130 km/h in 7,6 secondi, mentre alla “sorella” maggiore ne bastano 6,7.Ma la XF depotenziata si “vendica” nei consumi, con una percorrenza media rilevata di 15,9 km/l contro i 14,7 della versione da 200 CV. Non poco… Anche chi compra i marchi premium, di questi tempi è attento alla spesa alla pompa. Vediamo, dunque, nel dettaglio come se la cava questa XF.Città: comfort ok, ma occhio alle dimensioniIl metro di misura fuga ogni dubbio: quasi cinque metri di lunghezza. Uno standard se fossimo a Dubai, una complicazione a Milano, Roma e in tutti centri urbani ad alto tasso di motorizzazione e strisce blu. La Jaguar XF non è, dunque, la migliore amica dei parcheggi, tanto meno del traffico più caotico. Tutta una questione di dimensioni.Tali da non facilitarle il compito nella giungla urbana. Lo sterzo, dal canto suo, non è incline alla guida cittadina, con un comando relativamente duro. Chi, invece, non risente di questa condizione – e pare sempre pronto a scattare – è il 2,2 litri turbodiesel. Nonostante sia stato depotenziato, conserva comunque 400 Nm di coppia motrice. Un dato più che sufficiente a muovere con disinvoltura l’imponente massa della XF, dotata dell’ottimo cambio automatico a otto rapporti di casa ZF.Giù il gas e il gioco è fatto, sempre con la giusta disinvoltura. Quanto all’assorbimento delle asperità stradali, questa Jaguar non teme confronti: dal pavé all’asfalto, la due volumi e mezzo di Sua Maestà si classifica, infatti, tra le prime della classe.Fuori città: la prova bilancia si fa sentireSe prima erano le misure a penalizzare la Jaguar XF all’interno dei centri abitati, ora, liberati dalla giungla urbana, è la massa il nuovo tallone d’Achille. La linea slanciata e il suo voler essere intrinsecamente coupé alimentano velleità sportive. Ma quando in gioco ci sono oltre 1.700 kg di peso, bisogna ridimensionare le proprie aspettative. Anche perché sotto il cofano c’è la versione morigerata del 2,2 litri.In realtà, l’auto non è ferma, anzi. È vero, non è rabbiosa come le 3.0 turbodiesel V6, ma sa divertire. L’unico punto debole è lo sterzo, poco preciso e non adatto ad assecondare la volontà di chi siede al volante. I cavalli non saranno moltissimi, ma il motore c’è e si sente. Tanto che, a freddo, è pure troppo rumoroso, almeno secondo gli standard Jaguar.Detto ciò, l’assetto rimane tendenzialmente morbido, ma senza inficiare la dinamica di guida. Che si conferma stabile e sicura e che non crea mai apprensione, neppure quando si forza la mano su strada.Autostrada: pronta a dare il massimoInevitabile che questo sia il suo habitat naturale. Più macini chilometri e più ne macineresti. La Jaguar XF e l’autostrada sono un connubio vincente. Un’interazione macchina-strada quasi perfetta, in cui emerge l’attenzione dei tecnici britannici verso l’assetto e la taratura dei suoi componenti. Una scelta, questa, che privilegia la comodità e l’efficienza, rendendo rapidi e piacevoli i trasferimenti autostradali.Roba da tedeschi, insomma. Anche sulle curve più veloci affrontate in appoggio, la XF viaggia come se si trovasse sui binari e si rivela, così, comoda come un’ammiraglia. Per la verità va detto che, più la velocità sale, più la rumorosità legata al rotolamento dei pneumatici e a fruscii aerodinamici si leva, ma tutto rimane entro i limiti di guardia.A 130 km/h, in ottava marcia, il motore della Jaguar sfiora i 1.800 giri/minuto: una garanzia di risparmio se si prevedono lunghe trasferte. E il serbatoio ha una capacità di quasi 70 litri…Vita a bordo: tanto lusso (come impone il lignaggio)L’aggiornamento del model year 2014 non ha comportato modifiche significative nell’abitacolo. Che si conferma, come sempre, un sapiente mix di retrò e moderno, rappresentativo del presente e del futuro marchiato Jaguar. La scelta dei materiali e il livello delle finiture sono in linea con il rango della vettura (e della Casa).Il legno non manca, ma non ostenta opulenza: la sua presenza, piuttosto, scalda semplicemente l’atmosfera a bordo. Il sistema d’infotainment, dal look minimalista, è forse la sezione più datata della vettura e sulla quale bisognava intervenire. Tuttavia, grazie al touchscreen e alla presenza di pochi tasti, è semplice da utilizzare. Chi siede al volante deve fare i conti con l’imponente tunnel centrale: un impiccio nelle curve a destra, quando il gomito ci va inevitabilmente a cozzare. E se le forme dicono coupé, in realtà la XF è una vera berlina: l’unico appunto riguarda i passeggeri posteriori.Quelli più alti, infatti, sono in difficoltà nel posizionare la testa. Per il resto, siamo a bordo di una vettura lunga quasi cinque metri e con 500 litri di volume disponibile nel bagagliaio. Lo spazio, quindi, non manca.Prezzo e costi: entry level, ma di lussoUna Jaguar non per tutti, ma neppure per pochi eletti: i 40.850 euro della nuova XF 2.2D da 163 CV in allestimento Limited Edition sono certamente una cifra importante, ma più bassa rispetto a quella necessaria per acquistare modelli anche di segmenti inferiori. Il prezzo sale a quota 44.710 euro se si opta per la variante ECO.La dotazione di serie dell’esemplare che abbiamo provato comprende, oltre al climatizzatore automatico, gli inserti in radica di noce, l’impianto lavafari, i sedili con rivestimento in pelle e il sistema do comunicazione con navigatore e Bluetooth. Com’è noto, però, i conti si fanno alla fine, quando si è deciso di spendere tempo e denaro nella scelta degli optional: una lista lunga e completa, in grado di far lievitare l’esborso.Da segnalare, a 5.560 euro, il British Pack, che include, tra gli altri, accessori utili e comodi quali i sensori di parcheggio anteriori e posteriori con retrocamera e il sistema d’avviamento keyless start and go.Sicurezza: mancano le dotazioni attiveFino a quando si argomenta in maniera generica, la Jaguar XF segue il passo della concorrenza. I sistemi che regolano la stabilità e la trazione, così come gli airbag, sono in numero tale da permettere sogni tranquilli. È nel particolare che la XF perde un po’ di coerenza. Nel senso che le rivali si fregiano di una serie di dispositivi che oggi la XF non può vantare.La frenata assistita è dalla sua, ma molti dei sistemi che i marchi tedeschi hanno introdotto non sono compresi nella dotazione Jaguar (neppure come optional). Una pecca, a cui la Casa del Giaguaro dovrà porre rimedio. In ogni caso, sulla XF non si viaggia solo spediti, ma anche al sicuro.Perché, anche guidata al limite, l’auto non si scompone in maniera repentina. Non solo: i 38,7 metri necessari per arrestare la vettura da 100 km/h non saranno forse un primato, ma sono comunque una garanzia. Infine, l’ESP è tarato molto bene e si rivela un vero aiuto.
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Opel Insignia: c’è il trucco ma non l’inganno
Ad una prima, distratta occhiata sembrerebbe il solito restyling di mezza età, per rintuzzare interessi (e vendite). Un po’ come quando hai già oltrepassato la parte più bella della vita ma, al contempo, non vuoi rassegnarti ai tangibili segnali delle primavere che passano. In realtà, oltre al mini-lifting frontale, l’Insignia porta in dote una certa quantità di cambiamenti significativi, di quelli che riescono a fare la differenza.A cominciare dall’impatto sul portafogli, perché sotto il cofano batte un 4 cilindri turbodiesel da 140 CV e – udite udite –solo 99 g/km di CO2. Per non parlare del consumo: se i dati dichiarati veleggiano sui 27 km/litro (irraggiungibili), è pur vero che i 18 ottenuti in media, con piede leggero, sono un gran bel risultato. Specialmente perché non sacrificano più di tanto le prestazioni: se in Normal l’Insignia si muove in scioltezza, selezionando la modalità Sport del FlexRide (optional a 860 euro, per variare le tarature di assetto e sterzo regolabili) c’è di che divertirsi. La spinta è, inoltre, sempre piena e corposa dai 1.700 ai 4.000 giri indicati, mentre la sonorità non disturba più di tanto i passeggeri. Insomma, ci si può togliere qualche soddisfazione tra le curve, dove emergono uno sterzo (servoassistito idraulicamente) preciso e progressivo e sospensioni attente, capaci di sostenere bene i “pruriti” del piede destro. Con un retrotreno in grado di non complicare troppo le cose quando si deve affrontare una manovra d’emergenza. Ma il terreno d’elezione, la carta più pesante che la Insignia può giocare arriva nei lunghi viaggi: mano al tastino Tour (che addolcisce le sospensioni) e via, coccolati da sedili che abbracciano la schiena – la pelle, però, si paga (da 1.010 euro) – e da un’insonorizzazione piuttosto curata, che lascia filtrare fino ai timpani solo qualche fruscio dalla zona del parabrezza. Per il resto, i lombi riceveranno gentili carezze, che si faranno più ferme in corrispondenza delle traversine autostradali. O sul pavé cittadino, anche a causa della gommatura ribassata.A proposito: nel traffico frizione e cambio non sono dei più morbidi ma, in compenso, il sistema stop&start si è rivelato sempre puntuale. Le code in tangenziale, inoltre, sono perfette per godersi le migliorie tecnologiche nell’abitacolo: davanti a chi guida c’è ora un generoso schermo a colori, mentre, connettendo lo smarthpone all’IntelliLink, si può ascoltare musica, telefonare, navigare sul web e gestire le App… La qualità dei materiali fa registrare significativi passi avanti, anche se qualche piccolo risparmio rispetto alla migliore concorrenza è rimasto.Ok i sistemi di sicurezza: tra riconoscimento dei segnali stradali (un po’ ansiogeno, per la verità), fari bixeno adattivi, abbaglianti automatici, allarme pericolo di tamponamento con frenata automatica e cruise control con funzione stop&go c’è da perderci la testa. E qualche euro, necessario per aggiungere gli airbag laterali posteriori (305 euro), inspiegabilmente relegati tra gli accessori. Il tutto ad un prezzo non da discount (31.000 euro), ma più appetitoso, per esempio, rispetto a quello di una Passat.
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Mercedes E Cabrio: per riscoprire il piacere di guidare all’aria aperta
Una celebre regola non scritta vuole che la bellezza sia un concetto relativo. Dipende, cioè, dagli occhi di chi guarda. La classe E Cabrio, tuttavia, veste volentieri i panni dell’eccezione che conferma la regola. I detrattori potrebbero ribattere che, con 4,70 metri di lunghezza, sia difficile sbagliare il colpo sulle proporzioni. Vero, ma la partita del design, nelle cabrio, si gioca sul sottile equilibrio della capote, rigorosamente in tela. Che sia aperta o chiusa, la E Cabrio conserva quella purezza stilistica delle Mercedes di una volta, classiche senza tempo.Con tutti i vantaggi dell’era moderna: quando la capote a triplo strato scompare elettricamente nel bagagliaio, in una ventina di secondi e fino a 40 km/h, potrete godervi una splendida giornata di sole a Saint Tropez a giugno come a St. Moritz in gennaio. Con lo stesso comfort, grazie alla “sciarpa” di aria calda che avvolge il collo e alla speciale palpebra che si alza sulla cornice superiore del parabrezza, deviando fastidiosi vortici.Se potesse parlare, la E Cabrio vi direbbe con un certo garbo che i suoi percorsi preferiti sono le gite in souplesse, meglio se su splendide strade panoramiche. Perché, anche trattandosi della versione Sport, con assetto specifico, cerchi da 18” e 204 CV sotto il cofano, non è saggio forzare la mano. Guidando da qualifica, infatti, emerge una certa quantità di sottosterzo e si sentono tutti gli oltre 1.800 kg di un’auto che non può e non vuole fare del divertimento di guida il suo atout precipuo.Se si può rimproverare poco allo sterzo, preciso e piuttosto fedele nel restituire informazioni a chi guida, dopo qualche km appare evidente che è meglio godersi la E Cabrio senza esagerare, in souplesse: così si esaltano l’automatico 7G-Tronic (costa 2.279 euro) che snocciola i rapporti con sdolcinata solerzia, l’assorbimento sempre piuttosto curato delle sospensioni e l’insonorizzazione, eccellente a capote chiusa.Non vanno dimenticati gli interni e i sedili, perfetti per macinare km su km senza accusare il minimo fastidio. Perfino quando dietro si accomodano due adulti, che stanno sacrificati solo se vantano stature da giocatori di pallacanestro. Naturalmente, anche prezzo e dotazione sono da vera Mercedes. Chi può permettersi di staccare un assegno da oltre 54.000 euro, inoltre, ha certamente la ragionevole possibilità di attingere dalla lunghissima lista degli optional senza troppi crucci.Ciononostante, fa sempre specie trovare nell’elenco degli accessori a pagamento, tanto più su un’auto di tal caratura, gli airbag laterali posteriori, i sensori di parcheggio, le prese aux/usb e il navigatore Comand. La E Cabrio si rifà alla voce consumi, con una media rilevata di quasi 16 km/l e nei dispositivi elettronici di sicurezza: il Collision Prevention Assist è di serie, mentre il Cruise control attivo (Distronic) e il Blind Spot Assist sono offerti a richiesta ma senza sovrapprezzo.
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Fiat 500L Beats 1.6 MJT 120 CV, la prova su strada
La Fiat 500L Beats è una versione speciale della piccola monovolume torinese rivolta ad un pubblico “trendy" che cerca il massimo della qualità alla voce “audio”. Basata sulla versione Trekking (e più cara di 1.700 euro a parità di motore e allestimento), ha una dotazione più ricca che comprende – tra le altre cose – un raffinato impianto hi-fi (radio CD MP3 con 7 altoparlanti di serie, amplificatore DSP a 8 canali e touchscreen da 5”, Bluetooth e comandi al volante) prodotto dalla ditta statunitense Beats.Il motore 1.6 turbodiesel MJT da 120 CV montato dalla versione da noi testata in occasione di questa prova su strada è adatto a chi è disposto a sobbarcarsi costi di gestione più elevati rispetto al 1.3 a gasolio (già provato) in cambio di prestazioni più convincenti.FunzionalitàLa Fiat 500L Beats è più curata rispetto alla Trekking da cui deriva, sia fuori che dentro. Esternamente spiccano la livrea esterna bicolore impreziosita da elementi rossi (come le pinze dei freni) e cromo-satinati e i cerchi in lega neri opachi da 17" montati su pneumatici 225/45 M+S mentre nell’abitacolo è impossibile non notare i sedili neri con cuciture rosse rivestiti in tessuto ed ecopelle.Invariata la praticità: i passeggeri posteriori hanno tanti centimetri a disposizione della testa (un po’ meno per le gambe) e il bagagliaio (412 litri che diventano 1.480 in configurazione a due posti) è un po’ piccino se paragonato a quello di altre rivali.ComfortCome già detto per la Trekking la Fiat 500L Beats non è il massimo nei lunghi viaggi per via della taratura più rigida delle sospensioni, del rumore di rotolamento degli pneumatici più marcato e dei fruscii aerodinamici alle alte velocità. Il motore è un po’ rumoroso a freddo: sotto questo aspetto è più convincente il 1.4 T-Jet a benzina di pari potenza. La posizione di seduta rialzata consente di dominare il traffico ma contrasta con la leva del cambio e i comandi del climatizzatore situati troppo in basso.Piacere di guidaIl motore 1.6 turbodiesel MJT da 120 CV può vantare una potenza notevole e una spinta corposa già da 1.500 giri. Le prestazioni sono vivaci (183 km/h di velocità massima e 11,5 secondi per accelerare da 0 a 100 chilometri orari), ma quello che più colpisce è la sensazione di avere sempre a disposizione i puledri necessari per affrontare qualsiasi situazione.Il cambio ben rapportato della Fiat 500L Beats 1.6 MJT soddisfa anche gli automobilisti più smaliziati, che però nelle curve potrebbero avere qualcosa da ridire a proposito dei sedili (poco contenitivi), dello sterzo (non molto sensibile) e dei freni (che potrebbero essere più potenti).SicurezzaSu strada la baby MPV torinese si rivela una vettura agile e rassicurante: i controlli elettronici intervengono solo quando si va troppo forte in curva, situazione dove emerge una certa tendenza ad allargare la traiettoria.Nell’off-road leggero al volante della Fiat 500L Beats si può invece contare sul sistema Traction + – già visto sulla Trekking – che fino a 30 chilometri orari trasferisce la coppia alla ruota anteriore con maggior presa in caso di scarsa aderenza. Buona la dotazione di sicurezza (airbag frontali, laterali e a tendina, attacchi Isofix e controlli di stabilità e trazione) e buona anche la visibilità (specialmente quella anteriore), grazie alle ampie superfici vetrate.EconomiaLa Beats 1.6 MJT 120 CV è la più cara tra le Fiat 500L – 25.710 euro – ma a questo prezzo è abbinata una dotazione di serie estremamente ricca composta – oltre che dagli accessori precedentemente citati – dal climatizzatore automatico bizona, dai cristalli posteriori e dal lunotto oscurati, dal cruise control e dai fendinebbia.I consumi potrebbero essere migliori: nella guida normale è impossibile raggiungere il valore dichiarato di 20,8 km/l e basta accelerare un po’ più del dovuto per ritrovarsi sotto quota 15.
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Bmw 320d: pioggia, neve, ghiaccio, se la gioca in sicurezza
Correva l’anno 1975 e sul mercato italiano si affacciava, timidamente, una nuova BMW, la prima generazione della serie 3. Piaceva alla borghesia per il frontale grintoso e infiammava le discussioni nei bar, soprattutto quelli tra le Alpi e gli Appennini.Già, perché la 320i non era il massimo per affrontare salite e tornanti, non solo quando nevicava. Bastava la pioggia per mettere in crisi la sua trazione posteriore. Così, quelli dell’Alfetta- Giulietta, i canzonatori più arguti, inventarono dei veri miti metropolitani: c’era chi giurava di aver visto serie 3 con sacchetti di cemento nel baule per equilibrare la vettura o addirittura si raccontava di imprenditori della Val Trompia che avevano rivestito il fondo del baule in piombo. Nel tempo, la serie 3 ha trovato il suo equilibrio e, in Baviera, hanno pure pensato di offrire la trazione integrale per rassicurare persino i più scettici.Oggi l’ultima generazione della serie 3 viene offerta anche in variante XDrive, con tutte e quattro le ruote che scaricano la coppia sull’asfalto, come per la 320d del nostro test. Una berlina che, con le scarpe giuste, non teme i fondi più impegnativi. Con quattro gomme termiche (quelle con il flake sul fianco) si aggrappa a neve e ghiaccio senza scomporsi. Un’auto sicura sia per la trazione 4×4 sia per l’elettronica di gestione, molto attenta a mantenere ben controllati assetto e reazioni della coda.I vantaggi in questi frangenti sono evidenti. Ma sull’asciutto? Qualche rinuncia? Tranquilli, i tedeschi sono meticolosi. L’efficienza della trazione è tale che consumi (17 km/l rilevati) e prestazioni (0-100 km/h in 8,1 sec) ne risentono poco, tanto che chi è al volante non nota differenze. Quanto alla dinamica su asciutto, solo forzando il ritmo con mestiere e malizia (doti che spesso non pervadono il guidatore di tutti i giorni) si nota un po’ di sottosterzo in più in fase di inserimento. Se si perde qualcosa in reattività nel cercare il punto di corda, si recupera tantissimo in uscita, quando si apre il gas e l’auto lavora bene dietro portando la vettura fuori dalla curva più in fretta. Per il resto è la “solita” BMW, ben costruita e molto solida.Lo sterzo è preciso, l’automatico a otto rapporti è rapido (2.319 euro) e i freni sono rassicuranti, sempre e nella miglior tradizione della Casa. Tutto perfetto. Beh, quasi, perché c’è sempre l’ostacolo del prezzo. Questa vettura costa 42.902 euro. Una cifra importante in questi tempi di incertezza. Però la dotazione è buona.
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